di Marco Pondrelli
Sempre più spesso, purtroppo, sentiamo parlare di una superiore civiltà occidentale, la liberaldemocrazia (qualsiasi cosa essa sia) è il modello a cui tutto il mondo deve conformarsi, questo ci da il diritto di definire dittature tutte le esperienze diverse dalle nostre. Qualsiasi critica al nostro sistema viene sdegnosamente respinta con l’argomentazione che l’alternativa è Putin.
Il libro di Piergiorgio Odifreddi ci offre una lettura molto diversa della realtà, la sua è una critica radicale, ovverosia contesta alla radice le convinzioni sulla superiorità occidentale, dimostrandoci che tanto di quello che c’è stato di esecrabile nella storia è fatto o è stato fatto proprio dall’Occidente (da intendersi sempre in un’accezione politica e non geografica).
Come sottolineava Domenico Losurdo Hitler, nel Mein Kampf, citava come esempio positivo da imitare il genocidio dei nativi americani. Possiamo parlare di un olocausto americano che non ha riguardato solo il Nord America ma tutto il continente, l’Autore cita Tzvetan Todorov che scrisse: ‘si può ritenere che nell’anno 1500 la popolazione del globo fosse nell’ordine dei 400 milioni di abitanti, 80 dei quali residenti in America. Verso la metà del Cinquecento, di questi 80 milioni ne restavano 10. Limitando il discorso al Messico, alla vigilia della conquista la popolazione era di circa 25 milioni di abitanti, e nel 1600 era ridotta a un milione‘ [pag. 97]. Non si può inoltre ignorare la deportazione schiavista di cui fu vittima il continente africano.
Il tema del colonialismo è quello più interessante del libro, Karl Marx scriveva che nelle colonie il sistema capitalista si presenta con la sua vera faccia ‘la profonda ipocrisia, l’intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinnanzi senza veli, non appena dalle grandi metropoli, dove esse prendono forme rispettabili, volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude‘. Lo studio della storia dimostra che i campi di internamento non sono stati inventati dal nazismo ma erano una pratica comune delle potenze occidentali, mentre sostenevano di portare la civiltà in regioni sottosviluppate. In questo quadro anche l’Italia si fece notare per la ferocia con cui operò in Africa e nei Balcani, altro che ‘italiani brava gente’…
Il colonialismo non è finito con la stagione della de-colonizzazione, in quel momento è iniziata una nuova fase storica in cui Paesi formalmente sovrani hanno continuato ad essere depredati dall’Occidente, conoscendo questo pregresso non è difficile capire perché oggi tanti paesi africani caccino i francesi ed accolgano a braccia aperte cinesi e russi. Sono le diseguaglianze figlie di queste politiche che producono i processi migratori, per fermare i quali non servono le armi ma una redistribuzione della ricchezza.
Odifreddi denuncia i limiti delle nostre democrazie non solo nel nostro rapporto con il resto del mondo ma anche nel funzionamento interno. La democrazia vive non solo nel rispetto dei diritti civili ma anche nel riconoscimento dei diritti sociali, la crescita delle diseguaglianze con poche persone che possiedono ricchezze enormi è una stortura democratica. L’aumento delle diseguaglianze, dimostrate dall’indice Gini, si accompagna a un calo degli elettori, sempre meno interessati a votare istituzioni che sentono lontane.
I limiti democratici sono evidenti anche per alcuni episodi come l’omaggio che il Parlamento canadese rese a Yaroslav Hunka ‘membro della famigerata Divisione Galizia delle ss’ [pag. 192], questo evento vergognoso non fu un semplice incidente di percorso, avendo quel Paese offerto rifugio a molti nazisti e collaborazionisti.
Il quadro è completato dagli evidenti limiti posti alla libertà d’informazione, l’Autore cita il famoso, e inesistente, incidente del Golfo del Tonchino che nel 1964 diede il via alla guerra del Vietnam, dobbiamo constatare come durante quel conflitto esistesse ancora una stampa libera, cosa che oggi fatichiamo ad affermare. Quando assistiamo al pietoso spettacolo di giornali e televisioni che si limitano a replicare parole d’ordine ‘c’è un aggredito e c’è un aggressore’ come le reclute addestrate dal Sergente Maggiore Hartman, ci chiediamo di che libertà possiamo oggi godere. È importante ricordare, come fa Odifreddi, la figura di Assange che l’Occidente nasconde perché, come Guantanamo o Abu Ghraib contraddice le nostre certezze. Come conclude amaramente Odifreddi citando Neil Postman l’Occidente di oggi è meglio incarnato dal Mondo nuovo di Huxley che da 1984 di Orwell:
Orwell temeva chi voleva proibirci i libri. Huxley temeva che nessuno li avrebbe più letti, senza bisogno di proibirli. Orwell temeva chi voleva limitarci l’informazione. Huxley temeva che ne avremmo avuta così tanta da rintontirci. Orwell temeva chi voleva nasconderci la verità. Huxley temeva che la verità sarebbe annegata in un mare di irrilevanza. Orwell temeva chi voleva incatenare la cultura. Huxley temeva che la cultura sarebbe morta nella banalità. Orwell temeva che ci avrebbe rovinati ciò che odiamo. Huxley temeva che ci avrebbe rovinati ciò che amiamo. [pag. 210]
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