
di Marco Pondrelli
Fazi editore ha pubblicato in Italia il pregevole libro di Nils Melzer sulla vicenda di Julian Assange. È un’opera che va letta non solo perché l’Autore è stato responsabile speciale delle Nazioni Unite sulla tortura ma perché nel dibattito politico questa vicenda è oscurata.
Il libro di Melzer racconta tre storie, intrecciate fra di loro.
La prima è la storia di WikiLeaks e del suo lavoro che può essere riassunto in una frase: ‘privacy per i deboli, trasparenza per i potenti’ [pag. 26], domandiamoci cosa sapremmo delle uccisioni di civili durante le guerre ‘umanitarie’, cosa sapremmo delle torture, di Guantanamo se ci fossimo attenuti, come fa la stampa mainstream, alle comunicazioni ufficiali dei governi. Il grande pubblico conobbe WikiLeaks quando il 5 aprile del 2012 presentò il video conosciuto come ‘Collateral Murder‘ (tuttora disponibile in rete) che denuncia dei veri e propri crimini di guerra commessi dai soldati statunitensi in Iraq, crimini che non vennero mai perseguiti e ‘parecchi veterani della guerra in Iraq hanno poi confermato che l’operazione mostrata nel video non costituiva un’eccezione, ma che tali massacri erano all’ordine del giorno, senza che nessuno fosse fosse mai tenuto a risponderne’ [pag. 42]. Di fronte a queste denunce non si può che condividere l’affermazione di Melzer ‘WikiLeaks si può assimilare a una valvola di sicurezza per la società’ [pag. 43].
Quando si affronta la questione Assange questa parte viene rimossa, WikiLeaks non ha mai pubblicato notizie false ed anche i suoi più accaniti nemici non mettono in discussione la veridicità di quanto pubblicato, non solo Joe Biden quando era vice Presidente affermò che gli Stati Uniti non avevano avuto danni sostanziali da queste rivelazioni a parte un certo imbarazzo [pag. 45], cade così anche la pretesa che le rivelazioni abbiamo messo in pericolo vite umane.
In effetti l’Occidente vive dentro una narrazione contraddittoria, si presenta come impegnato a estendere la ‘democrazia liberale’ (anche con le armi) ma non spiega perché le magnifiche sorti e progressive abbiano portato a Guantanamo. Assange ha ricevuto la solidarietà di Daniele Ellsberg che consentì di portare alla luce i cosiddetti Pentagono Papers nei quali si dimostrava come le amministrazioni Johnson e Nixon avessero mentito al popolo sulla guerra in Vietnam. Ellsberg rubò quei documenti e facendo questo commise un reato (cosa che Assange non ha fatto) ma quel furto voleva salvare delle vite umane. Il governo tentò di bloccare la pubblicazione di quelle carte e la vicenda approdò alla Corte Suprema (la storia è narrata nel film di Steven Spielberg The Post), la quale nell’annullare l’ingiunzione stabilì che ‘solamente una stampa libera e priva di restrizioni può svelare con efficacia inganni orditi dal governo. E al di sopra di tutte le responsabilità che ha una stampa libera, c’è il dovere di impedire a qualunque parte del governo di ingannare il popolo e inviarlo in terre lontane, a morire di febbri ignote e per pallottole e granate straniere’ [pag. 124]. Vi è un filo rosso che lega quello che fece Ellsberg e quello che ha fatto Assange, la battaglia per la verità.
Se la prima vicenda narrata è quella del lavoro di denuncia di WikiLeaks la seconda storia riguarda la vicenda giudiziaria di Assange. È un tema che Melzer affronta in modo molto particolareggiato, iniziando a smontare l’accusa più infamante di tutte che doveva distruggere l’immagine dell’accusato, quella di essere uno stupratore. Nel libro si spiega molto bene come questa accusa e nata e come sia stata usata dalla polizia e della magistratura svedese (un Paese considerato amico e fedele da parte degli Stati Uniti), non solo non vi è stato rispetto per la figura di Assange ma ancora meno sono state rispettate le due donne coinvolte nella vicenda (che non hanno mai denunciato lo stupro), nel libro l’Autore non fa i loro nomi ma durante le indagini le loro identità sono ‘casualmente’ diventate pubbliche.
I documenti riportati nel libro, di cui si è occupata anche Stefania Maurizi, dimostrano come quella contro Assange non fu una normale inchiesta ma un accanimento che aveva l’obiettivo di estradarlo in Svezia per poi consegnarlo agli Stati Uniti. La decisione di rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador fu dovuto a questo, la debole accusa di stupro è stata poi archiviata ma il vero problema è divenuto la richiesta di estradizione verso gli USA. Delle tante vessazioni giudiziarie subite da Assange e della sua reclusione nella ‘Guantanamo inglese’ Melzer parla abbondantemente nel libro, le sue conclusioni ci dicono che siamo di fronte a un caso di tortura. La richiesta statunitense che potrebbe arrivare a costare 175 anni di carcere (ma la pena di morte non può essere esclusa) e le torture a cui Assange è sottoposto sono un accanimento che ha una motivazione reale e razionale, i ‘democratici’ Stati Uniti vogliono mandare un messaggio chiaro, la verità non va rivelata e chi lo fa deve pagare, così come ha pagato Chelsea Manning che è stata spinta a tentare il suicidio in carcere, così come dovrebbe pagare Edward Snowden colpevole anche lui del reato di verità, avendo denunciato il sistema di spionaggio degli USA rivolto contro nemici, amici e contro i propri cittadini.
La terza storia che l’Autore racconta è la sua. Nel dicembre del 2018 Melzer ricevette una mail ‘Julian Assange vuole la tua protezione’ [pag. 18] e la sua reazione fu quella che in molti avrebbero avuto: non si può aiutare uno stupratore, una spia, un terrorista. La campagna mediatica aveva avuto successo, la risposta alla denuncia dei crimini statunitensi e occidentali non è stata la punizione dei responsabile ma la demonizzazione di chi ha svelato la verità e mentre Assange viene torturato in carcere Tony Blair viene riverito in giro per il mondo. L’Autore ci racconta come a poco a poco in lui è nato il dubbio poi si è accesa la luce sulla persecuzione a cui Assange è stato ed è sottoposto.
C’è poi una quarta storia che viene raccontata, scrive Stefania Maurizi nella prefazione ‘per un intero decennio, il Quarto Potere, che in teoria doveva proteggerlo [Assange], è stato – tranne poche nobili eccezioni – tra i suoi più implacabili aguzzini’ [pag. XIII]. La quarta storia riguarda coloro che si sono uniti al coro di condanna o più semplicemente voltano la testa altrove.
Michele Serra rivendicò di non avere difeso il fondatore di WikiLeaks perché con le sue rivelazioni aveva contribuito alla sconfitta di Hillary Clinton, pubblicando mail in cui emergevano i forti pregiudizi del Comitato democratico contro Bernie Sanders, ora chiediamo retoricamente a Michele Serra se quelle mail erano false? Assolutamente no, come scrive Melzer ‘la verità è che Clinton perse le elezioni a causa della sua condotta e di quella del Partito Democratico, non quella di Assange. La verità è che, in ogni processo di elezione democratica, rivelare gli sporchi segreti dei candidati politici è un compito indispensabile dei giornalisti. La verità è che persino celebrità politiche come Hillary Clinton non hanno il “diritto” di vincere le elezioni, ma devono guadagnarselo da sole. E la verità più dura è che non fu WikiLeaks a dare a Donald Trump la presidenza, ma il popolo americano, in un’elezione americana, sulla base della Costituzione americana’ [pag. 271].
Purtroppo la stampa non ha capito o non ha avuto il coraggio di denunciare il feroce attacco alla libertà d’informazione, abbiamo combattuto guerre con la falsa giustificazione di volere esportare la democrazia, stiamo armando l’Ucraina autoconvincendoci che lo facciamo per difendere la nostra democrazia, ma vogliamo chiederci cos’è la nostra democrazia? Melzer lo ha fatto è la risposta non induce all’ottimismo.
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