In difesa della Jugoslavia. Slobodan Milošević

di Marco Pondrelli

Scriveva Walter Benjamin nelle sue tesi sulla storia: ‘neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere’, questo perché la storia è la storia dei vincitori. Come ci ricorda Bertolt Brecht in ‘Domande di un lettore operaio’ non c’è posto per gli sconfitti, nel caso di Slobodan Milošević c’è la condanna, politica ed umana, condanna senza appello ma anche senza prove.

Recentemente è stato ripubblicato il libro della casa editrice Zambon curato da Jugocoord che racconta minuziosamente il ‘processo’ contro il leader jugoslavo, il tentativo è quello di affermare la verità storica su quello che successe non solo a Milošević ma all’intero popolo jugoslavo. Il libro si apre con un contributo di Domenico Losurdo scritto nel 2005 quando uscì la prima edizione dell’opera, in queste poche pagine viene riaffermata la natura delle guerre coloniali, intrise di una profonda matrice razzista. È superfluo ricordare che il barbaro attacco contro l’Unione Sovietica da parte della Germania nazista aveva come scopo la conquista del lebensraum (lo spazio vitale tedesco) che si ispirava, come scritto da Adolf Hitler nel ‘mein kampf’, alla conquista dell’Ovest avvenuta nel continente nordamericano attraverso il genocidio dei nativi americani. Non è casuale che Losurdo a proposito del ‘tribunale’ dell’Aja faccia riferimento ai ‘processi’ del Ku Klux Klan che tra Ottocento e Novecento decretavano il linciaggio ed il rogo degli afroamericani.

Milošević non è stato l’unico leader a pagare per la sue politiche anti-colonialiste, lo stesso è capitato a Gheddafi e la stessa cosa sarebbe dovuto capitare ad Assad. Gli argomenti contro i ‘dittatori’ sono sempre gli stessi, stanno massacrando un popolo è l’Occidente non può stare a guardare. In realtà i diritti umani sono divenuti la motivazione per scatenare guerre di aggressione che con la difesa dei popoli non hanno nulla a che fare, un esempio è la cosiddetta strage di Račak che come afferma Klaus Hartmann era ‘finalizzata alla guerra, frutto di una invenzione congiunta dei guerrafondai tedeschi e statunitensi’ [pag. 19].

Andrea Martocchia chiarisce che quello contro Milošević fu un ‘processo alle intenzioni’ [pag. 24] fatto da un ‘tribunale’ finanziato dalla Nato e da Soros, tutto fuorché una parte terza. Il fatto che ci sia una lunga scia di morti di chi era detenuto nella prigione olandese in attesa del ‘processo’ ed il fatto che gli avvocati difensori d’ufficio in realtà non tutelavano gli interessi dei loro assistiti, spiega molto bene cosa sia stato questo ‘tribunale’. Senza arrivare al caso rumeno quando il ‘difensore’ di Ceaușescu e della moglie chiese la pena di morte e però evidente che tutto quello che è successo all’Aja non aveva alcuna legittimità. Il tribunale dei vincitori è stato un insulto al diritto come sottolinea il compianto Aldo Bernardini nel suo intervento ‘il diritto internazionale capovolto: ‘la crisi jugoslava e il caso del Presidente Milošević’ [pag. 227].

La parte centrale del libro è dedicata all’autodifesa di Milošević, il quale volle rifiutare gli avvocati assegnategli dal ‘tribunale’. La sua è una importante testimonianza dei crimini commessi dell’Occidente, per citare una vecchia canzone potremmo dire che ‘la giustizia sarà giudicata’. È infatti il Presidente Milošević ad accusare l’Occidente dei crimini commessi, una orgogliosa difesa in cui si rivendica la giustezza delle proprie scelte e che ricorda l’autodifesa di Erich Honecker. Emblematico fu il comportamento dei media dopo avere dato grande risalto all’accusa, all’arresto ed alla ‘requisitoria’ di Carla Del Ponte la vicenda venne completamente dimenticata dalla stampa. Le argomentazioni della difesa vennero ignorate, nonostante questo non solo le accuse di genocidio non ressero un solo istante ma fu la Nato ad essere chiamata a rispondere dei propri crimini a partire dallo smembramento della Jugoslavia. La guerra del ’99 fu un attacco unilaterale deciso senza il mandato dell’ONU, suona involontariamente comico l’atteggiamento di chi 20 anni fa chiedeva l’intervento armato ed oggi critica la Russia appellandosi al diritto internazionale. Lo smembramento di uno Stato sovrano era però già iniziato nei primi anni ’90 con il riconoscimento dell’indipendenza di Slovenia e Croazia, riconoscimento che Germania e Vaticano diedero subito ben sapendo quello che questo avrebbe provocato.

La secessione di queste due entità viene generalmente descritta come indolore senza spargimenti di sangue, in realtà a pagare il prezzo di questa scelta furono i serbi verso i quali partì da subito una vera pulizia etnica.

Il processo era arrivato per l’accusa (ovverosia gli Stati Uniti) ad un punto morto, la condanna di Milošević era già stata decisa ma il mondo avrebbe visto che essa sarebbe stata figlia di motivazioni politiche, la morte del Presidente jugoslavo risolse questi problemi. A questo proposito il libro riporta le denunce che vennero presentate prima della sua morte, nelle quali si sosteneva che le condizioni di salute fossero gravi ma nulla venne fatto. Addirittura fu vietato a Milošević di andare in Russia per ricevere cure adeguate. L’obiettivo è stato raggiunto il sempre più piccolo Occidente ha ottenuto la sua condanna, non davanti ad un vero tribunale (che non avrebbe mai condannato Milošević) ma nelle redazioni dei grandi mezzi d’informazioni le quali possono impunemente continuare a parlare di Hitler dei Balcani anche se nelle sentenze dello stesso ‘tribunale’ contro Karadžić e Mladić si è giunti all’assoluzione de facto di Milošević. La tecnica comunicativa era però già rodata a quel tempo, si accusa qualcuno di avere commesso un crimine ed anche se questo crimine non solo non viene dimostrato ma ne viene addirittura dimostrata l’infondatezza esso rimane ‘vero’.

Purtroppo queste argomentazioni attecchiscono anche nella sinistra comunista, Aldo Bernardini ha sentito la necessità di condannare l’atteggiamento di Cossuta al quale va dato atto di essere volato a Belgrado durante la guerra (anche se per dire che l’Italia doveva ubbidire agli USA) ma ciò non lo assolve dall’avere definito Milošević un ‘tiranno’ [pag. 402]. Durante la guerra la sinistra comunista si schierò per la pace ma allo stesso tempo attaccò la Serbia ed il suo Presidente, perché fece questo? Semplicemente perché aveva introiettato i contenuti del nemico, criticava la guerra ma non le motivazioni che gli USA e la Nato adducevano per giustificarla. Sono gli stessi che oggi attaccano la Russia senza dire una parola, a differenza del Papa, sulle politiche aggressive della Nato.

La figura di Milošević così come di tutti coloro che per schierarsi dalla sua parte hanno pagato un prezzo (ad esempio Peter Handke) è una testimonianza dell’importanza della lotta anti-imperialista, allora come ora.

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