Africa rossa. Il modello cinese e il continente del futuro. Alessandra Colarizzi

di Marco Pondrelli

Alessandra Colarizzi affronta un argomento che spesso affiora nel dibattito pubblico italiano, la presenza cinese in Africa. Spesso e volentieri il tema è liquidato con la categoria di colonialismo, è spiacevole sentire l’Occidente accusare altri e non se stesso di sfruttare e depredare, l’accusa va però in ogni caso considerata a prescindere dalla cattedra dalla quale viene pronunciata e per farlo l’unico modo è analizzare scientificamente la politica cinese in Africa.

L’Autrice compie questa operazione in modo rigoroso e non di parte, nell’introduzione si può leggere ”negli ultimi vent’anni la Cina ha rappresentato la prima fonte di finanziamenti infrastrutturali. Ha costruito ferrovie e autostrade, porti, stadi e scuole. L’arrivo di capitali cinesi ha creato oltre 4,5 milioni di posti di lavoro per la popolazione locale’ [pag. 27]. Sono dati che da soli bastano a contestualizzare l’intervento cinese, un intervento che Pechino definisce win-win in cui entrambe le parti guadagnano.

Il lavoro di Alessandra Colarizzi parte delineando il percorso storico dei rapporti Cina-Africa, scopriamo quindi che ‘circa un secolo prima che Colombo scoprisse l’America, mastodontiche spedizioni navali salparono dalla Cina meridionale alla volta dell’Africa’ [pag. 32]. I rapporti più interessanti sono però quelli che nascono in epoca maoista.

Dopo la rivoluzione la Cina è protagonista di un’operazione molto ambiziosa che ebbe la sua consacrazione nella Conferenza di Bandung del 1955, alla quale parteciparono sei paesi africani. La nascita dei ‘non-allineati’ nella visione cinese aveva alla base i ‘cinque princìpi di coesistenza pacifica’: mutuo rispetto della sovranità e integrità territoriale, non aggressione, non interferenza negli affari interni, uguaglianza e cooperazione per un vantaggio comune e coesistenza pacifica [pag. 47]. Coerentemente con questi presupposti la Cina avvia la cooperazione con i paesi africani, un sostegno che si concretizza sopratutto in ‘assistenza medica, programmi educativi e investimenti infrastrutturali’ [pag. 48]. Questa cooperazione ebbe la sua consacrazione nel viaggio che Zhao Ziyang fece in Africa nel 27° anniversario della conferenza di Bandung e nella quale affermò i quattro nuovi principi della cooperazione sino-africana: mutuo beneficio, sviluppo comune, buoni risultati economici e non interferenza [pag. 53]. Questi principi erano resi possibile, nell’ottica di entrambe le parte, dall’avere vissuto la sopraffazione dell’imperialismo occidentale.

Le riforme avviate nel 1978 toccarono anche i rapporti con il continente africano, con la presidenza di Jiang Zemin nasce il Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC), che ha posto le basi dell’attuale cooperazione. Attualmente la forte presenza cinese nei Forum internazionali rafforza la presenza in Africa.

Alessandra Colarizzi non nasconde i problemi e gli errori che sono stati commessi, emblematico il caso dello Sri Lanka, l’idea di collegare il sud impoverito dell’isola con la città di Colombo era stata accarezzata anche dagli inglesi ma sia loro, che successivamente i canadesi non realizzarono il progetto, che venne invece portato a termine dai cinesi. I benefici furono però inferiori a quelli previsti e lo Sri Lanka dovette fare fronte a ingenti debiti. Se questo è un elemento di criticità va però detto che la cosiddetta ‘trappola del debito’ sia un’invenzione dell’Occidente, lo stesso che attraverso i prestiti capestro del FMI e i Piani di aggiustamento strutturale ha condannato il continente africano al sottosviluppo.

Il sostegno cinese attraverso la via della seta pur presentando criticità sta aiutando lo sviluppo africano, anche nell’ambito dell’infrastrutturazione digitale, sul tema molte cancellerie occidentali sono preoccupate dal possibile spionaggio operato dai cinesi, va però rilevato il caso dell’Etiopia di cui parla Iginio Gagliardone docente di media and Communication presso la University of the Witwaterstand (Sudafrica), il Paese ha infatti adottato la tecnologia Huawei e ZTE per la sorveglianza statale ‘ma è all’italiana Hacking Team che il governo di Abiy Ahmed si è rivolto per spiare giornalisti e oppositori politici all’estero’ [pag. 120].

Così come l’Autrice sottolinea gli errori che sono stati commessi mette in luce anche le falsità che vengono raccontata, un esempio è quello del land grabber, molti in Occidente a partire dalla Rockfeller Foundation pronosticavano che le acquisizioni di terreni africani da parte dei cinesi avrebbero condotto la popolazione alla fame, in realtà questo fenomeno coinvolge solo pochi appezzamenti che producono per i ristoranti cinesi della zona [pag. 203].

In definitiva il libro di Alessandra Colarizzi è un’illuminante lettura che non si schiera pregiudizialmente né a favore né contro la Cina ma attraverso un’analisi rigorosa e circostanziata analizza meriti ed errori della Cina nella cooperazione con l’Africa.

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