Afghanistan. Storia Geopolitica Patrimonio (nuova edizione). Maria Morigi

di Marco Pondrelli

Maria Morigi ha recentemente ri-pubblicato il libro sull’Afghanistan di cui in passato ci eravamo occupati. Alla nuova edizione sono stati aggiunti due capitoli che prendono in considerazioni gli importanti avvenimenti successivi alla prima stesura che venne edita prima della ritirata (fuga) occidentale e della vittoria dei talebani.

Le analisi e le riflessioni dell’Autrice sono importanti perché ci consegnano una lettura approfondita e molto lontana dai resoconti giornalistici dell’agosto 2021. La recente crisi ucraina ha nascosto il problema afghano che però e ben lungi dall’essere risolto, per afferrarlo in tutta la sua drammaticità è opportuno leggere nella sua interezza l’opera della Morigi. È la prima frase con cui si apre il primo dei due nuovi capitoli che chiarisce i limite della politica statunitense, scrive l’Autrice: ‘fin dall’inizio dell’occupazione nel 2001, Stati Uniti e NATO hanno giustificato le loro azioni con lo slogan “War on Terror“, le attività quasi quotidiane delle forze speciali e le operazioni con i droni hanno contribuito a rafforzare i talebani, poiché il gran numero di vittime civili garantiva un maggiore sostegno popolare ai talebani stessi’, i motivi della vittoria talebana sono ricomprese negli errori occidentali. Ripensando alla narrazione del post-ritiro un cortocircuito attanagliava i nostri opinionisti, l’Occidente ha fatto solo del bene ma pochi giorni dopo il ritiro i talebani avevano conquistato Kabul e il Presidente era scappato con valige piene di soldi.

Non si può non vedere che i talebani avevano e hanno l’appoggio di grande parte della popolazione anche femminile, come scrive Maria Morigi ‘i talebani sono accettati come difensori, protettori e liberatori dalla sgradita presenza straniera’. Ricordando l’esperienza del Presidente Mohammad Najibullah le differenze con il passato regime sono enormi, dopo il ritiro dell’Armata Rossa il governo non cadde, rimase in carica fino al 1996 e il legittimo Presidente afghano anziché scappare rimase a Kabul dove fu ucciso dopo indicibili torture. Nel 2021 le cose sono andate in modo molto diverso e, come ben documentato dall’Autrice, in pochi giorni i talebani conquistarono il potere, la fuga degli occidentali fu all’insegna del caos con attentati compiuti dall’ISIS permessi dalla scarse misure di sicurezza prese dagli eserciti in ritirata.

Il nuovo corso tabelano ha tentato di costruire un governo che unisse il Paese sia da un punto di vista etnico che geografico, la cosiddetta resistenza dal Panjshi come spiega l’Autrice ‘è del tutto teorica, sperata, sopravvalutata e sostenuta idealmente dalle speranze occidentali, ma irrilevante per tutto il resto dell’Afghanistan’. Il vero problema che il nuovo governo ha dovuto affrontare è la crisi umanitaria (purtroppo ancora presente) di fronte alla quale si mostra tutta l’ipocrisia occidentale, che si rifiuta di aiutare un popolo allo stremo. Scrive Maria Morigi ‘tenuto conto della crisi umanitaria definita dal World Food Program come “la più devastante del pianeta”, dispiace vedere che a distanza di due anni dalla caduta di Kabul, il dibattito sulla questione del riconoscimento è ancora acceso, ma in pratica niente si muove. E neppure sembra che i vari Stati occidentali, molto impegnati nelle denunce di violazione dei diritti umani, si sentano moralmente tenuti ad affrontare i disastri della emergenza umanitaria’.

Il secondo capitolo aggiunto analizza le implicazioni geopolitiche del nuovo governo. Il punto centrale è il ruolo della Cina che con la nuova via della seta può aiutare lo sviluppo del Paese, grazie al corridoio della nuova via della seta che passa tra Pakistan e Afghanistan, in prospettiva Maria Morigi vede anche una possibile estensione del rapporto all’India. Il ruolo dello SCO e dei BRICS sarà fondamentale per il nuovo Afghanistan. In questo quadro non si tratta di idolatrare il governo talebano ma di sostenere una stabilizzazione della regione, successivamente lo sviluppo economico e la lotta alla povertà potranno aprire spazi di crescita anche sociale e politica.

Quest’ultima considerazione ne suggerisce un’altra, quando l’Afghanistan ha provato a progredire verso forme democratiche e progressiste l’Occidente lo ha combattuto in nome dell’anticomunismo, creare difficoltà all’Unione Sovietica era più importante che aiutare l’emancipazione del popolo afghano. Oggi questo Paese continua a pagare gli errori statunitensi, solo un quadro multipolare può aprire spazi di crescita, l’unipolarismo ha portato guerre e torture è ora di guardare altrove.

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