Cina via dell’Islam. Storie, etnie, tradizioni questione dei Diritti Umani. Maria Morigi

di Marco Pondrelli

Per l’Occidente l’Islam è alternativamente un nemico e una vittima. Quando le stragi vengono compiute sul nostro territorio in alcuni casi si arriva a unire islam e terrorismo, quando le strage sono compiute in Russia o in Cina ci si scandalizza per le risposte di questi paesi. È evidente che questo è un approccio ideologico a cui risponde in modo puntuale l’ultimo libro di Maria Morigi.

Il libro è aperto da una bella prefazione di Alberto Bradanini che ha il merito di contestualizzare lo scontro mondiale oggi in atto, ‘al 31 dicembre 2022, il Pil dei Brics in termini di potere d’acquisto interno ha quasi raggiunto i 60.000 mld di dollari, contro poco più di 49.000 miliardi dei Paesi G7’ [pag. VII]. La scontro in atto e l’attacco alla Cina come nemico strategico si spiega con questi numeri, ricordando che ‘quando si evoca il complesso militare-industriale Usa, sfugge talora che esso non produce solo armamenti, ma si estende all’informazione, all’entertainment, al cinema, tecnologia, accademia e via dicendo [pag. IX].

Questa premessa dimostra come l’atteggiamento dell’Occidente verso i diritti umani sia pretestuoso, d’altronde gli Stati Uniti sono il Paese che attaccava l’Unione sovietica in nome dei diritti ma non aveva problemi a sostenere le peggiori dittature in America Latina.

Per inquadrare il problema dell’Islam in Cina Maria Morigi parte dalla storia e dal ruolo che ha avuto la religione nella storia del Paese. Per capire l’Islam però prima vanno colte le differenze fra noi e la Cina occorre capire che ‘l’oggetto tradizionale delle filosofia cinese non è mai stata la verità (teorica) bensì l’armonia (pratica)’ [pag. 7], questa idea di armonia si lega al fatto che ‘l’Islam è percepito peculiarmente come fenomeno etnico’ [pag. 13]. Il punto centrale rispetto al quale chi ha governato la Cina si è dovuto confrontare è questo, l’Islam come fattore potenzialmente disgregatore ed allo stesso tempo unificante dell’ordine nazionale.

Questa premessa focalizza l’attenzione sull’importanza della religione musulmana in Cina. Successivamente Maria Morigi chiarisce cos’è l’Islam in Cina, ovverosia che esso è prevalentemente sunnita e che i due gruppi etnici che prevalentemente lo praticano sono Hui e Uiguri [pag. 21].

L’Islam arrivò in Cina attraverso la via della seta del VII secolo [pag. 31] e ‘durante la dinastia Ming si assiste alla prima sinizzazione e integrazione dell’Islam con la cultura Han’ [pag. 36], continua l’Autrice ‘si può […] affermare che l’integrazione dell’Islam coinvolge ogni aspetto sociale, dalla tradizione culinaria, all’architettura, alla scrittura. Interessante notare che molte comunità Hui odierne fanno risalire la loro origine proprio ad un antenato Ming’ [pag. 37].

Un primo importante scontro con l’impero cinese avvenne con la Dinastia Qing [pag. 46], la repressione fu dura anche durante la rivoluzione culturale però l’Autrice osserva che ‘si ha l’impressione che, anche prima della scomparsa di Mao nel 1976, Pechino avesse ben chiaro di dover trattare le minoranza con cautela’ [pag. 39]. Le riforme economiche avviate nel 1978 aprirono una nuova stagione anche nel rapporti con i musulmani, ‘dopo gli anni della repressione, all’inizio del 1980, oltre agli istituti teologici islamici superiori di cui si è appena detto, in ogni angolo della Cina attraverso iniziative locali e provinciali sono state aperte – e continuano a moltiplicarsi – un gran numero di scuole private islamiche presso le moschee’ [pag. 64].

Oggi il ruolo e la presenza dell’Islam in Cina non è in discussione, ‘nell’aprile 2016, alla presidenza della Conferenza nazionale sulle attività religiose, il presidente Xi Jinping sottolinea la necessità di “costruire una teoria socialista delle religioni con caratteristiche cinesi”, e insiste sul fatto che le religioni debbano “aderire alla direzione indicata dalla sinificazione, interpretare valori e dogmi in modo che siano in linea con i bisogni della Cina”’ [pag. 74]. A fronte di questa situazione parlare di genocidio è solo frutto di astio ideologico, basti tenere presente che la legge sul figlio unico non riguardava la regione dello Xinjiang, tanto e vero che ‘la popolazione uigura è passata da 5,5 a 11,9 milioni’ dal 1978 al 2018 [pag. 111]. Quando poi, come fa l’Autrice, si entra nel merito delle fonti che denunciano questo ‘genocidio’ si vede che esse sono spesso e volentieri di parte e sovente poco credibili.

Sul tema dei diritti umani ci sono interventi molto interessanti che dimostrano come questi siano da una parte un argomenti strumentale e dall’altra, dati alla mano, spiegano come la Cina stia affrontando questo problema, ad esempio togliere 800 milioni di persone dalla povertà non è forse un modo per tutelare i diritti umani? Su questo tema l’Occidente dovrebbe guardarsi in casa più che puntare l’indice contro la Cina.

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