
di Marco Pondrelli
Il professor Alessandro Orsini è stato al centro di grandi polemiche e di grossi attacchi, si può condividere o non condividere quello che dice ma gli va riconosciuto un grande coraggio nell’offrire all’opinione pubblica posizioni molto lontane da quelle del mainstream imperante. In questo libro Orsini è il corrispettivo del bambino che nella fiaba di Andersen ci dice che il ‘re è nudo’.
Dalla fine dell’Unione Sovietica molto è cambiato nella politica italiana, quel po’ di autonomia che il nostro Paese aveva conservato durante la cosiddetta Prima Repubblica è venuta meno. Non è pensabile, sostiene l’Autore, ambire alle più alte cariche repubblicane senza l’avvallo statunitense, di conseguenza il filo-americanismo è necessario anche per occupare le cariche più alte dell’informazione. Facciamo un esempio, il premio Amerigo viene consegnato dall’ambasciata statunitense ai giornalisti italiani più fedeli (non più bravi), questo dovrebbe essere un controsenso per un giornalismo libero, non lo è ovviamente per il mainstream italiano, che sarebbe pronto ad isolare un giornalista premiato da Putin o Xi Jinping per la propria fedeltà verso Russia o Cina ma che è pronto ad idolatrare chi è riconosciuto come filo-americano.
Scrive Orsini che, nel caso della guerra in Ucraina, ‘lo slogan imposto dalla Rai ai professionisti dell’informazione in Italia è stato lo slogan della Casa Bianca: “Armi all’Ucraina fino alla sconfitta della Russia’ [pag. 38], le posizioni dell’Impero a stelle e strisce non possono essere messe in discussione, anche se, come afferma l’Autore, è statisticamente impossibile che le posizioni di Washington siano sempre giuste. Nel USA si dice ‘my country, right or wrong’, è l’idea che a prescindere da quello che fa il mio Paese esso va sostenuto, è un modo di dire che oramai guida anche l’informazione e la politica italiana anche se più che ‘my country‘ occorrerebbe dire ‘my master‘ (il mio padrone).
Il libro divide fra il filo-americanismo culturale e quello politico, ovviamente è il secondo che interessa, perché è quello che corrompe il nostro sistema informativo. Con grande capacità l’Autore de-costruisce il metodo usato nel tentativo (peraltro non riuscito) di manipolare l’opinione pubblica. Ad esempio si scrive che la controffensiva ucraina non ha dato i risultati sperati e non che è fallita [pag. 68], piccole precauzioni semantiche tese a difendere le politiche statunitensi. Fra i tanti episodi che riguardano singoli giornalisti Orsini riporta anche quello di Giuliano Ferrara, che raccontò di avere ricevuto soldi da un funzionario della CIA senza che l’Ordine dei Giornalisti gli abbia mai chiesto conto di nulla [pag. 85].
Per completezza va ricordato, come puntualmente fa l’Autore, che anche il mondo accademico e della ricerca non sono esenti dal contagio di questo filo-americanismo politico, ISPI e IAI, ne sono il massimo esempio, a titolo di esempio basti pensare a Nathalie Tocci (direttrice dell’IAI), la quale è stata il megafono della propaganda statunitense in Italia facendo previsioni che non si sono mai avverate.
Proprio per mostrare la malafede di una parte importante dell’informazione e del mondo accademico (i cosiddetti ‘esperti’), l’Autore conclude il libro con quattro casi di scuola che dimostrano come si tenti di manipolare la realtà storica per piegarla alla propria narrazione. I quattro casi analizzati e criticati sono la scelta dell’adesione di Kiev alla Nato presentata come esclusiva volontà del popolo ucraino, l’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato come conseguenza delle scelte di Putin, il presentare come un errore la decisione di Kiev del 1994 di restituire le armi nucleari alla Russia e il fatto che non ci sia mai stato un impegno formale con Gorbačëv per non espandere la Nato ad est. Sono tesi che quotidianamente sentiamo ripetere su tutte le televisioni e che vengono molto bene distrutte dalla contro analisi fattuale di Orsini.
Per concludere si può dire che questo è un libro che parla di guerra ma sopratutto dell’informazione di guerra, la sensazione è che oggi questo muro di filo-americanismo sia entrato in crisi assieme all’Impero che vuole difendere, i prossimi anni ci diranno se in Italia si riapriranno nuovi spazi democratici o se essi si chiuderanno definitivamente.
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