
di Marco Pondrelli
Quando si affronta il tema Hong Kong è sempre difficile decidere se affrontarlo da un punto di vista storico-politico oppure da un punto di vista comunicativo, per analizzare come la stampa occidentale vi si approccia. A tal proposito è interessante leggere quanto scrive Andrea Turi (uno dei tre Autori) sulla copertura mediatica, nel 2019, anno in cui si sono avute proteste duramente represse in molti paesi del mondo (solo per citare i casi più eclatanti, Francia, Cile, Gaza, Libano, Ecuador e Haiti) cnn e New York Times hanno dedicato 737 ‘storie’ sulle proteste di Hong Kong, 12 all’Ecuador, 28 ad Haiti e 36 al Cile [pag. 202]. Questa è la dimostrazione eclatante che l’interesse su il ‘porto profumato’ (come veniva chiamato degli inglesi) poco ha a che fare con la difesa dei diritti umani e tanto invece con la geopolitica, giustamente Andre Vltchek chiese retoricamente, attraverso una lettera aperta, ai giovani che protestavano, ‘negli ultimi decenni, quanti Paesi sono stati attaccati dalla Cina e quanti dall’Occidente ?’ [pag. 184], qui si inserisce la riflessione sulle cosiddette rivoluzioni colorate, operazione attentamente pianificate sia da un punto di vista miliare che informativo. I casi in questi anni sono tanti, tutti simile fra loro. È triste notare come la sedicente sinistra radicale ed alternativa spesso si ritrovi a sostenere gli agenti provocatori statunitensi in nome di un non meglio precisato spirito libertario. Sempre Turi ricorda un tweet di Hillary Clinton la quale scriveva ‘possiamo tutti essere solidali con il popolo di Hong Kong’ tweet al quale qualcuno sulla rete rispose ‘no, per favore. L’ultima volta che sei stata solidale con gli altri, Libia, Siria, Iraq, Yemen … sono stati tutti rasi al suolo’ [pag. 214].
Oramai non c’è più bisogno di dimostrare la strumentalità di certe posizioni, personalmente sono sempre più convinto che il mondo che i media si sono costruiti non abbia alcun rapporto con la realtà e gli stessi autori continuano ad usare argomenti e parole che probabilmente non convincono neanche loro…
La posizione assunta dai Five Eyes in primis da Stati Uniti e Gran Bretagna, subito fatta propria dai commentatori nostrani, è che la nuova legge per la tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong non rispetterebbe l’accordo fra Gran Bretagna e Cina. Premesso che in tutto questo non si capisce quale sia il ruolo degli USA che non sono mai stati una delle parti coinvolte, è però interessante soffermarsi sul merito della questione. Come ha notato John Lee Ka-Chiu, funzionario di Governo e Segretario per la sicurezza della HKSAR, ‘diversi paesi hanno promulgato leggi per la salvaguardare la sicurezza nazionale’ a partire, ovviamente dagli Stati Uniti [pag. 156], questo perché ogni paese ha diritto di tutelare la propria sovranità nazionale. Ancora più interessante è l’accusa, sempre dei Five Eyes, che la legge cinese violerebbe il quadro ‘un Paese, due sistemi’, come fa notare Lu Wenwen la Cina ha ripreso ad esercitare la sua sovranità su Hong Kong dal 1° luglio 1997 concedendo una grande autonomia nel quadro, come stabilito dall’Accordo internazionale, della insindacabile unità nazionale [pag. 158]. Infine va notato come ‘dopo l’esecuzione di tutti i paragrafi della Dichiarazione Congiunta il Regno Unito non ha più sovranità, giurisdizione o ‘diritto di supervisione’ su Hong Kong’ [pag. 159].
Le proteste promosse da una parte della popolazione e che hanno visto sventolare assieme all’immancabile bandiera statunitense la bandiera coloniale britannica, sono state osteggiate da parte della popolazione che molto spesso, come la polizia, è stata aggredita. La differenza è che mentre nel resto del mondo, a partire dalla Francia, le manifestazioni venivano represse producendo feriti e spesso morti ad Hong Kong la situazione non è precipitata.
Occorrerebbe riflettere, ma questo non è nelle corde di chi confonde l’informazione con la propaganda, sui limiti del sistema britannico e sui miglioramenti che i rapporti con la madrepatria hanno portato sia per il ‘porto profumato’ che per Pechino. Il ruolo strategico che Hong Kong ha sempre avuto l’ha resa importante per gli inglesi e per i giapponesi ed oggi la rende una importante tappa sulla nuova via della seta terreste e marittima che ‘completano un’importante strategia di sviluppo nazionale’ [pag. 100].
L’analisi delle prospettive e la storia di Hong Kong completano il libro che è uno dei migliori contributi usciti per fare chiarezza sulle vicende del ‘porto profumato’ al di là della propaganda a cui siamo stati abituati.