di Marco Pondrelli
Per quanto si possano trovare distinguo e passaggi non condivisibili il libro di Goffredo Bettini rimane una lettura molto interessante, non solo perché chi scrive è un politico che è stato protagonista di alcuni dei passaggi che vengono narrati ma anche perché lo spessore intellettuale dell’Autore è notevole.
La riflessione compiuta nel libro parte da lontano, dalla rivoluzione industriale che aprì il confronto con la modernità. Distruggere l’Ancien Régime per aprire la stagione democratica produsse contraddizioni e la cieca fiducia nel progresso dovette fare i conti con la Grande Guerra. Poco prima della sua morte Walter Benjamin nelle tesi sulla storia si chiedeva come una dottrina barbara come il nazismo avesse potuto prendere il potere portando indietro le lancette della storia, la sua risposta era polemica verso chi considerava il progresso come indipendente dall’opera dell’umanità.
Di fronte a questa potente contraddizione Bettini colloca il 1917 e, per quanto come lui stesso scrive ‘questa non è la sede di una dissertazione storica’ [pag. 21], l’analisi della storia sovietica è un passaggio interessante e importante per cogliere il senso del suo ragionamento. L’Autore evita le rozze semplificazioni bertinottiane (errori ed errori), ma manca, a mio avviso, una rtiflesione approfondita sull’esperienza sovietica, la stessa figura e lo stesso ruolo di Stalin andrebbe letto rifiutando l’idealizzazione della sua figura (peraltro poco praticata oggi) ma anche non facendo propria la propaganda avversaria. In particolare andrebbe analizzata la politica staliniana volta a tradurre le idee comuniste nella realtà russa, in una realtà che dalla sua nascita fu sotto assedio, quando Bettini parla di ‘Stato di eccezione’ [pag. 25] in modo critico verso quell’esperienza, sta centrando un problema che meriterebbe una maggiore attenzione (non solo da parte sua).
In quest’ottica viene letta la storia dei comunisti italiani, che secondo l’Autore dovevano con più forza sganciarsi dall’Unione Sovietica. Il problema che Bettini mette in risalto in modo molto lucido e che dagli anni ’70 inizia una controffensiva del grande capitale, che chiude la stagione dei ‘gloriosi Trenta’. La Trilateral [pag. 42] capì che era fondamentale l’attacco alla democrazia, ‘dietro la maschera della difesa dei principi democratici, i reazionari e i conservatori in realtà nascondano il fastidio, e il rifiuto delegittimante, del conflitto, della lotta dei lavoratori per migliorare la propria condizione’ [pag. 65]. Il tema viene affrontato anche da Alfredo D’Attore che intende il termine politico come capacità di intervenire e trasformare i rapporti di produzione.
Questa idea di politica e di difesa degli spazi democratici oggi dovrebbe essere centrale ma purtroppo la sinistra italiana è stata scossa e trasformata da questi cambiamenti, le cause di questa sconfitte hanno radici antiche, scrive Bettini a proposito del 1977 ‘emerse un’assonanza con l’iniziativa sindacale di Trentin: si possono governare le domande sul salario, a condizione di un maggior potere e di nuovi diritti e di un più alto riconoscimento politico dei lavoratori’ [pag. 51]. Anche questo è, a mio avviso, un passaggio criticabile. La consacrazione delle idee di Trentin si ebbe con gli accordi di luglio del ’92 e del ’93, che hanno prodotto, come l’Autore scrive, un forte rallentamento salariale e una restrizione dei diritti democratici. Separare la lotta per i salari dalla lotta per i diritti porta alla sconfitta su entrambi i fronti.
Se analizziamo la storia della sinistra italiana non possiamo che sottolineare come la svolta della Bolognina si colloca in questo quadro, un quadro di forte arretramento, ma qui dissento dall’affermazione che il Pds ‘precipitò in una condizione politica confusa’ e con l’Ulivo la sue politiche furono realizzate ‘controvento’ [pag. 83], in realtà la sinistra ha guidato questi cambiamenti, per tanti anni la critica mossa a Berlusconi era di non essere un vero liberale, la privatizzazioni e le liberalizzazioni le dovevano fare la sinistra. Ritengo che la sinistra (radicale e no) e i sindacati non siano gli sconfitti degli ultimi 30 anni ma purtroppo ne siano gli artefici.
In questo contesto non si può non condividere l’affermazione dell’Autore ‘il passo decisivo per riconnettere la democrazia italiana è ridare centralità e dignità al lavoro’ [pag. 142], c’è però una differenza sulla successiva affermazione ovverosia che ‘non convince affatto una contrapposizione generica tra gli imprenditori e i ceti lavoratori. Piuttosto vanno cercate consonanze e alleanze a partire dai comportamenti effettivi, dalle disponibilità a collaborare, dalla conoscenza etica che ognuno mette in campo’ [pag. 143]. Più che cercare (o meglio ricercare) spazi concertativi va rilanciato, come acutamente a osservato Stefano Fassina, il conflitto.
Le premesse, come detto molto bene argomentate ma non sempre condivisibili, introducono la seconda parte del libro che analizza gli ultimi avvenimenti politici, dal Conte II al governo Draghi fino alla rielezione di Mattarella. Trovo interessante focalizzare l’attenzione su di un punto, Bettini sostiene che nel governo giallo-rosa non era il Pd ad essere subalterno, infatti durante quell’esperienze ‘il Pd è cresciuto mentre il M5S, soltanto quando ha in seguito deciso di rompere con Draghi e i democratici, potè recuperare molti voti precedentemente perduti’ [pag. 216], è un’analisi corretta. Il ‘peccato originale’ di quel governo fu di mettere assieme due formazioni politiche antitetiche e non su questioni marginali o superabili ma antitetiche nella loro base sociale, il Pd, come ho tentato di argomentare, è responsabile delle politiche che hanno prodotto l’aumento della diseguaglianza, il M5S si proponeva di rappresentare gli sconfitti di queste politiche. Le conseguenze sono state devastanti per il M5S che ha recuperato parte dei voti persi ma si è trasformato perdendo la carica di radicalità che in parte (solo in parte) lo contraddistingueva e che lo aveva portato a parlare di nazionalizzazione e di intervento pubblico anche nel settore bancario.
La critica al Pd non è di non avere un’anima ma di rappresentare la parte più ricca e garantita della popolazione. Franco Mostacci su ‘il fatto quotidiano’ del 3 giugno riportava i risultati da una ricerca nella quale emergeva come terzo polo e Pd fossero stati votati dalla parte più ricca della popolazione, tema che ha affrontato anche Francesco Galofaro nel commentare le ultime elezioni amministrative. Si può discutere delle differenze fra Bonaccini e Schlein ma il dato di fatto è che la base del Partito è questa e non si può pensare che un segretario la trasformi.
Il libro si conclude sull’attualità e sulla guerra in Ucraina. Personalmente noto una contraddizione nel riconoscere gli errori commessi verso Mosca dopo il ’91 laddove ‘per le cancellerie occidentali la Russia rimase l’occasione di ulteriori nuovi affari, ma nel quadro geopolitico, destinata a un ruolo periferico’ [pag. 287] o nell’affermare gli errori sull’espansione della Nato ad est per poi definire quello di Putin ‘un nazionalismo aggressivo interventista’ definendo l’operazione militare speciale ‘un atto terribile, criminale ingiustificabile’ [pag. 292]. Il lungo periodo putinano non può essere spiegato solo con la creazione di uno stato poliziesco, anche perché il termine ‘creazione’ presuppone che prima vi fosse qualcosa di diverso e sopratutto di migliore ma sappiamo che non è così! Ora forse sarebbe il momento anche di un’autocritica per l’appoggio che l’Occidente diede a Eltsin. Putin può essere criticato per molte cose ma non ha mai bombardato il Parlamento.
Oltre all’analisi su Putin c’è un tema ancora più profondo che rischia di portarci fuori strada, l’Autore afferma che ‘occorre armare l’Ucraina e disarmare l’ideologia unipolare’ [pag. 298]. In Ucraina si combatte anche per chiudere la stagione dell’unipolarismo ma è la Russia che vuole questo non l’Ucraina, non gli UsA e non l’Europa. In un intervista apparsa sul corriere della sera il 6 giugno l’ex Presidente ucraino Poroshenko ha nuovamente dichiarato: ‘con gli accordi di Minsk abbiamo guadagnato tempo’, la Merkel e Holland recentemente hanno detto la stessa cosa. Se l’Unione europea avesse voluto costruire un mondo multipolare avrebbe dovuto cominciare dal dare una risposta alla guerra ucraina scoppiata nel 2014, in realtà europeismo e atlantismo vanno oggi di pari passo. Bettini spende parole positive per il ruolo del Vaticano (non della Cina che è la grande assente del libro) ma purtroppo è proprio il suo partito che ha assunto le posizioni più intransigenti, avendo unito i propri destini a quelli dell’Impero d’oltre oceano.
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