di Marco Pondrelli
In occasione dei 100 anni della marcia su Roma, Luca Cangemi ha curato questo interessante volume di scritti gramsciani. Sono alcuni articoli nei quali il dirigente comunista analizzò l’allora nascente fascismo.
La marcia su Roma non produsse da subito la dittatura fascista. Il primo governo Mussolini era un governo di coalizione, Giovanni Gronchi che sarebbe diventato Presidente della Repubblica, anche con i voti del Partito Comunista, era sottosegretario all’industria per il Partito Popolare. Per quanto l’attività delle opposizioni fosse ostacolata, essa rimase possibile fino alle leggi speciali del 1926. la capacità di Gramsci è quella di cogliere subito i tratti del fascismo capendo, a seguito di una rigorosa analisi, quello che il resto del mondo politico capì troppo tardi.
Come scrive il Cangemi nell’introduzione la tesi di chi vede nei comunisti i responsabili della frattura della sinistra e quindi della vittoria del fascismo non ha colto l’analisi gramsciana della pericolosità del fascismo.
Nel riflettere sull’omicidio Matteotti Gramsci definisce il dirigente socialista ‘pellegrino del nulla’ [pag. 102], questo perché la battaglia contro il fascismo non può avvenire nelle istituzioni, il re, il parlamento o la magistratura non potevano essere unn argine a Mussolini, scrive il dirigente comunista ‘vi è da una parte un sistema economico che non riesce più a soddisfare i bisogni elementari della maggioranza enorme della popolazione, perché è costruito per soddisfare gli interessi particolari ed esclusivisti di alcune ristrette categorie privilegiate; vi sono dall’altra parte centinaia di migliaia di lavoratori i quali non possono vivere se questo sistema non viene modificato dalle basi’ [pag. 103], per uscire da questa situazione l’unica strada è che questa massa sia guidata al superamento dell’ordine costituito. Su queste basi poggia la critica al socialismo italiano incapace di guidare il proletariato, ecco perché ‘il sacrificio eroico di Matteotti è per noi l’ultima espressione, la più evidente, la più tragica ed elevata, di questa contraddizione interna di cui tutto il movimento operaio italiano per anni e anni ha sofferto’ [pag. 105].
Gramsci individua lucidamente i limiti del Partito Socialista, paradossalmente le differenze fra l’ala massimalista (da cui proveniva lo stesso Mussolini) e quella riformista era molto sottile, entrambe spostavano nel futuro il tema della rivoluzione. A fronte di un’attesa messianica per questo evento da una parte l’orizzonte si limitava ad un’agitazione fine a se stessa (quasi sorelliana), dall’altra ci si poneva il problema di alcune parziali conquiste immediate per migliorare la situazione complessiva della classe operaia.
In un quadro di avanzata delle forze reazionarie la guida delle masse non è secondaria rispetto alle contraddizioni sociali, Gramsci lo afferma quando parla dell’importanza del capo, ‘Lenin è stato l’iniziatore di un nuovo processo di sviluppo della storia, ma lo è stato perché egli era anche l’esponente e l’ultimo più individualizzato momento di tutto un processo di sviluppo della storia passata’ [pag. 93], questo ovviamente non sostituisce la figura di Lenin a quella del Partito ma sottolinea l’importanza dell’elemento soggettivo.
Una riflessione che nasce dalla critica di Gramsci al socialismo italiano è che mentre i comunisti attraverso il grande pensatore sardo sono riusciti a tradurre Lenin in Occidente ed in particolare in Italia trovando così una propria strategia, il riformismo italiano è stato incapace di costruire una propria strada, come a suo tempo aveva sottolineato Norberto Bobbio. Mentre in Germania Bernstein compì un cambiamento profondo individuando una nuova strada (anche se suicida), in Italia non è mai nato un Partito socialdemocratico in senso classico (evitiamo di confondere Willy Brandt con Tanassi). Non ci riuscì Craxi e non vi è riuscito nemmeno il PDS/DS/PD passato direttamente nelle braccia del neoliberismo.
L’importanza delle riflessione gramsciana non è solo nell’analisi della realtà italiana ma è anche nella capacità di legare il fascismo al quadro internazionale, c’è un’analisi di classe del fascismo e c’è un’analisi dei rapporti internazionale, l’Italia non fu il primo Paese in cui si sviluppò questo movimento (e qui viene citato il caso spagnolo) e non sarà l’unico a vivere quest’esperienza.
La profondità ed il rigore analitico di Gramsci servirebbero anche oggi ad una sinistra, comunista e non, sempre più allo sbando ed incapace di costruire un’analisi decente sulle contraddizioni nazionali e mondiali.
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