di Luca Cangemi
Merita una riflessione “Comandante”, il film di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino che, dopo il passaggio alla Biennale di Venezia, arriva nelle sale italiane (intorno al 4 novembre, non a caso). Quindici milioni di euro di budget, uno scafo in acciaio lungo 73 metri, varato nell’arsenale militare di Taranto, copia pressoché autentica di un sommergibile italiano della Seconda guerra mondiale, attori importanti a iniziare dal protagonista, un regista emergente, l’ambizione (esplicita) di fare un “kolossal” nazionale, il significativo patrocinio della Marina Militare.
Un’operazione importante che ha molto a che fare con il clima politico e culturale del nostro paese.
La vicenda narrata è quella di Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina Italiana che affonda, all’inizio del secondo conflitto mondiale, un piroscafo belga (in una fase in cui il Belgio era ancora un paese neutrale) e ne salva alcuni superstiti.
Il materiale storico viene trattato con una certa elasticità quando si tratta delle vicende personali dei protagonisti (così della figlia di Todaro viene anticipata la nascita e dell’ufficiale Stiepovich viene anticipata la morte) ma soprattutto quando queste vicende incrociano fatti storici significativi. Di Todaro vengono omesse, con cura, tanto la militanza volontaria nella guerra di Spagna quanto la partecipazione all’assedio di Sebastopoli nell’URSS invasa – uno degli episodi più feroci e sanguinosi di tutta la guerra – così come non viene neppure accennata la sua scelta di essere impiegato nella X MAS, struttura militare dalla storia, diciamo così, un po’ particolare.
Gli stessi rapporti con i nazisti vengono trattati di sfuggita (“conosco il tedesco solo per necessità” dice a un certo punto il protagonista) o per distinguere gli italiani dagli alleati. La realtà era ben diversa: il Cappellini, così come altri sommergibili italiani era perfettamente integrato nella guerra sottomarina tedesca guidata da Karl Dönitz (fervente nazista e indicato da Hitler come suo successore) ed aveva la sua base nella Francia occupata dalla Germania.
Dopo aver speso tanti soldi per ricostruirlo sarebbe stato, infine, giusto soddisfare la curiosità dello spettatore sulla fine dell’italico sommergibile, ma si sarebbe dovuta raccontare una storia di fedeltà all’Asse: dopo l’8 settembre, infatti, l’equipaggio del Cappellini rimase inquadrato nelle forze naziste e, addirittura, dopo la sconfitta della Germania combatté le ultime settimane di guerra con la marina imperiale giapponese.
Le omissioni e le trasfigurazioni storiche però sono solo la premessa (anche se premessa necessaria) dell’operazione culturale che anima il film e si sviluppa soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, nelle pieghe delle atmosfere della pellicola, nella sua stessa cifra stilistica.
In modo abbastanza trasparente il sommergibile è la metafora dell’Italia, un’Italia la cui diversità squadernata con l’uso dei dialetti (resi intellegibili allo spettatore con i sottotitoli!) e delle diverse tradizioni gastronomiche, viene ricondotta all’unità dalla vita militare oltreché da una genuina (ma anche ingenua) propensione alla solidarietà di cui la figura paternalistica (e maschilista) del Comandante è garanzia. Non sostengo certo che De Angelis sia un propagandista dell’accoppiata presidenzialismo-autonomia differenziata, ma sono convinto che attinga a correnti antiche e profonde dell’Italia reazionaria.
Un altro nucleo tematico significativo è nella sorprendente caratterizzazione “esoterica” del protagonista. Chiamato Mago Baku o anche Zoroastro, al comandante Todaro vengono assegnate nel film capacità divinatorie (prevede mesi prima la peritonite di un marinaio oltre che le modalità della propria morte), assume spesso pose da santone e da profeta. Tutto ciò potrebbe apparire una banale forzatura ai limiti del ridicolo; invece, a me sembra qualcosa di più profondo che sarebbe sbagliato sottovalutare e cioè un occhieggiare a quelle correnti irrazionaliste che sono sempre più forti nello scenario contemporaneo. Mi verrebbe di parlare, certo con una semplificazione estrema, di QAnon all’amatriciana.
Infine, forse il cuore del messaggio del film (come è già stato notato) è il rilancio in grande stile del topos storico ideologico “Italiani, brava gente”. La (presunta) diversità antropologica degli italiani che maschera o assolve ogni responsabilità politica. Un rilancio marinaro (siamo italiani e uomini di mare è un refrain diffuso nel film) di quell’impasto di presunzione e vittimismo che gli storici del colonialismo italiano con tanta fatica hanno smontato. Questo rilancio è, poco importa se soggettivamente o oggettivamente, funzionale alle esigenze ideologiche fondamentali della destra italiana tanto nel gestire il presente quanto il passato. Per il presente il mito degli “italiani brava gente” nutre il nazionalismo dipendente e impotente (l’unico permesso nel quadro Nato e UE), per il passato permette una ricollocazione “morbida” del fascismo. Chi si oppone a questo mito, chi chiama fascista il fascista, è un ingrato rompiscatole che va preso a ceffoni (nel film questo ruolo è interpretato da due marinai belgi, gli unici definiti “antifascisti” nella pellicola che, appunto ingrati, tentano di sabotare il sommergibile e sono ripagati a schiaffi).
Siamo dunque di fronte a un film ideologico, nel senso più proprio del termine, che fiuta un’aria che spira, nella società prima ancora che nelle istituzioni, e cerca di darle forma. Come in tutte le operazioni ideologiche abili si creano anche messaggi ambigui, che permettono gli sconfinamenti; mi riferisco in questo caso ai riferimenti, che vengono speso fatti in sede di presentazione del film, ai salvataggi in mare dei migranti (che in verità più che dello sponsor del film, la marina militare, sono opera di imbarcazioni civili e organizzazioni umanitarie). Anche le operazioni ideologiche abili, a guardarle bene, però, rivelano particolari inequivocabili. In questo caso suggerisco attenzione, per chi decidesse di vedere il film (ovviamente se ne può fare tranquillamente a meno), alla prima schermata dove una scritta sovraimpressa fa riferimento a marinai russi salvati da una nave ucraina. “Italiani brava gente” e “Ucraini brava gente”, come una firma. Ideologica, appunto.
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