
di Marco Pondrelli
La situazione internazionale è drammatica, alla crisi ucraina si è sovrapposta quella palestinese, inoltre ci sono tanti altri fronti aperti in giro per il mondo, a partire dal continente africano. In questo quadro l’ultimo libro di Giacomo Gabellini potrebbe sembrare avulso dalla realtà, un esercizio intellettuale senza alcun legame con il mondo reale. Leggendo il libro però ci accorgiamo di quanto esso sia invece inserito nell’attuale crisi globale.
Il lavoro di Gabellini non è un testo solamente economico, esso affronta la realtà da differenti prospettive: politiche, geopolitiche e storiche. Il tema dell”esorbitante privilegio’ statunitense è oggi al centro del dibattito politico internazionale (non certo di quello italiano), il dollaro si è costruito e rafforzato come moneta di riserva mondiale attraverso alcuni passaggi, Bretton Woods nel 1944, la fine della convertibilità decisa nel 1971 da Nixon e il crollo dell’Unione Sovietica, quando gli Stati Uniti sono diventati l’unico impero mondiale e il dollaro la loro moneta.
Gabellini ripercorre in modo molto chiaro la storia economico-politica degli Stati Uniti dagli anni ’80 ad oggi, nel momento stesso in cui si rafforzava il ruolo del dollaro si minavano le basi dell’economia statunitense, ‘uno degli effetti più rilevanti ascrivibili al cambio di paradigma monetario varato negli anni Ottanta […] fu indubbiamente quello di mettere in moto un processo di “distruzione creatrice” di stampo schumpeteriano culminato con la ristrutturazione integrale del sistema produttivo statunitense’ [pag. 35]. Da profondo conoscitore della realtà statunitense l’Autore coglie la portata complessiva del reaganismo, che non fu solo un cambio di governo ma anche di paradigma politico, basti pensare che fino al Clinton tutti i candidati democratici alla presidenza si erano ricollegati al New Deal roosveltiano, successivamente questo non è più successo anche i democratici hanno accettato la lezione reaganiana.
Le riforme degli anni ’80 hanno trovato prosecuzione in Clinton e Bush jr i quali hanno contribuito a gonfiare la bolla della new economy, la crisi del Nasdaq alla fine degli anni ’90 ‘si configurava come un evento di portata epocale in virtù della sua caratteristiche di “disvelare” i limiti intrinseci della perestroijka capitalista’ [pag. 42]. Gli Stati Uniti avevano avviato il processo di de-industrializzazione ma questa crisi non gli ha portati a ripensare il proprio modello, basti pensare che ‘si è registrata la scomparsa di circa 66.000 imprese manifatturiere tra il 2000 e il 2016’ [pag. 47]. In quest’ottica la stessa politica del disaccoppiamento verso la Cina deve essere ripensata, perché mentre la Cina ha impostato una politica basata sul doppio binario (interno e internazionale) gli Stati Uniti non hanno capacità produttive in grado di renderli autonomi.
In quest’ottica si inserisce il ruolo del dollaro che è allo stesso tempo moneta nazionale e mondiale, creando così le premesse per il deficit statale. Questo ‘esorbitante privilegio’ è tale anche perché l’economia degli Stati Uniti non ha più la forza degli anni passati, nuovi attori, a partire dalla Cina, si stanno affacciando sullo scenario internazionale. Si spiega con queste premesse anche la crisi ucraina, Gabellini conosce molto bene le analisi di Qiao Liang le guerre servono agli USA sopratutto per attrarre capitale e in questo caso anche per attirare l’industria europea sul suolo americano. L’Unione europea continuando a seguire la politica statunitense sta costruendo la propria fine.
L’opposizione a questo quadro, come spiega l’Autore in chiusura del libro, è nata in modo disordinato, un rifiuto del ruolo statunitense senza un chiaro orizzonte alternativo, orizzonte che ultimamente sta prendendo forza attorno al ruolo degli Stati che compongono i Brics che nei rapporti fra di loro hanno sostituito al dollaro una moneta frutto di un paniere composto dalle singole divise nazionali. In futuro potrebbe vedere la creazione di una moneta mondiale legata alle singole monete nazionali, cosa che a suo tempo era stata immaginata dal Keynes. La fine del dollaro come moneta di riferimento mondiale sarebbe un durissimo colpo che l’economia statunitense, questa scelta probabilmente aprirebbe una crisi economica ma anche politica dentro al Paese, costringendo Washington ad affrontare i tanti problemi del Paese, dalla povertà, alla diseguaglianza, al razzismo. La vera domanda che sorge dopo la lettura del bel libro di Gabellini non è se tutto questo succederà ma quando.
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