
di Marco Pondrelli
Ci sono libro interessanti che possono offrire al lettore analisi interessanti e originali sulle grandi questioni che toccano la nostra epoca, poi ci sono libri come questo che emozionano e che colpiscono il lettore in modo diretto.
Il testo è impreziosito da una prefazione di Ilan Pappé, il quale ricorda come la poesia sia ‘sempre stata una delle manifestazioni più importanti della cultura araba’ [pag. IX]. Questa constatazione si completa con quello che scrivono i tre curatori nell’introduzione, laddove ricordano una domanda che Edward Said rivolse ad Amos OZ, il grande intellettuale di origine palestinese domandò al suo interlocutore il nome di un filosofo o di uno scrittore arabo o palestinese, quella domanda non ebbe risposta.
Il merito di questo volume è aiutarci a conoscere e scoprire la poesia palestinese, che è al tempo stesso una pregevole opera artistica e uno strumento di denuncia dei crimini israeliani. È sempre Chris Hedges a ricordare quello che disse il generale israeliano Moshe Dayan sulle poesie di Fadwa Tuqan ‘erano come affrontare venti combattenti nemici’ [pag. 122]. Personalmente ritengo la poesia ancora più pericolosa, perché si possono uccidere i poeti ma non la poesia, che continuerà a vivere fino a vedere sorgere lo Stato palestinese.
La maggioranza delle poesia pubblicate sono state scritte dopo il 7 ottobre, sono poesie scritte dentro le mura di Gaza, dalle quali alcuni giovani non sono mai usciti, ‘la morte non si trova in trincea ma attende al mercato, sui marciapiedi, cade dal cielo e irrompe nell’intimità domestica’ [pag. 9]. Leggendo il libro si vede come la ferocia israeliana segni in modo sempre più penetrante le poesie, con la morte che ha colpito gli stessi poeti. In particolare Heba Abu Nada è stata uccisa il 20 ottobre 2023 e nel libro vengono pubblicate le memorie pubblicate in rete negli ultimi giorni di vita da cui emerge come la morte sia sentita, come essa si avvicini quotidianamente.
Sempre Chris Hedges ricorda come negli Stati Uniti i campus universitari si siano trasformati in ‘gulag accademici’, con professori sanzionati o licenziati per avere condannato la politica israeliana. Sono queste politiche censorie e antidemocratiche (avviatesi ben prima della vittoria di Trump) che rendono indispensabile la lettura di questo libro ed è quindi giusto citare in conclusione i poeti le cui opera compone la pagine di questo bellissimo libro: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour (condannata in passato da Israele per le sue poesie), Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada, Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer ucciso in un raid mirato il 6 dicembre 2023.
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