di Leonardo Pegoraro
da Alias-il manifesto, domenica 5 aprile
Recensione a Ideologia e strutture letterarie di Emiliano Alessandroni
Il fenomeno artistico può essere compreso in termini logico-concettuali oppure sfugge ad ogni comprensione razionale? Le concezioni estetiche oggi dominanti propendono nettamente per il secondo approccio, ossia per la tesi dell’inafferrabilità e dell’ineffabilità del bello: non dovrebbe stupire se si considera il successo che ha riscosso e continua a riscuotere il postmodernismo. Nutrendosi alla fonte della cosiddetta Nietzsche-Renaissance e dell’heideggerismo, questo movimento si è opposto al «pensiero forte» del moderno, criticandone la fiducia nella possibilità di conoscere la realtà nella sua stessa essenza e di attribuirle un senso.
Visto da questa prospettiva, appare decisamente controcorrente il saggio di Emiliano Alessandroni, Ideologia e strutture letterarie (Aracne, Roma 2014, pp. 342, 15 euro), un temerario «libro di critica marxista» – come lo definisce Emanuele Zinato nella prefazione – che, fin dalle prime pagine, invita il lettore a rivalutare la lezione hegeliana sull’arte intesa come manifestazione sensibile e corporea dell’idea, ossia dell’intelligibile, dello spirituale. A venire rivendicata è così la centralità di quella ragione da cui mettono in guardia i postmoderni.
Respinta l’idea secondo cui il giudizio estetico sarebbe sempre e solo soggettivo, Alessandroni riconduce dunque il bello a criteri prevalentemente oggettivi. Sì, la decodificazione in senso oggettivo del bello può certo essere difficile, ma mai impossibile: si tratta, in sintesi, di individuare quanta ideologia è presente nell’opera d’arte. Come in un rapporto inversamente proporzionale, infatti, quanto più forte è l’ideologia nell’opera e nelle sue strutture, tanto più limitato rischia di risultare il suo valore estetico.
Una buona parte del saggio è pertanto dedicata all’analisi della categoria di ideologia, da Marx ed Engels a Pareto, da Gramsci a Rossi-Landi. Alessandroni propone di limitare il significato di ideologia alla sua accezione negativa, come sinonimo di marxiana «falsa coscienza». Prendendo le mosse dalla celebre tesi hegeliana secondo cui «il Vero è l’Intero», l’ideologia viene così definita come «unilateralità che assorbe l’intero o che assume verso di esso un atteggiamento invasivo». Un’ideologia è allora più o meno forte (e quindi più o meno evidente) a seconda del suo «livello di invasività». In questo quadro, l’opera esteticamente più riuscita è perciò quella meno ideologica: quella cioè che meglio sa cogliere e raffigurare la molteplicità della verità in tutte le sue parti (ivi compreso, dunque, il momento del falso).
Sarebbe questo, ad esempio, il caso del Faust di Goethe. Un grande esempio letterario di «realismo» e di «passione viva per la realtà», in grado di rappresentare l’universale senza mai sacrificare il particolare. Una «sintesi complessiva della totalità»: dall’universo oggettivo e concreto del «lavoro fisico» a quello soggettivo della «mobilità interiore» dei personaggi. Critico è invece il giudizio di Alessandroni su autori come Shakespeare, Conrad o Calvino, i quali – pur nella loro diversità e a partire dalla loro grandezza – risulterebbero «imbrigliati… all’interno della logica culturale del proprio tempo»: le loro «raffigurazioni cronotopiche» parziali e unilaterali – Alessandroni parla di «manicheismo geografico» e «frantumazione temporale» – finirebbero infatti per limitare oggettivamente l’intero, ossia il vero e, di conseguenza, il bello.
Nonostante alcune assenze, per esempio il confronto con le concezioni estetiche di Benjamin e di Adorno, Ideologia e strutture letterarie costituisce una proposta originale, capace di muoversi tra filosofia e letteratura, più che mai feconda in epoca di specialismi accademici.