Il fallimento della moneta. Banche, debito e crisi. Perché bisogna emettere una moneta pubblica libera dal debito. Enrico Grazzini

di Marco Pondrelli

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Il libro di Enrico Grazzini è compreso in due frasi, la prima la scrive Mauro Gallegati nell’introduzione: ‘uno dei meriti del lavoro di Enrico Grazzini è quello di concentrare l’attenzione sulla pressoché completa autonomia delle attività finanziarie rispetto a quelle reali’ [pag. XVIII], la seconda la si trova verso la fine del libro quando lo stesso Autore scrive: ‘la tesi finale di questo libro è che per uscire dalla crisi occorre prima di tutto realizzare un sistema monetario democratico’ [pag. 378].

Il primo tema che viene messo a fuoco è quello della privatizzazione della moneta, la moneta viene creata alle banche, non solo dalla banca centrale, le quali quando concedono un prestito creano moneta dal nulla. Le innumerevoli crisi degli ultimi decenni sono figlie della mancanza di un controllo democratico sulla creazione di moneta, perché, come mette in evidenza l’Autore che deve molto nello sviluppo delle sue idee a Luciano Gallino, ‘una tesi forte di questo libro è che la finanza speculativa costituisce il maggiore punto debole e di crisi del capitalismo occidentale e può rappresentare la causa principale della possibile prevalenza del “socialismo di mercato” cinese’ [pag. 24]. Questa affermazione è convalidata dall’andamento economico degli ultimi anni, fino al 1971, ovverosia durante la durata degli accordi di Bretton Woods, non vi sono mai state crisi sistemiche che invece si sono sviluppate successivamente, scrive Grazzini ‘dal 1975 in poi ci sono state 147 crisi bancarie, 218 crisi valutarie e 66 crisi di finanziamento di un paese’ [pag. 22]. Difficile non essere d’accordo con l’Autore quando dice che il vero nemico del capitalismo non è la Cina comunista ma il caos della finanza [pag. 224].

Molte pagine del libro sono dedicate alle analisi dei limiti di questo sistema, con un divario sempre più crescente fra economia reale ed economia di carta, un’economia quest’ultima che moltiplica gli strumenti finanziari per speculare su uno stesso prodotto, un po’ come se un privato cittadino ipotecasse più volte la sua casa con banche diverse… Il libro tocca ed esamina anche lo scandalo LIBOR, un passaggio molto interessante, quando questo scandalo scoppiò i giornali italiani erano concentrati sulle spese pazze della politica, tema certamente interessante ma se sul piatto delle bilancia si mettono gli scontrini per i quali non c’era diritto al rimborso e i tassi d’interesse che si pagano per i mutui, che si scoprì essere stati manipolati dalle banche per facilitare le loro operazioni, si capisce come la vita delle persone comuni fosse più toccata da questo secondo punto.

La privatizzazione della moneta ha reso la politica vassalla della finanza, solo poche grandi banche sono primary dealer cioè hanno il diritto di acquistare titoli di Stato sul mercato primario, questo spiega la frase che viene pronunciata dopo qualsiasi atto economico di un governo: ‘vedremo come reagiranno i mercati’. In realtà i mercati non sono entità astratte ma sono ‘politicamente orientati’, altrimenti non si capirebbe perché fino a poco prima della crisi del 2008 i titoli che di lì a poco sarebbero diventati spazzatura, nel senso vero della parola, fossero considerati sicuri. Sono gli stessi mercati che credevano nell’austerità espansiva, un ossimoro che ha prodotto solo disastri e povertà.

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La domanda che l’Autore si pone e pone a noi lettori alla fine del libro è se questo sistema è riformabile, risponde Grazzini ‘il capitalismo sembra paralizzato, impotente di fronte ai suoi squilibri strutturali, è incapace di auto riformarsi’ [pag. 329]. Personalmente sono convinto dell’irriformabilità di questo sistema che oltre ad essere irriformabile non è neanche sostenibile (anche da un punto di vista ambientale come l’Autore nota). Questa analisi mi porta a dire che il sistema finanziario è destinato a crollare, però non vedo all’orizzonte l’alternativa ‘socialismo o barbarie’, dal crollo potrebbe nascere anche un patto ‘neo-keynesiano’ orientato più alla produzione e meno alla finanza, ma qui siamo nel campo delle congetture. A questo sistema va contrapposto quello cinese, che non ha fatto proprio, come qualcuno anche a sinistra dice, il neoliberismo. Pur avendo problemi, che nel libro vengono sviscerati, la Cina non ha trasformato la propria economia in carta mantenendo invece una forte manifattura.

Come già detto la tesi del libro è che sia necessaria una democratizzazione della moneta, chi obbietta che questo potrebbe portare a più inflazione e più debito, perché le scelte economiche sarebbero piegate al consenso ricercato dai politici, deve guardare la storia che abbiamo alle spalle che, nei Trenta Gloriosi, non ha prodotto debito insostenibile così come non ha prodotto un’inflazione insostenibile. La vera domanda a cui il mondo dovrà rispondere è come trasformare la nostra economia torcendola verso un approccio produttivo, limitando il ruolo della finanza nello stesso momento in cui arrivano, o sono già arrivati, molti nuovi protagonisti sulla scena mondiale (Cina, India, Brasile, Iran…). La risposta starebbe in una nuova Bretton Woods, la quale però fu figlia della imminente fine della Seconda Guerra mentre oggi il mondo sembra avere intrapreso la strada inversa.

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