Breve storia dell’Impero americano. Una potenza senza scrupoli. Daniele Ganser

di Marco Pondrelli

Nel bellissimo film che Oliver Stone dedicò alla ricostruzione dell’assassinio Kennedy, c’è una sequenza in cui il procuratore di New Orleans, Jim Garrison, chiede cosa avrebbe pensato il popolo statunitense se l’omicidio del Presidente ad opera di un fanatico, a sua volta ucciso quando si trovava circondato da poliziotti, fosse capitato in Unione Sovietica. Chiunque, allora come oggi, penserebbe ad un colpo di Stato ma la forza della comunicazione è quella di condizionare l’opinione pubblica (o tentare di farlo) ingrandendo alcuni fatti (ad esempio il caso Navalny) ed ignorandone altri (ad esempio Assange).

Il bel libro dello storico Daniele Ganser ci offre la possibilità di guardare alla storia degli Stati Uniti da un’altra prospettiva. Questa storia può essere divisa in due parti, una precedente alla conquista della Frontiera ed una successiva.

Nella prima fase gli originari 13 Stati fondatori si espandono verso ovest, lo fanno acquistando territori smisurati come la Louisiana e l’Alaska, ma sopratutto questa conquista è attuata attraverso il genocidio dei nativi passati da circa 5 milioni a 250.000 [pag. 82] dopo le ‘guerre indiane’. Il cinema hollywoodiano ha (seppur con lodevoli eccezioni) costruito un immaginario collettivo in cui l’indiano è il cattivo che minaccia donne e bambini regolarmente salvati dall’arrivo della cavalleria, la realtà è che l’esperienza statunitense venne apprezzata da Hitler che nel ‘Mein Kampf’ la citò come esempio positivo di conquista del proprio lebensraum.

Assieme al genocidio lo sviluppo degli Stati Uniti fu possibile grazie alla deportazione ed alla schiavitù di 12 milioni di africani [pag. 119]. La guerra civile non rappresentò una vera liberazione per gli afroamericani. Va ricordato, ad onor del vero, che negli anni immediatamente successivi l’ala radicale repubblicana impose, manu militari, un maggiore protagonismo degli ex-schiavi che arrivarono anche a ricoprire importanti cariche pubbliche ma successivamente, anche grazie al terrorismo del ku klux klan, gli Stati del sud instaurarono un sistema di apartheid che non è ancora stato superato.

La chiusura della frontiera alle fine dell’Ottocento coincide con la proiezione imperialistica degli Stati Uniti, non è casuale che Alfred T Mahan, importante teorico dell’espansionismo statunitense, nel 1890 dia alle stampe la sua opera principale ‘l’influenza del potere marittimo sulla storia 1660-1783‘, nel quale si sosteneva la necessità di rafforzare la marina militare per fare degli USA un Impero marittimo. Nel 1898 scoppia la guerra con il declinante Impero spagnolo. Come spiega l’Autore la stampa con alla testa William Hearst (alla cui figurò Orson Welles ispirò ‘quarto potere’) iniziò una grande propaganda anti-spagnola che portò ad accusare l’Impero europeo di essere il responsabile dell’affondamento del Maine (una corazzata della marina USA che si trovava nel porto dell’Avana), questo fu il pretesto che diede il via alla guerra. La guerra presentata come la liberazione del popolo cubano in realtà fu una guerra di aggressione, per i cubani la libertà sarebbe arrivata solo nel 1959. La stessa guerra portò all’occupazione delle Filippine con prezzi enormi pagati dai civili, Ganser ripota un cronaca del 1901 nella quale si afferma che gli statunitensi ‘hanno ucciso uomini, donne, bambini, prigionieri, agitatori in attività e semplici sospetti, dai dieci anni in su. L’idea di fonda era che i filippini fossero poco più che dei cani’ [pag. 151]. L’Autore sostiene che come per gli indiani queste stragi furono possibili perché le vittime non erano considerate parte ‘della grande famiglia umana’, è un concetto molto simile a quello espresso da Domenico Losurdo che nel suo ‘Controstoria del liberalismo‘, nel quale parlava della de-umanizzazione dei popoli coloniali. Losurdo introdusse il concetto di Herrenvolk Democracy sostenendo che dentro i confini della civiltà occidentale vigono delle regole che non contano per gli untermensch, così si spiega la lucidità criminale della guerra nazista in Unione Sovietica, dell’invasione giapponese della Cina ed in generale di tutto il colonialismo occidentale, anche italiano.

La seconda parte della storia degli Stati Uniti può essere letta solo alla luce della categoria, mai tramontata, di imperialismo, l’impegno nelle guerre a partire dai due conflitti mondiali fu sempre guidato dalla difesa dei propri interessi. Oggi c’è chi vorrebbe fare passare l’idea (a partire dall’Europarlamento) che sono stati gli USA a sconfiggere la Germania nazista, disconoscendo ed occultando il ruolo sovietico. È vero che Washington dopo il 1941 sostenne l’Unione Sovietica aggredita ma allo stesso tempo ‘la società petrolifera americana Standard Oil […] continuò a rifornire la Germania’ [pag. 224]. Questo modo di operare, dividi et impera, torna quando l’Autore alla fine del libro affronta il tema euroasiatico, gli USA sono interessati a dividere il mondo impedendo che nasca uno Stato egemone, quindi nella Seconda Guerra Mondiale, se da una parte di sostenne l’URSS dall’altra le si impedì di vincere da sola. Il secondo fronte in Europa, promesso del 1942, venne aperto nel ’44 solo quando era chiaro che l’Armata Rossa sarebbe facilmente arrivata non solo a Berlino ma anche a Parigi!

Gli Usa dal secondo dopoguerra sono stati il Paese che ha combattuto il maggior numero di guerre, non è casuale che in un sondaggio Gallup del 2013 fatto sulla popolazione di tutto il mondo gli Stati Uniti siano visti dalla maggioranza degli intervistati (24%) come ‘il maggior pericolo per la pace nel mondo’ [pag. 31]. L’informazione del nostro Paese sicuramente classificherebbe questo risultato come le conseguenze della propaganda anti-americana. Sarebbe interessante sapere dov’è questa propaganda anti-americana, a titolo d’esempio cosa sarebbe successo su Assange fosse in galere per volontà del governo cinese o di quello russo dopo avere denunciato i loro crimini? Non credo che in quel caso i vari Aldo Grasso o Michele Serra si preoccuperebbero delle password craccate…

Il bel libro di Ganser non si limita all’analisi della politica estera degli USA ma ne analizza anche le condizioni interne. Oggi questo paese è quello che il maggior numero di carcerati (2 milioni) e con 100 milioni di poveri [pag. 66] allo stesso tempo c’è un gruppo di circa 300.000 super ricchi che è l’oligarchia che governa il Paese. Come dice Noam Chomsky ‘la diseguaglianza ha raggiunto livelli senza precedenti […] la politica economica e sociale degli USA è consistita per decenni nel procurare vantaggi ai ricchi’ [pag. 61]. Per commentare la situazione attuale sono molto appropriate le parole di Luois Brandes giudice della Corte Suprema dal 1916 al 1939: ‘in questo paese possiamo avere una democrazia o una grande ricchezza, concentrata nelle mani di pochi, ma non l’una e l’altra insieme’ [pag. 74].

Il modello a cui si ispira l’Italia è questo, gli Stati Uniti non sono più il Paese dell’american dream (il sogno americano) ma dell’american nightmare (dell’incubo americano), ma il futuro al quale mirare non deve essere fatto di guerra e povertà!

La conclusione del libro lascia spazio all’ottimismo, affrontando la questione euroasiatica l’Autore decifra la politica statunitense come il tentativo di evitare l’emergere di uno Stato egemone ma allo stesso tempo egli vede nella crescita cinese e nello sviluppo della via della seta un possibile cambiamento, per dirla con lo storico inglese Peter Frankopan citato in chiusura del libro, ‘l’era dell’Occidente che costruisce il mondo a sua immagine è ormai passata’ [pag. 457]. Non condivido il passaggio che l’Autore fa sul Tibet definendolo uno stato indipendente invaso dalla Cina, ma nonostante questo l’analisi della Cina come di uno Stato pacifico che si è risollevando dal secolo delle umiliazione è giusta ed proprio nel socialismo cinese che oggi come non mai è giusto riporre le proprie speranze.