Il Capitale vede rosso. Socialismo del XXI secolo e reazione neomaccartista. Carlo Formenti

formentiIl libro di Carlo Formenti sarà presentato lunedì sera alle ore 21,00, ne discuteranno l’Autore, Bruno Steri e Marco Pondrelli. Questi sono i link da cui seguire l’iniziativa:

https://www.facebook.com/marx21it/

https://www.youtube.com/watch?v=2GgRYzLgSH4

di Marco Pondrelli

L’ultimo lavoro di Formenti che lui stesso nella nota introduttiva definisce ‘libretto’ è in realtà una lettura non semplice perché, per quanto breve, è un’opera molto densa che richiede grande attenzione da parte del lettore.

È meritorio da parte dell’Autore affrontare criticamente alcuni temi di grande attualità come il populismo e il sovranismo. Nel dibattito odierno queste sono diventate categorie jolly dentro le quali si mette tutto e il contrario di tutto senza premurarsi mai di chiarire i confini di questi strumenti.

Il populismo, come Formenti già in passato ha sottolineato, si è storicamente prodotto (o meglio si sono manifestati movimenti che si sono definiti tali) in contesti ed in modi molto diversi, è difficile trovare punti di contatto fra il populismo statunitense e quello russo così come fra Peron e Atatürk.

Si può studiare il populismo in una prospettiva storica ma non lo si può approcciare come una teoria, perché una teoria populista non c’è. Per approfondire il tema Formenti cita il filosofo argentino Laclau, che definisce il populismo come il prodotto dell’incapacità della classe dirigente di dare risposte alle molte domande che nascono nella società, ci sono domande inascoltate e l’incapacità del sistema di assorbirle in modo differenziale [pag. 19]. Il limite di Laclau è vedere solo una contrapposizione fra alto e basso, il popolo, unito da alcune parole d’ordine generiche, contro le élite, non c’è, ed è questa la critica di Formenti, un’analisi dei rapporti di classe e di conseguenza non c’è spazio per la lotta di classe.

A questo ragionamento segue un’analisi sul ‘sovranismo’. Come spiegato da Carlo Galli, da cui Formenti parte, la sovranità è legata alla modernità e dentro di essa che storicamente si è svolta la dialettica destra sinistra. In quest’ottica l’errore della sinistra fu quello di abbandonare la difesa dello Stato. Mentre l’ordoliberismo ha posto al centro della sua azione politica lo Stato (le controriforme necessitano di più Stato non di meno Stato) la sinistra ha contribuito al suo smantellamento. Oggi parlare di sovranità vuole dire, come messo in rilievo da D’Attore, parlare del politico ovverosia di ridare alla politica la possibilità di ridiscutere i rapporti di forza sociali. L’idea diffusa in tanti gruppi e gruppuscoli di sinistra del partire da se stessi è velleitario, perché non capisce che è nello Stato che si misurano i rapporti di forza di classe.

Venuto meno lo Stato è venuta meno anche l’dea di lotta patriottica, che invece Formenti pone al centro della sua riflessione, riprendendo l’elaborazione di Domenico Losurdo per il quale ‘la perdita della consapevolezza del ruolo potenzialmente progressivo ed emancipatorio dello stato nazione in quanto espressione della sovranità popolare ha radici lontane’ [pag. 51]. Su questo Losurdo poggiava anche la sua riflessione sulle colonie e su questo Samir Amin poggia la sua riflessione sul delinking, cioè sulla necessita dei paesi del sud Europa di staccarsi dalla Ue come condizione necessaria per tornare a politiche progressiste.

La parte finale del libro è una riflessione, autocritica, sulla Cina, sulla Bolivia e sul socialismo nel XXI secolo in Occidente.

L’analisi sul caso cinese è una riflessioni sugli errori di valutazione che in tanti a sinistra hanno compiuto. Il punto centrale, come sosteneva Giovanni Arrighi, è che l’apertura al mercato non vuole dire accettazione del capitalismo. Per questo l’Autore afferma che ‘il cosiddetto socialismo dalle caratteristiche cinesi non è un banale orpello ideologico per giustificare le riforme pro mercato, ma rispecchia l’influenza profonda che antichissime tradizioni storiche – dall’etica confuciana, al centralismo delle istituzioni imperiali, al radicato senso comunitario e anti individualista della cultura cinese – esercitano sul peculiare modo di concepire il socialismo di Pechino’ [pag. 74].

Guardare all’esperienza cinese aiuta anche a capire che oggi il socialismo in Occidente deve trovare nuove strade, pensare al socialismo nel nostro mondo richiede un grande sforzo non solo nel ripensare la nostra base sociale (che cos’è oggi mondo del lavoro?) ma anche nell’elaborare e nel pensare questa nuova strada.

L’Autore non ha la pretesta di definire un percorso chiaro ed univoco ma offre alcuni interessanti spunti. Personalmente il primo punto su cui riflettere lo trovo nel paragrafo dedicato alla Bolivia, qui Linera ripensando, dopo il golpe del 2019, in modo autocritico all’esperienza boliviana sostiene che l’errore fu pensare di poter modificare lo Stato dall’interno. È un problema ben presente anche alle nostre latitudini, la burocrazia ministeriale, i mass medie, l’apparato repressivo dello Stato sono strumenti senza i quali è difficile governare. Il cosiddetto governo gialloverde aveva nel suo programma anche punti interessanti come, ad esempio la separazione di banca commerciali e di investimento o la nascita di una forte banca pubblica ma, come per la nazionalizzazione di autostrade, la realtà ha dimostrato che per alcune riforme non basta avere la maggioranza elettorale.

Come nota giustamente l’Autore programmi come quelli di Corbyn, Sanders o Podemos che un tempo sarebbero stati accettati dentro compromesso keynesiano oggi sono divenuti irrealizzabili, è il sistema economico-finanziario attuali li rende impossibili.

La battaglia deve essere quindi non solo quella che porta a ritrovare la propria sovranità ma anche quella per modificare i rapporti di forza sociale, la battaglia per il socialismo non può essere rimandata ma deve essere unita a quella contro l’Ue, guardando, ed è la chiusura del libro che mi sento di condividere, al nuovo mondo che sta nascendo a partire dai Brics.