di Marco Pondrelli
Thomas Sankara è stato un rivoluzionario anti imperialista la cui figura rimane, purtroppo, poco conosciuta. Nel bel libro curato da Giulio Chinappi se ne ricostruisce la figura attraverso i discorsi e le interviste tenute dal 1982 al 1985. Sankara guidò il suo Paese, l’Alto Volta poi divenuto Burkina Faso, fino al 1987 anno in cui fu deposto ed assassinato a seguito di un golpe.
Spesso ricordato come il Che Guevara africano Sankara dedicò la sua vita all’emancipazione del popolo burkinabé ed alla lotta contro l’imperialismo (imperialismo francese e statunitense che ebbe un ruolo fondamentale nella sua uccisione). Al fondo della sua lotta egli pose la liberazione e l’emancipazione dell’uomo e della donna (tema quest’ultimo su cui dedicò grande attenzione). Condizione essenziale per l’emancipazione di tutto il popolo, da questa convinzione nasce l’importanza che Sankara riconosce alla scuola ed alla cultura. È questa fiducia nel popolo, ‘quando il popolo si leva in piedi l’imperialismo trema’, che guidò la sua battaglia anti-imperialista contro la Francia. Dal 1981 la Francia aveva un Presidente socialista, Mitterrand, ma come denunciò il rivoluzionario africano non c’era differenza fra destra e sinistra o meglio ‘c’era la stessa differenza che c’è tra un berretto bianco e un bianco berretto’ [pag. 241]. La battaglia per l’emancipazione e la sovranità nazionale porta Sankara ha guardare con grande simpatia ai Paese che combattevano, e combattono, la stessa battaglia, come Cuba o la Corea, ma anche a sostenere nell’ottobre del 1984 mentre era in visita ad Harlem (i filmati sono disponibili online), ‘che la battaglia che stiamo conducendo in Africa e principalmente in Burkina Faso sia la stessa che state conducendo ad Harlem’ [pag. 138].
Questa battaglia portò il Burkina Faso a fare parte dei paesi non allineati ma, pur con critiche che Sankara non fece mancare all’URSS, questo non volle dire equidistanza, perché il non allineamento non andava confuso ‘con la complicità della passività di fronte ai crimini dell’imperialismo contro l’indipendenza e la libertà dei popoli’ [pag. 29].
Il leader africano era consapevole che la fine del colonialismo non significava la libertà ma piuttosto l’inizio dell’epoca neocoloniale, nella quale alle armi veniva sostituta la moneta (il franco francese) e il ricatto del debito. Questa consapevolezza era alla base delle critiche rivolte agli aiuti umanitari, che andavano rifiutati quando avevano altri scopi che non il sostegno al Paese. La stessa convinzione sta alla base della sua idea di ambientalismo, se come disse Chico Mendes l’ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio, allo stesso modo l’ambientalismo diventa giardinaggio senza l’anti imperialismo. È un concetto che Sankara riafferma quando analizzando la siccità che ha colpito alcuni paesi africani, fra cui il suo, sostiene che oltre alla cause naturali vanno considerati i danni del colonialismo che ‘non ha mai pensato di dotare l’Africa di un’infrastruttura che le consentisse di garantire la sua autosufficienza alimentare’ [pag. 258].
C’è un ultima riflessione che è opportuno sottolineare. Nel libro è riportata l’intervista a firma del grande intellettuale camerunese Mongo Betti, in queste pagine Sankara riflette sul rapporto fra progresso e tradizione, sostenendo la necessità di rafforzare ‘l’aspetto progressista’ [pag. 239] che è presente in ogni tradizione. Ecco perché la rivoluzione non è esportabile, perché essa è prima di tutto una rivoluzione nazionale, fatta da un popolo che vuole combattere per la sua emancipazione. È un’idea che andrebbe ripresa oggi di fronte al disastro afgano, anziché pensare di portare la democrazia o aiutare le donne con le bombe, vanno rafforzate le parti più avanzate di ogni società.