di Marco Pondrelli
Il libro di Carl Rhodes è un contributo di grande interesse da leggere attentamente, evitando di saltare la prefazione firmata da Carlo Galli, che riesce a cogliere in poche pagine il significato dell’opera. La domanda naturale che ci si pone è: cosa si intende per capitalismo Woke? L’Autore risponde con un breve ma significativo excursus semantico. Il termine Woke (che significa ‘svegliarsi’ ‘stare all’erta’) nasce negli ambienti afroamericani negli anni Sessanta durante le proteste contro il razzismo di cui i neri erano (e sono) vittime. Lo stesso Martin Luther King usò questo termine, il senso era quello di diffidare del potere, dei media, della politica, stare svegli e ‘prestare attenzione agli effetti che il movimento per i diritti civili stava producendo’ [pag. 48].
La storia successiva è la storia dello svuotamento di significato delle controculture, che vengono spoliticizzate ‘tanto da poter essere adottate come mode aziendali e borghesi’ [pag. 58]. La capacità di prendere istanze radicali e normalizzarle è un denominatore della storia statunitense, caso emblematico fu la scelta di Bush jr di scegliere ‘this land is your land‘ di Woody Guthrie come inno per la sua campagna elettorale del 2000, questa canzone scritta da un comunista militante che parlava di disoccupati in fila all’ufficio di collegamento divenne la colonna sonora della destra americana.
Queste considerazione ci introducono al capitalismo Woke, un capitalismo che pretende di stare all’erta di fronte alle ingiustizie della società, non solo dedito al profitto ma anche al benessere sociale. Questa visione è l’oggetto della critica dell’Autore, che non è solo una critica morale che si limita a mettere in luce le contraddizioni, contraddizioni che ci sono e di cui Rhodes da conto quando, ad esempio, ricorda come celebrità come Leonardo DiCaprio e Katy Perry con il loro Jet privato sono volate in Sicilia per partecipare in un resort di lusso a un vertice sul clima organizzato da Google [pag. 4], così come quando mette in relazione le donazioni delle aziende alla loro evasione fiscale [pag. 141]. Sono certamente comportamenti che cozzano contro le idee che si vorrebbero difendere ma che non bastano a completare il quadro delle critiche.
Il capitalismo Woke trova nemici a destra, nemici che ricollegandosi all’insegnamento di Milton Friedman ricordano come l’unica responsabilità sociale delle aziende è aumentare i propri profitti, sono queste considerazioni alla base delle critiche (pervenute sopratutto dall’ala trumpiana) contro quelle aziende che si erano schierate con alcuni movimenti di protesta come il Black Lives Matter. Negli anni ’90 del Novecento Michael Jordan aveva legato il suo nome di grande sportivo alla Nike, quando gli venne chiesto chi avrebbe sostenuto alle elezioni per il Senato in California si rifiutò di rispondere con la motivazione che ‘anche i repubblicani comprano le scarpe da ginnastica’ [pag. 179]. Oggi le cose sono cambiate perché le imprese si sono rese conto che lo schierarsi su temi controversi ha un ritorno economico. Questo però vuole dire che se schierarsi contro il razzismo o per i diritti lgbtqia+ è fatto perché produce utili se questi guadagni venissero meno le scelte aziendali sarebbero diverse. La ‘bontà’ delle grandi multinazionali non solo è messa in dubbio da questa considerazione ma anche da altro, l’elusione fiscale vale centinaia di miliardi a fronte dei quali i milioni spesi in opere con scopi sociali sono una goccia nel mare.
La critica dell’Autore non si limita a mettere in luce queste contraddizioni. In generale si pone una questione politica, gli investimenti privati sono non solo legati ad una forte elusione fiscale ma anche agli sgravi fiscali, si vuole limitare la spesa pubblica ma allo stesso tempo si sostengono sgravi fiscali, che sono sempre spesa pubblica sotto forma di minori entrate. Per capire e districare questa apparente contraddizione è interessante ripercorrere alcune pagine del libro, nelle quali viene ricostruita la storia di Carnegie, il quale dopo essersi ritirato dagli affari si dedicò ad opere filantropiche devolvendo gran parte del suo capitale in opere meritorie. Queste scelte non erano dovute alla bontà di Carnegie ma alla paura che l’avanzata del comunismo portava, all’inizio del Novecento le politiche di Carnegie anticipavano il capitalismo Woke.
Qui arriviamo al punto fondamentale di questo libro che bene coglie Carlo Galli nella prefazione quando scrive che il capitalismo Woke si autolegittima sostituendosi ‘apertamente alla politica perché è impegnato a tentare di risanare, in superficie e non in modo radicale, le contraddizioni che esso stesso crea’ [pag. XIII]. Il capitalismo ha sfondato i suoi confini e ha occupato l’intera società, c’è stata una privatizzazione della democrazia, quando si sostituisce l’intervento pubblico con i contributi privati si sta delegando ad organismi aziendali non democratici la gestione dello Stato e della società. Sono le aziende che decidono se dobbiamo essere aperti o meno verso i nuovi diritti, se dobbiamo interessarci o meno alle questioni ambientali e via di seguito. Proprio perché questo è un potere completo anche la lotta alla diseguaglianza è formalmente perseguita, quando in realtà è alla base di questo sistema. La critica che l’Autore rivolge a questa forma di capitalismo non è assimilabile a quella della destra ma è una critica radicale e progressista che presuppone una svolta democratica. Si può dissentire, come ha scritto Carlo Formenti, sulle soluzioni prospettate da Rhodes ma il punto centrale del libro è importante, perché riesce a mettere a fuoco il ruolo ecumenico che il capitalismo oggi ha assunto.
Nell’introdurre il ‘Manifesto del Partito Comunista’ Domenico Losurdo ricorda come Marx polemizzasse contro chi vedeva la povertà figlia in parte della natura e in parte dalla vita degli uomini, ‘per dirla col giovane Marx, nella forma più sviluppata lo Stato borghese si limita «a chiudere gli occhi e a dichiarare che certe opposizioni reali non hanno carattere politico» […] la società e la teoria borghese partono dal presupposto secondo cui i rapporti sociali, le «differenze sociali» hanno «soltanto un significato privato, nessun significato politico»1‘. L’insegnamento fondamentale di Marx e Engels è proprio questo, la politica può, anzi deve, intervenire sui rapporti sociale e di produzione, di fronte ai cantori delle ‘magnifiche sorti e progressive’ della liberaldemocrazia dobbiamo dire che essa è tutto fuorché democratica. L’obiettivo odierno è quello di conquistare ‘casematte’ per estendere gli spazi democratici, perché lo Stato torni a riassumere un ruolo politico, essendo, a differenza delle grandi multinazionali, permeabile alla domanda pubblica.
Note:
1Domenico Losurdo, Introduzione, pag. XII in Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista, edizione Laterza, Bari, 1999.
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