di Leonardo Pegoraro
Recensione a Il revisionismo storico. Problemi e miti di Domenico Losurdo
Si potrebbe constatare – banalmente e al limite della tautologia – come la ricerca storiografica, nella sua reinterpretazione del passato e nella sua continua riesamina dei risultati della ricerca precedente, costituisca per definizione un’incessante operazione revisionistica. Da questo punto di vista, a meno che non vogliano limitarsi ad emulare pedissequamente i loro predecessori, tutti gli storici appaiono in qualche modo come dei revisionisti.
Tuttavia, i revisionismi non sono tutti uguali. Un conto è il revisionismo allaMarc Bloch e Lucien Febvre, gli storici della Scuola delle Annales che introducono nello studio della storia altre discipline come l’economia, la sociologia e la geografia. Un altro conto è il revisionismo alla Ernst Nolte e Francois Furet, che demonizzano la tradizione rivoluzionaria e relativizzano il fenomeno del fascio-nazismo. Conviene allora parlare, nel primo caso, di legittime – e talvolta, come nell’esempio citato, straordinarie – riletture e reinterpretazioni della storia; nel secondo caso, in un’accezione negativa, di revisioni storiografiche.
A sposare questo approccio è il saggio di Domenico Losurdo, Il revisionismo storico. Problemi e miti (Laterza, pp. 345, € 24,00). Pubblicata inizialmente nel 1996, questa ristampa ampliata esce in contemporanea con l’edizione inglese, da cui riprende il capitolo finale (Nostalgia dell’Impero: il revisionismo storico in Gran Bretagna). In sintesi, Losurdo definisce il revisionismo storico come quel movimento storiografico (e politico) che procede alla delegittimazione del ciclo rivoluzionario che va dal 1789 al 1917: ad essere liquidate sono, in particolare, la rivoluzione francese e la rivoluzione russa. Questa pericolosa operazione implica, da un lato, la demonizzazione della Resistenza e delle rivoluzioni anticoloniali che si ispirano più o meno direttamente al comunismo; dall’altro lato l’inquietante riabilitazione o bagatellizzazione del fascio-nazismo.
Per contestare le tesi care al revisionismo storico e offrire una reinterpretazione dell’età contemporanea alternativa anche alla vulgata neoliberale, Losurdo si serve del metodo comparatistico, di cui rivendica la scientificità e attraverso il quale rilegge con originalità una serie di categorie al centro del dibattito storiografico, filosofico e politico (guerra civile internazionale, rivoluzione, totalitarismo, genocidio e filosofia della storia).
Sì, a prima vista, anche il revisionismo storico e il neoliberalismo (tra i quali sussistono numerose analogie) sembrano servirsi dell’approccio comparatistico. Ma, a ben guardare, la loro comparatistica appare parziale e ideologica. Mentre relativizzano gli orrori dell’Italia fascista e del Terzo Reich attraverso il confronto con gli orrori della Francia giacobina e dell’URSS staliniana, revisionismo e neoliberalismo tendono infatti a sorvolare sulla violenza che caratterizza i cicli rivoluzionari e, più in generale, la storia dei paesi classici del liberalismo: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. È su «questa mutilazione dell’intero», scrive Losurdo, «che si fondano l’apologetica della tradizione coloniale e la rivendicazione del primato morale e politico dell’Occidente».
Se, invece, si estende il confronto anche all’Occidente liberale risulta evidente la fragilità della tesi revisionistica e neoliberale che mette sul conto della rivoluzione russa la tragedia del Novecento. Lungi dal rappresentare unicamente una risposta all’avanzata del bolscevismo e un’imitazione del Gulag sovietico, i progetti criminali della Germania nazista e dell’Italia fascista hanno infatti a modello l’Impero britannico e quello americano. Paragonando l’operazione Barbarossa alla guerra di sterminio che gli Stati Uniti hanno a loro tempo mosso contro gli «indiani dell’America del Nord», Hitler dichiara di voler edificare nell’Europa orientale e in Russia le sue «Indie tedesche». Allorché avvia i preparativi per la colonizzazione dell’Etiopia, Mussolini rende omaggio alla «grande conquista» del Far West americano.
A glissare su queste pagine di storia è, ai giorni nostri, anche quella forma di revisionismo storico che, grazie a Niall Ferguson, ha trovato un centro d’irradiazione privilegiato in Gran Bretagna e con il quale si misura criticamente il nuovo e ultimo capitolo del saggio di Losurdo. Ferguson trasfigura gli Stati Uniti come gli eredi legittimi dell’Impero britannico – a cui guarda con nostalgia – nonché come i campioni della causa della democrazia e dei diritti dell’uomo. Di fronte alle sue difficoltà e all’odierno riemergere della Cina sullo scacchiere globale, l’Impero americano è allora chiamato per il bene dell’umanità (sic!) a rifiutare apertamente il principio di uguaglianza tra le nazioni e a fondare un nuovo ordine mondiale.
Disgraziatamente, Ferguson non sembra voler prendere le distanze dagli elevati costi umani che il suo progetto imperialista può comportare e che ha già comportato (lo stesso storico britannico ammette che solo la guerra in Vietnam ha causato quattro milioni di vittime). Il successo di cui gode questo «campione del revisionismo filocolonialista» dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore la pace nel mondo e sia interessato a scongiurare le guerre neocoloniali che si preannunciano (e che non escludono l’utilizzo di armi atomiche). Proprio per questo, il libro di Losurdo andrebbe letto non solo per comprendere meglio la storia alle nostre spalle: contiene preziosi strumenti di critica all’ideologia della guerra che l’Occidente sembra oggi intenzionato a rilanciare.