Il partigiano che divenne imperatore. Marco Ferrari

di Marco Pondrelli

Il romanzo di Marco Ferrari è una lettura avvincente, attraverso le pagine di questo libro troviamo la passione politica, l’ardore rivoluzionario e l’avventura. Quella di Ilio Barontini e dei suoi due ‘apostoli’, Rolla e Ukmar, è una storia poco conosciuta e, per una parte della sinistra italiana, anche scomoda. È la storia di un italiano che andò a combattere in Etiopia contro l’esercito italiano impegnato a costruire l’Impero fascista. Difficile pensare a qualcosa di più lontano dall’americano ‘my country, right or wrong‘, per Barontini le politiche fasciste imperialiste, colonialiste e razziste (già prima del 1938) dovevano essere combattute.

Il romanzo di Ferrari inizia con la descrizione dell’uscita delle Brigate internazionali dalla Spagna, perché ‘il 21 settembre 1938 il nuovo primo ministro Juan Negrín, su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di non intervento, aveva disposto l’abbandono del fronte di tutti i combattenti non spagnoli, stimati in 13.000 unità, con la speranza che la Società delle Nazioni imponesse la stessa misura alle milizie straniere di Franco’ [pag. 6]. Barontini era stato l’artefice della vittoria di Gudalajara e lasciata la Spagna seguì le direttivi del Comintern che aveva deciso ‘di raddoppiare i compagni da inviare in Etiopia’.

Il comunista che divenne vice imperatore si imbarca in questa impresa anche con il sostegno di francesi e inglesi, interessati, per difendere i propri interessi, a combattere l’espansionismo italiano. Mussolini aveva da poco deciso di sostituire Graziani, autore di stragi contro la popolazione civile fatte con l’uso di gas ed altri metodi brutali. Questa brutalità è documentata da molte fonti, un solo esempio ce ne da contezza, l’Autore quando ricorda che ‘il 19 febbraio 1937 – 12 Yekatit, secondo il calendario etiopico – due giovani eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, attentarono alla sua vita [di Graziani N.d.A.]’ nella repressione ‘secondo gli etiopi i morti furono 30.000, secondo gli italiani solo 300. La cifra più probabile della rappresaglia si avvicina ai 4.000 individui. Una nota dell’Arma dei carabinieri, firmata dal colonnello Hazon, datata 2 giugno, parlava di 2.509 indigeni uccisi dai soli militi dell’Arma.’ [pag. 42]. Dopo Graziani venne nominato Amedeo d’Aosta, il quale ‘da un lato assecondava il potere locale favorevole a collaborare con gli italiani, dall’altro concesse l’autorizzazione, almeno fino al marzo del 1939, all’impiego dei gas nelle azioni repressive contro la resistenza etiope e le popolazioni civili.’ [pag. 92].

In questo momento arriva Ilio Barontini, il quale iniziò ad adottare tecniche di guerriglia rifiutando le grandi battaglie in campo aperto, creando una sezione che si occupava di esplosivi e tentando di unificare le tante anime della Resistenza. Il romanzo presenta sempre il protagonista come un rivoluzionario dedito alla sua causa ma anche come un livornese dalla battuta facile, durante la fuga che lo porterà in Sudan quando i suoi compagni (preti coopti) gli fanno notare i vari pericoli e gli elencano ‘i vari animali: il lupo, il facocero, ma anche lo sciacallo, il leopardo, il leone, la iena maculata e persino l’ippopotamo’, lui risponde sarcastico ‘Meglio un pisano all’uscio’ [pag. 139], piace pensare che sia una frase realmente pronunciata.

La scoppio della guerra richiama Barontini in Europa, prima combatterà nella Resistenza francese poi, dopo l’8 settembre, guiderà le formazione partigiane in Emilia-Romagna tanto che ‘Giuseppe Dozza gli conferì il titolo di cittadino onorario della città di Bologna’ [pag. 143]. Una vita avventurosa conclusasi prematuramente per un incidente stradale nel 1951 ma di cui oggi ci dona un bellissimo ricordo Marco Ferrati con questo bellissimo romanzo.

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