di Marco Pondrelli
In un vecchio film di Daniele Lucchetti, il portaborse, il Ministro socialista interpretato da Nanni Moretti affermava ad uno sbigottito Silvio Orlando di non avere mai letto un libro per intero, limitandosi a guardare le copertine. È un approccio fatto proprio da alcuni noti ‘intellettuali’ italiani di fronte alla pubblicazione del libro di Benjamin Abelow. Personalmente continuo a preferire un approccio classico e quindi prima di giudicare un libro ne consiglio la lettura.
Quello di Abelow è un lavoro breve ma molto denso, impreziosito da una prefazione di Luciano Canfora. Il volume è un tentativo di rispondere a quella che l’Autore definisce la ‘domanda fondamentale: la narrazione occidentale sulla guerra in Ucraina è corretta? [pag. 9].’ Non è solo una questione teorica quella posta, se la narrazione è corretta, ovverosia se un tiranno impazzito ha invaso una democrazia come primo passo per la conquista di tutta l’Europa, allora le politiche occidentali sono giuste, anzi, aggiungo, sono addirittura troppo timide. Se è in gioco la nostra libertà dobbiamo essere pronti non solo a inviare armi ma anche a combattere.
La realtà è però diversa e come afferma Abelow la narrazione occidentale è inesatta. Anzi, sotto diversi, importanti aspetti, è agli antipodi della verità’ [pag. 9]. Sul banco degli imputati salgono quindi gli Stati Uniti, prima ancora della Nato perché molte gravi azioni sono state assunte dagli Stati Uniti e dai loro alleati fuori dall’ambito della Nato. Queste minacce spiegano l’avvio dell’operazione militare speciale.
La storia ricostruita dall’Autore parte dal 1990 quando all’unificazione tedesca si accompagnarono le promesse occidentali di non espansione della Nato ad est, a tal proposito sono illuminanti le parole di Joshua R. Shifrinson che sulla rivista “International Security” scrisse ‘ho potuto visionare contemporaneamente ciò che veniva detto ai sovietici e ciò che le autorità statunitensi si dicevano in privato nelle segrete stanze’ [pag. 16]. L’Unione Sovietica prima e la Russia dopo furono rassicurate ma in realtà la scelta di espandersi ed arrivare ai confini russi era già stata presa.
L’espansione della Nato non fu l’unico attacco lanciato alla Russia, ‘nel 2001, due anni dopo l’adesione di questo primo gruppo di paesi [alla Nato], il presidente George W. Bush si ritirò unilateralmente dal trattato ABM’ [pag. 17]. Questo trattato era stato firmato nel 1972 è limitava la capacità difensive delle due parti, era uno degli strumenti che USA e URSS avevano scelto per mantenere l’equilibrio e quindi per allontanare i rischi di guerra nucleare. Con la scusa di difendere l’Europa dai possibili attacchi dell’Iran o della Corea del Nord, gli USA hanno installato una base ABM in Romania, armi formalmente difensive che possono facilmente diventare offensive. Washington ha avviato una politica militare volta a far saltare l’equilibrio garantendosi il cosiddetto first strike. Questa politica, confermata dal premio Nobel per la pace Obama, è stata implementata da Trump che, non contento di avere avviato la vendita di armi letali all’Ucraina, uscì ‘unilateralmente dal trattato del 1987 sulle armi nucleari a raggio intermedio’ [pag. 25].
Il secondo periodo che l’Autore prende in considerazione è quello che va dal 2014 al 2022, scrive Abelow ‘nel periodo 2017-2021, assistiamo alla confluenza di due tipi di attività militari vicino al confine russo. In primo luogo, le relazioni militari bilaterali, che hanno comportato massicce spedizioni di armi letali, esercitazioni congiunte ucraino-occidentali di addestramento e interoperabilità all’interno dell’Ucraina e di dispiegamento di lanciamissili con capacità offensiva in Romania, e a seguire in Polonia. In secondo luogo, le attività militari della stessa Nato, tra cui il lancio di missili volto a simulare attacchi contro obiettivi all’interno della Russia’ [pag. 27].
Considerando tutto questo l’Autore si chiede ‘come reagirebbero i leader statunitensi se la situazione fosse capovolta, ovvero se la Russia o la Cina, per esempio, svolgessero azioni analoghe vicino al territorio statunitense? Come reagirebbe Washington se la Russia stringesse un’alleanza militare con il Canada e poi piazzasse basi missilistiche a cento chilometri dal confine con gli Stati Uniti? [pag. 31].
L’espansione della Nato ebbe critiche non solo da pericolosi estremisti, ad esempio George Kennan, teorico del contenimento verso i sovietici, deplorò l’espansione della Nato ad est affermando ‘penso che i russi reagiranno gradualmente e in maniera negativa e ciò influenzerà le loro scelte politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’è alcun motivo per farlo. Nessuno stava minacciando nessuno’ [pag. 44], le riflessioni che fece Kennan erano molto più lucide di quelle che vengano fatte oggi, che giustificano l’espansione della Nato con una nuova aggressività russa a sua volta prodotta dall’espansione della Nato.
Partendo da queste premesse mi trovo a dissentire da un’affermazione di Luciano Canfora contenuta nella pur pregevole prefazione, secondo l’insigne storico Putin sarebbe caduto nella ‘trappola tesa dalla Nato’ [pag. XIII], in realtà la Russia, più che Putin, è stata messa di fronte alla scelta: o accettare l’Ucraina nella Nato o intervenire militarmente. Cosa sarebbe rimasto della sovranità russa se l’Ucraina fosse entrata nella Nato? Il no all’espansione della Nato non è solo una questione di prestigio per Mosca e una questione di sopravvivenza, le radici dell’avvio dell’operazione militare speciale, che come scritto bene nel libro non segna l’inizio della guerra, sono in queste politiche aggressive statunitensi.
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