Germania: Nazione e Soviet. Comunisti e questione nazionale tra Weimar e la DDR. Marco Bagozzi

di Marco Pondrelli

L’ultimo libro di Marco Bagozzi tocca un argomento tanto importante quanto foriero di polemiche. Parlare di questione nazionale induce in una parte della sinistra il riflesso pavloviano dell’accusa di ‘rossobrunismo’. In realtà questo è un dibattito che ha attraversato il movimento comunista. Nel primo capitolo l’Autore citando Ho Chi Minh ricorda come ‘il vero patriottismo e l’internazionalismo proletario siano inestricabilmente legati fra loro’ [pag. 5]. Questa affermazione non vale sono per il Vietnam, i paesi socialisti, come ad esempio Cuba o la Cina, che hanno sofferto la atrocità dell’imperialismo e che ancora ne sentono il pericolo sono intrisi di un forte patriottismo (da non confondersi con il nazionalismo). La stessa Resistenza italiana fu una lotta di liberazione nazionale, che permise di riappropriarsi anche della parola Patria che per vent’anni era stata declinata solamente con l’aggettivo ‘fascista’.

La polemica fra Lenin e Rosa Luxemburg tocca questo punto. La rivoluzionaria polacco/tedesca sostiene che ‘in tutti gli stadi della rivoluzione i socialisti non abbiano da immischiarsi nelle rivendicazioni democratiche della borghesia e quindi nella questione nazionale’ [pag. 6], la posizione di Lenin è differente. In un articolo pubblicato sul New York Daily Tribune l’8 agosto 1853 Karl Marx sosteneva che ‘la profonda ipocrisia, l’intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinnanzi senza veli, non appena dalle grandi metropoli, dove esse prendono forme rispettabili, volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude’, è da qui che prende avvio il ragionamento leninista. Ne “La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione” (1916) il grande rivoluzionario bolscevico individuava la centralità nella lotta dei popoli oppressi contro gli stati coloniali, ben sapendo che il fine non è l’indipendenza nazionale. Lenin afferma: ‘la rivoluzione socialista può divampare non soltanto in seguito a un grande sciopero o a una grande dimostrazione di strada […] ma anche in seguito […] a un referendum sulla questione della separazione di una nazione oppressa’.

La lotta all’imperialismo non è altro rispetto alla lotta di classe, se pensiamo alla grande stagione della decolonizzazione dobbiamo riconoscere il suo intrinseco valore progressivo e non condannarla perché alla base aveva l’idea di nazione. Il dibattito che attraversa il movimento operaio tedesco del primo dopoguerra deve essere letto alla luce di queste considerazioni. La Germania è una nazione sconfitta, in parte occupata e senza più una propria sovranità nazionale, in questo quadro vanno lette le idee di Laufenberg e Wolffheim, due comunisti molto eterodossi, che affermano la necessità ‘di riunire attorno al proletariato la maggioranza dei settori non operai [pag. 25]’. È un’analisi non dissimile da quella di Zjuganov, il quale vuole una Russia in cui la parte più avanzata della borghesia (un tempo si sarebbe parlato di ‘borghesia illuminata’) sotto la guida della classe operaia combatta l’imperialismo statunitense.

Gli ‘eretici’ Laufenberg e Wolffheim rappresentano solo la prima fase dell’analisi di Bagozzi, la seconda riguarda la vicenda di Leo Schlageter che Radek definì ‘il vagabondo del nulla’, termine che venne ripreso da Antonio Gramsci (il pellegrino del nulla) quando il 28 agosto su ‘Stato operaio’ intervenne in merito all’omicidio Matteotti. Schlageter, fervente nazionalista, andò nella Ruhr appena occupata da Francia e Belgio per combattere gli eserciti invasori e pagò questa sua battaglia con la fucilazione. La destra nazionalista aveva organizzato squadre per compiere atti di sabotaggio, in questo quadro il KPD non rimase neutrale anzi, ribadendo la propria critica al Trattato di Versailles, lanciò un appello per ‘organizzare una lotta difensiva contro il predone straniero’ [pag. 48]. In questo frangente August Thailheimer descrisse ‘la resistenza della borghesia tedesca come un fattore rivoluzionario’ [pag. 49], sempre sotto la guida della classe operaia tedesca. Entrando nello specifico dell’analisi del Partito Comunista si capisce come nacque in Gramsci il riferimento all’articolo di Radek nel pensare criticamente la battaglia di Giacomo Matteotti, avulsa ed estranea ad uno scontro di classe.

L’ultima fase analizzata dall’Autore è collocata dopo la vittoria di Hitler e del nazismo con l’appello firmato da Ulbricht che sembra ricalcare quello del 1936 che il PCI fece ai fratelli in camicia nera. In questo appello scritto all’inizio dell’avventura nazista si tentava di smascherare il vero volto del nazismo, facendo appello al sentimento di giustizia ed eguaglianza che molti tedeschi nutrivano. Fu un appello tardivo e velleitario. Come chiosa Bagozzi nelle conclusioni gli errori del KPD furono molti, non ultimo essersi rapportato in modo altalenante rispetto alla questione nazionale senza avere la capacità di porsi come il partito della ‘Classe lavoratrice e produttiva della nazione’ [pag. 127].

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