Scomodi ricordi

di Norberto Natali

da https://www.facebook.com

Un mese prima delle elezioni politiche del 2018, scrissi “scomodi ricordi” con l’intento di rievocare come il P.C.I. affrontava, nella sua vita interna, le elezioni. Anche in un momento direi “scivoloso” come il cimento elettorale in uno stato capitalista, il nostro vecchio Partito riusciva a dispiegare democrazia interna, trasparenza, unità, moralità tali da non essere state ancora eguagliate da alcuna altra forza politica.

Lo scritto in questione esordiva nel seguente modo:

“Il PCI ha dei primati assai rari, anche su scala internazionale. Per oltre trent’anni ha sempre, sistematicamente, aumentato i propri voti, la loro percentuale, i seggi conquistati in Parlamento. Circa quarant’anni dopo la Liberazione, aveva la forza di risultare primo partito del paese (europee del giugno 1984, 33,3% contro il 32,9% della DC).

Ha portato in Parlamento (e non solo) letteralmente centinaia di operai, braccianti, mezzadri, artigiani. Le grandi fabbriche del paese avevano quasi un “seggio fisso”: c’era sempre l’operaio di Mirafiori, quello dell’Alfa di Milano e delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni, del polo industriale di porto Marghera, il portuale di Genova o Livorno, e poi giù giù fino ai metalmeccanici di Napoli e di Taranto, la Pertusola di Crotone, il petrolchimico di Siracusa o di Gela, i minatori del Sulcis-Iglesiente, i tessili, i chimici, gli edili, ecc. Naturalmente il PCI ha anche riempito le camere di Partigiane e Partigiani ed è stato -quasi sempre- quello che aveva più donne parlamentari di tutti gli altri partiti messi insieme”.

Vorrei, però, soffermarmi su un aspetto che più di altri trovo disgustoso, ovvero l’uso individualistico, privato, delle elezioni, come occasione di tornaconto personale di politicanti ed avventurieri di vario genere. Il carrierismo, il narcisismo mi hanno sempre fatto schifo e ricordo, a questo proposito, gli ammonimenti che lanciava il compagno Vittorio Vidali (il “comandante Carlos”) in tarda età a questo proposito.

Nel testo di cinque anni fa scrivevo in merito:

“Eravamo molto fieri di un rigore morale (rigido, se volete) il quale condannava duramente e impediva (o quanto meno ostacolava fortemente) nella pratica l’individualismo, i modi piccolo-borghesi, il carrierismo (con tutto il seguito di cordate, cricche, ecc.) particolarmente nel momento elettorale. Guai a farsi propaganda personale o anche solo possedere poche decine di biglietti con la preferenza al di fuori di quelli consentiti e forniti dal Partito: anche solo per quest’ultimo motivo alcuni compagni furono sospesi (a norma di statuto) e si diede indicazione di non votare per loro.

Infatti, oltre alle candidature, nello stesso modo si decidevano anche i compagni da eleggere con le preferenze, i cosiddetti “bloccati”. Malgrado le apparenze, è un sistema democratico e trasparente come la scelta dei candidati, garanzia di moralità politica: facendo delle valutazioni approssimative, si distribuiva tra le sezioni, in modo proporzionato ai risultati attesi, il compito di far votare la preferenza per uno o più compagni prescelti. Se qualcuno prendeva un numero significativo di preferenze al di fuori delle sezioni in cui era bloccato, doveva dare giustificazioni convincenti, altrimenti gli organismi di controllo del Partito avrebbero proceduto con le sanzioni per propaganda personale. In questo modo, evitando le campagne elettorali individuali, si preveniva la corruzione ed altri fenomeni immorali, si rendeva anche inutile (se non impossibile) l’appoggio occulto di vari potentati, tra cui le mafie”.

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Deriva da ciò la battuta che scrissi tempo fa (21 aprile ‘18 su questo profilo) che noi, nel Partito, ci saremmo vergognati di meno a ballare col tutù in una piazza affollata che non autocandidarci a qualcosa o farci campagna elettorale da soli. Tanto che, una volta (anzi due), il Partito volle candidarmi alle elezioni regionali ma io chiesi di non essere “bloccato” in alcuna sezione (non solo, quindi, di non essere eletto).

Non si tratta di disconoscere o trascurare il valore o l’importanza di certe candidature e neanche di criminalizzare innocue e comprensibili “soddisfazioni” cui possano, eventualmente, aspirare sezioni di partito o singoli candidati. Per noi marxisti il valore della personalità nella storia (già trattava l’argomento anche Plekhanov nell’800) ha un certo ruolo -seppur limitato- che va riconosciuto e valorizzato.

Capitava, per esempio, di dare importanza specificamente al nome di un candidato: ricordo un caso di un dipendente dell’Alfa Romeo licenziato per discriminazione politica.

C’erano poi tante compagne e compagni importanti proprio per la loro popolarità, per gli estesi legami di massa che si erano conquistati nella loro zona o luogo di lavoro (o categoria) grazie alla loro storia di impegno e di lotta per la causa del proletariato. In effetti, si poteva benissimo fare, anzi si doveva, una campagna anche per raccogliere voti di preferenza e non solo al simbolo del Partito; tuttavia come questa era organizzata veniva deciso dai legittimi organismi ed assemblee di partito, valorizzando democrazia, trasparenza, unità e moralità.

Tutto il Partito (tramite procedure ed organismi più appropriati per ogni caso) decideva come fare propaganda per tutti i candidati in tutto il territorio -o circoscrizione elettorale- interessato.

In tal modo, ogni sezione (e relativamente ogni candidato “bloccato” in tale sezione) poteva, anzi doveva, cercare di raccogliere più preferenze possibili ma solo nel territorio di propria competenza. In tal modo, la conquista di voti e preferenze poteva avvenire solo mediante il rafforzamento del Partito e dei suoi risultati elettorali in generale, poiché ogni sua organizzazione (e ogni candidato) doveva e poteva farlo in un ambito ben definito e deciso in precedenza.

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Tutto ciò è andato perso, a cominciare dalla fine degli anni ‘80, quando il P.C.I. era ormai preda degli usurpatori liquidatori.

La degenerazione, non a caso, iniziò anche con la “liberalizzazione” delle preferenze. La giustificazione che si dava era che sembrava stupido che un candidato potesse cercare voti solo in una zona delimitata anziché in tutta la circoscrizione elettorale: lasciare libero ciascuno di cercarli ovunque possibile avrebbe senz’altro migliorato i risultati elettorali.

Da allora, infatti, la sinistra ha avuto una perdita costante di voti, certo non solo a causa delle preferenze “libere”.

La verità è che scatenando l’individualismo incontrollato dei singoli candidati, la ricerca di voti “nuovi” al partito ovvero lo sforzo di conquistare il consenso ai nostri ideali e ai nostri programmi di persone non già orientate verso di essi, è stato sostituito dall’affannosa ricerca della preferenza più “facile” ovvero tutti si sono scatenati nel loro accaparramento tra chi già aveva deciso di votare per il partito e tra questi, via via, si privilegiava sempre più il contatto con quelli più sicuri, più vicini. Di conseguenza, si è finiti ben presto col trascurare quelli che già non erano decisi o interessati per conto proprio al voto di sinistra o comunista, poi si è abbandonato anche quella parte di questi ultimi meno ferma nelle sue convinzioni ovvero più esposta ai tentativi dell’avversario di conquistarli a sua volta.

È anche per questo che abbiamo una sinistra votata all’autocannibalismo, con esponenti che cercano di strapparsi sempre più accanitamente, l’uno con l’altro, brandelli sempre più piccoli e residui di quanti già li seguivano mentre “fuori” ci sono decine di milioni di nuovi proletari, cresciuti completamente estranei ai valori e alla storia del movimento operaio, con i quali la sinistra attuale non sa minimamente interagire; quindi completamente isolata da essi contrariamente a quello che seppe fare il P.C.I. (quello anche delle preferenze “bloccate”) con le larghe masse degli sfruttati dei propri tempi.

Non a caso, questa è la sinistra che sembra sapersi rivolgere -con i propri toni e contenuti, con il carattere delle proprie iniziative- solo a chi è “già convinto” e non ai moltissimi il cui consenso, la cui coscienza devono essere conquistati nuovamente, con una precisa strategia di interazione capace prima di insediamento, poi di radicamento e infine di egemonia, come insegna Gramsci. Anche questo aspetto della storia del P.C.I. ci insegna che battersi per fare il Partito più forte è il contrario di battersi per accrescere la propria forza nel Partito. La storia del P.C.I. ci insegna che bisogna sempre lottare -ripeto: lottare, non lamentarsi o astenersi da certe bassezze- contro l’individualismo e il carrierismo, contro le cricche e il settarismo, è una necessità irrinunciabile per non fare la fine del vecchio Partito.

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