Guerra e rivoluzione. Le macerie dell’Impero. Carlo Formenti

di Marco Pondrelli

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Credo che a tutti sia successo nella propria esperienza politica di sentirsi dire che i comunisti e la sinistra non affrontano i veri problemi, che ci sono questioni profonde e strategiche che bisognerebbe discutere. Il primo motivo di interesse che suscita il libro di Carlo Formenti (il primo di due volumi) sta proprio qui, nel tentativo di non limitarsi ad un approccio metodologico ma di affrontare e discutere nel merito queste questioni. Questo è un tentativo radicale, perché approccia i temi della ricostruzione di un pensiero e di una prassi comunista dalle radici.

Coerentemente l’Autore si misura con ‘testi sacri’ senza timore reverenziali, la stessa spregiudicatezza (ovverosia assenza di giudizi sviluppati a priori) che guidò i grandi pensatori della tradizione comunista.

La prima parte del libro è la cassetta degli attrezzi, Formenti rifiuta la visione del marxismo ‘come paradiso in terra’ che nella visione di Bloch diventa ‘un esempio perfetto di commissione fra discorso grande-narrativo e discordo deterministico naturalistico’ [pag. 31]. Un marxismo eccessivamente intriso da un’impostazione positivista ha assunto connotati di forte determinismo, che spiega perché nel suo ‘Significato e fine della storia‘ Karl Löwith polemicamente univa a Marx non solo pensatori come Hegel e Voltaire ma anche Gioacchino da Fiore, presentando il marxismo come una secolarizzazione del cristianesimo.

Queste considerazioni si legano alla critica della rivoluzione come prodotto delle società avanzate e sviluppate, la storia, scrive l’Autore, dimostra il contrario e non si può semplificare limitandosi a sottolineare i limiti soggettivi di chi guidò tentativi rivoluzionari come ad esempio quello tedesco. Centrale è in questa analisi il ruolo di Lukács nel ridare centralità al lavoro operazione teorica che il marxista ungherese pone alla base della critica del materialismo meccanicista.

Brevemente ho tentato di riassumere una riflessione profonda a complessa, che serve come primo mattone posto a fondamenta di un ragionamento che si sviluppa successivamente nell’analisi sull’attacco che è stato lanciato contro le classi lavoratrici a partire dagli anni ’80. Formenti analizza come dalla fine dei ‘Trenta gloriosi’ si sia avviata una fase di finanziarizzazione dell’economia accompagnata ad un forte ridimensionamento salariale. Alla finanziarizzazione si è accompagnata la globalizzazione fenomeno ‘presentato come il frutto “oggettivo” delle “leggi” dell’economia’ [pag. 72] ma che in realtà è stato guidato da un chiaro obiettivo politico. L’opportuna osservazione su questi cambiamenti riguarda la sinistra ‘se è mancata una reazione adeguata alla controrivoluzione orizzontalista, è soprattutto perché le culture di sinistra che avrebbero dovuto agire da “incubatore” di tale reazione sono invischiate nel paradigma dominante’ [pag. 122].

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Coerentemente con quanto scritto l’Autore prosegue con un’analisi sui conflitti internazionali di questi anni, ponendosi e ponendo al lettore una domanda: ‘l’imperialismo non esiste più?’ Non è una domanda mal posta se pensiamo che agli inizi degli anni 2000, proprio alla vigilia dell’avvio della guerra infinita di Bush jr, il Congresso di Rifondazione Comunista definì, seppur a fronte di un’importante opposizione, non più attuale questa categoria. Erano gli anni dell’Impero di Negri e della fine degli stati nazionali. Nel libroricostruisce il dibattito che parte da Lenin, passa da Paul Baran e Paul Sweezy per arrivare a quella che Visalli definisce la ‘banda dei quattro’ Wallerstein, Samir Amin, Arrighi e Gunder Frank. Nel confermare la validità di questa categoria Formenti, in questo molto vicino a Domenico Losurdo, la pone al centro della prassi comunista. Samir Amin ‘sosteneva la necessità dei Paesi del Sud di sganciarsi dal mercato globale per proteggersi dalla concorrenza delle industrie capitalistiche, e di imboccare la via del capitalismo di Stato come primo passo verso la transizione al socialismo’ [pag. 114], il colonialismo oggi è prima di tutto economico e queste parole possono essere applicata anche ai ‘Paesi euromediterranei’ [pag. 162].

Fissati questi paletti teorici l’Autore si sofferma sui limiti della sinistra sostenitrice del sistema neoliberale, il ’68 venuta meno l’ipotesi di alleanza fra operai e studenti divenne una critica al potere, anche quello socialista, e con lo slogan ‘il pubblico e privato’ si è aperta la strada all’ingresso del tempo di lavoro nella vita privata. Anche il femminismo ha perso la sua carica di critica al patriarcato e al capitalismo per diventare una rivendicazione di posti per poche fortunate, che non hanno problemi o remore morali nello sfruttare altre donne. Assieme al femminismo tutto l’armamentario della sinistra attuale viene sottoposto a critica feroce da parte dell’Autore, dalla retorica sui ‘beni comuni’ all’ambientalismo per arrivare al politicamente corretto che ‘ha attecchito perché collima con le esigenze di una élite globalista che, per consolidare la propria egemonia, deve alimentare un immaginario multiculturale e transnazionale’ [pag. 222].

In conclusione questo primo volume, come chiarito dall’Autore nella prefazione, rappresenta la pars destruens il secondo che verrà edito a breve rappresenterà la pars costruens, dobbiamo sperare che quest’opera apra un profondo dibattito a sinistra e fra i comunisti, perché è solo dal confronto e anche dallo scontro, che può nascere una nuova prassi che rilanci la lotta in Italia.

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