Corrispondenze afghane. Storie e persone in una guerra dimenticata. Nico Piro

di Marco Pondrelli

Il libro di Nico Piro è innanzitutto un insieme di storie. Così come Sara Reginella ha raccontato il Donbass raccontando singole esistenze allo stesso modo Piro ci parla dell’Afghanistan, se volessimo trovare un aggancio cinematografico mentre per la Reginella sarebbe opportuno di parlare di Rossellini o De Sica nel caso in questione viene in mente ‘il buono, il brutto e il cattivo’ di Sergio Leone, è in effetti difficile scorgere il bene nell’Afghanistan di oggi. Sebbene il libro sia stato pubblicato nel 2019 aiuta a capire quello che è successo dopo il ritiro (la fuga) dell’Occidente.

Il racconto del mainstream è come sempre semplice e chiaro, la colazione ha portato in Afghanistan benessere, investimenti, tecnologie, diritti per le donne e democrazia ma appena se ne è andato un gruppo piccolo, molto bene organizzato e violento ha preso il potere riportando Kabul nel medioevo. È un racconto che non riesce a chiarire perché, dopo il ritiro occidentale l’esercito regolare afghano che avevamo così bene addestrato si è sciolto come neve al sole, mentre il Presidente ‘democraticamente’ eletto è scappato con la cassa.

Come sempre gli opinionisti italiani hanno le idee talmente chiare da evitare di porre e di porsi qualsiasi domanda, ad esempio perché hanno vinto i talebani?

La realtà è come sempre diversa e, ahi noi, più complicata. Gli USA in questi 20 anno sono riusciti ad esportare solamente guerra, fame, povertà e tortura, in quest’ultimo caso un’orribile pagina è stata scritta nella base di Bagram che, come ricorda Maria Morigi, è anche il più importante sito archeologico dell’Afghanistan. Le cause della sconfitta statunitense sono profonde, come ho già avuto modo di sostenere la politica di Washington negli ultimi 20 anni è stata volta alla creazione di destabilizzazione. Si crea quindi un’aporia tra le dichiarazione retoriche sull’esportazione della democrazia e le politiche concrete di distruzione dello Stato e di attacchi alla popolazione civile, come spiega molto bene Nico Piro quando afferma che ‘nel primo semestre del 2019 le forze governative e i bombardamenti americani hanno ucciso più civili che i talebani e l’ISIS’ [pag. 25].

A questo distruzione fisica dell’Afghanistan si è accompagnato il disastro economico ‘Kabul è precipitata in un gorgo fatto di rapine, sequestri a scopo di estorsione, furti, omicidi di cui nemmeno si riesce più a tenere il conto e che a qualcuno fa rimpiangere la Sharia dei talebani’ [pag. 351] ed ancora ‘Kabul è una città dove ormai è avvenuta una massiccia opera di “land grabbing”, potenti e speculatori che si sono appropriati di suolo pubblico per costruire palazzoni’ [pag. 524]. Sono queste scelte politiche che hanno portato ad un’aumento dell’insicurezza non solo fisica, a causa degli attentati, ma anche sociale.

Proprio a causa di questa drammatica condizione parte della popolazione si è rifugiata nella droga, oggi l’Afghanistan non è solo il primo produttore di droga ma anche un grande consumatore della stessa. Secondo Saviano1 i talebani sono i nuovi narcos. La scelta, fatta nel 2001, di bloccarne la produzione era in realtà il tentativo di provocare un aumento dei prezzi. Non essendoci controprove questa è un’affermazione fine a se stessa ma rispetto al ruolo dei talebani Nico Piro2 ha già risposto in modo impeccabile mettendo in luce le tante inesattezze presenti nell’articolo, mettendo in luce anche il ruolo dei talebani che non sono produttori ma si limitato a tassare il trasporto della droga. Non si può però tacere il ruolo di tutte le altre forze in campo ed anche il ruolo della coalizione, la quale nel migliore dei casi ha tollerato questa produzione. Come dichiarò il portavoce americano della base di Bagram ‘non siamo una task force antidroga: questo non fa parte della nostra missione’ ed il generale Karl Eikenberry comandante delle forze USA nel Paese disse ‘le droghe sono un male, ma i miei ordini sono che queste non costituiscono una priorità in Afghanistan: la strategia del Pentagono è concentrata sulla sconfitta del talebani, poi a ripulire il Paese dalla droga ci penserà qualcun altro3‘, ma ancora più chiaro fu Donald Rumsfeld Segretario alla Difesa dell’Amministrazione Bush, il quale incontrando i comandanti militari che gli afgani conoscevano come i padrini del traffico di droga disse loro ‘aiutate a combattere i talebani e nessuno interferirà con i vostri traffici4‘.

La droga oltre ad essere un business per i grandi trafficanti (amici dell’Occidente) è un guadagno sicuro anche per gli agricoltori, l’alternativa sarebbe puntare sul altre colture come lo zafferano che potrebbe essere una produzione altrettanto redditizia. Il problema è che mancano le infrastrutture per questa produzione, mentre quelle per raffinare i papaveri e produrre droga ci sono. Per la produzione dei papaveri gli agricoltori vengono pagati a prescindere dal raccolto ed ottengono così una rendita sicura, successivamente nei laboratori di otterrà la droga che potrà invadere le città di tutto il mondo.

In questo contesto ed a fronte di una coalizione che quando è stato scritto il libro controllava il 55% del Paese, i talebani si presentavano come un contro-potere. Come dichiara un rappresentante dei talebani all’Autore ‘nei distretti che conquistano, i talebani agiscono e si organizzano come fossero un governo pienamente legittimo: nominano un governatore e il suo consiglio, amministrano la giustizia, riscuotono le tasse, garantiscono la sicurezza e reclutano truppe’ [pag. 2150]. Il governo dei talebani non è certo democratico ed illuminato, è infatti lo stesso talebano a raccontare senza il minimo cenno d’emozione la lapidazione di una donna adultera. Su questa inaudita ferocia non si possono chiudere gli occhi (così come non si dovrebbero chiudere gli occhi quando casi analoghi capitano in Paesi alleati e amici dell’Occidente), ma ciò non nega il fatto che i talebani sono divenuti governo del Paese assumendo essi il ruolo di national building, la motivazione della vittoria dei talebani sta innanzitutto qui. Chi legge la situazione attuale guardando solo alla borghesia urbana di Kabul non capisce che l’Afghanistan rurale è altro da questo.

Va detto che la condizione femminile anche sotto il governo ‘democratico’ non è quella che i nostri media ci vendono, Piro ricorda il caso di Farkhunda Malikzada che per avere litigato con il sovrintendente della Moschea di Shah-do Shamshira è stata brutalmente massacrata dalla folla. È solo la punta dell’iceberg di un’occupazione militare che, a prescindere dal burqua, non ha realmente migliorato la situazione delle donne vittime di violenza, di discriminazione e di un aumento della prostituzione. È facile per l’Occidente nascondersi dietro il dito della tradizione quando, come ricorda Piro, ‘negli anni Ottanta e fino ai primi anni Novanta le autiste dei filobus avevano la minigonna o si celebravano feste senza separazione tra i sessi’ [pag. 1843]. Questa è l’ennesima dimostrazione di come l’Occidente nelle sue avventure coloniali o pseudo tali abbia sempre sostenuto la parte più reazionaria combattendo e contrastando le tendenza più progressiste (come fu il caso del Presidente Mohammad Najibullah).

Nel libro si mettono in evidenza le differenza fra al Qaeda e i talebani e fra l’ISIS e i talebani, mi sento quindi di concludere riaffermando che il terrorismo sarà lo strumento per destabilizzare l’Afghanistan in funzione anti-cinese ed anti-russa.

Le citazioni delle pagine si riferiscono all’edizione e-book.

Note:

1Saviano Roberto, I talebani sono i nuovi narcos: eroina, miliardi e geopolitica, https://www.corriere.it/video-articoli/2021/08/18/i-talebani-sono-nuovi-narcos-eroina-miliardi-geopolitica/8d708f36-ff7c-11eb-afac-f8935f82f718.shtml

2Piro Nico, La narrazione dell’oppio afghano è sbagliata, proviamo a riscriverla, da https://nicopiro.it/2021/08/20/la-narrazione-delloppio-afghano-e-sbagliata-proviamo-a-riscriverla/

3Piovesana Enrico, Afghanistan 2001-2016. La nuova guerra dell’oppio, Arianna editrice, 2016, Bologna, pag. 44.

4Rubin Barnett R., Drugs and security : Afghanistan’s fatal addiction, New York Times, 28 ottobre 2008, da https://www.nytimes.com/2004/10/28/opinion/drugs-and-security-afghanistans-fatal-addiction.html