
di Giuseppe Amata
1. Premessa.
La lettera che il Partito Comunista Italiano ha inviato al Forum dei Comunisti in risposta ad una richiesta per aprire una discussione franca e approfondita in modo da pervenire nell’arco del tempo che sarà necessario alla costruzione di una piattaforma ideologica politica ed organizzativa per unire i comunisti ancora divisi per oggettive ragioni storiche che risalgono lontano nel tempo (vale a dire all’epoca delle divergenze all’interno del Movimento Comunista Internazionale dopo la Conferenza di Mosca del 1960) è di estrema importanza per la discussione che si dovrà avviare non soltanto tra il PCI ed il Forum dei Comunisti ma per tutti quelli, organizzazioni o militanti, che intendono partecipare.
Divergenze iniziate più di sessant’anni addietro e rimaste per diversi anni all’interno delle singole organizzazioni e poi esplose pubblicamente in seguito all’aperto dissenso ideologico tra il PCUS e il PCC e alla diversa e a volte opposta linea politica e azione diplomatica internazionali tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese. Divergenze che sembravano tendenzialmente orientate alla ricomposizione, con il ristabilimento alla fine degli anni Ottanta delle relazioni tra il PCUS e il PCC (dopo il miglioramento dei rapporti statali nel 1985, quando una delegazione cinese capeggiata dal vice-premier firma a Mosca un accordo economico-commerciale di ampia portata) ed anche con il rientro di molti gruppi all’interno dei rispettivi Partiti comunisti.
Altra categoria di divergenze riesplodono nuovamente man mano che si sfaldano i Paesi dell’Est europeo nel 1989, si scioglie il Patto di Varsavia nel 1990 e si dissolve l’Unione Sovietica nel 1991, addirittura con la messa fuorilegge da parte di Eltsin del PCUS, e molti Partiti comunisti dell’Occidente, in particolare il PCI guidato da Achille Occhetto si scioglie.
In Italia la nascita di Rifondazione Comunista non assorbe tutte le organizzazioni e tutti i militanti comunisti critici della linea del PCUS dopo il XX Congresso del PCUS e l’VIII del PCI, mentre assorbe Democrazia Proletaria e il PCd’I(m-l) di Fosco Dinucci. Però, nel 1998, in seguito alla linea ideologica di Bertinotti di abbandono del leninismo per “ritornare a Marx”, ripetendo nella sostanza percorsi europei già sperimentati dalle sinistre socialdemocratiche, il Partito della Rifondazione Comunista si spacca in due tronconi; il secondo, consistente minoranza, guidata da Cossutta dà vita al PdCI e partecipa al governo D’Alema nel momento in cui la Nato, con la piena adesione del governo italiano (seppur con qualche mugugno del PdCI) bombarda la ex Jugoslavia violando la sovranità della Serbia e procurando l’ulteriore disgregazione statuale (si scindono Macedonia e Montenegro) e l’arresto del presidente Milosevic.
Entrambi questi due Partiti perdono sostegno militante e anche consenso elettorale tanto che nel 2008 alle elezioni politiche non eleggono alcuna rappresentanza e quel che resta dei due Partiti subisce successivamente scissioni e ricomposizioni, tanto che nella situazione odierna si trovano ad operare come forze estremamente minoritarie diverse organizzazioni di ispirazione comunista. oltre Rifondazione Comunista e il PCI nato nel 2016, denominate Movimento di rinascita comunista, Resistenza comunista, Patria socialista, nonché circoli comunisti in diverse città, Associazioni comuniste come Marx21, preposta con il sito online e l’attività editoriale a sviluppare il dibattito ideologico e culturale tra comunisti con o senza organizzazione e ad approfondire temi di linea politica interna ed internazionale, svolgendo importanti iniziative di studio ideologico e di informazione in seguito ai rapporti con l’Accademia di Scienze Sociali della Repubblica popolare cinese; nonché si riscontrano centinaia se non migliaia di militanti comunisti senza adesione a partiti o gruppi e per finire dobbiamo mettere in rilievo l’importante iniziativa di un centinaio di compagni che hanno costituito il Forum dei Comunisti per approfondire la discussione sui temi che hanno diviso i comunisti italiani in particolare, ma non solo, in modo da realizzare una piattaforma di discussione individuando alcuni temi principali, la cui soluzione faciliterebbe la costruzione e lo sviluppo di un forte Partito comunista.
2. La lettera del PCI inviata al Forum dei Comunisti in data 11 febbraio 2025.
“Il Partito Comunista Italiano, confermando la propria piena disponibilità a consolidare il rapporto instauratosi con il Forum dei Comunisti, accingendosi a celebrare il proprio terzo congresso nazionale, sottolinea che sin dalla sua nascita, nel 2016, come testimoniano le numerose iniziative dallo stesso promosse e/o alle quali ha convintamente partecipato, persegue l’unità dei comunisti. Con l’Assemblea Costituente egli ha infatti teso a dare forma agli intenti dell’Associazione Ricostruire PC, nata dall’esigenza, avvertita da tante e tanti, di dovere ricostruire nel nostro Paese un soggetto atto a rilanciare, nella situazione politica, sociale e culturale data, quel processo di trasformazione di sistema ritenuto vitale e non più rinviabile alla luce della crisi strutturale di quello capitalista, oggi più che mai evidente, ossia la costruzione di una moderna società socialista. Ciò assegnandosi un ruolo centrale in tale processo, misurandosi senza reticenze con l’analisi storica e aprendo una nuova stagione di studio, ricerca e riflessione teorica in virtù degli assetti culturali, politici e sociali notevolmente mutati. E’ su questo obbiettivo, oggi più che mai all’ordine del giorno, che il PCI ritiene vada pensata e costruita l’unità politica dei comunisti e delle comuniste da più parti invocata. Un’unità che, tuttavia, a parere del PCI, non può essere intesa come mera sommatoria di istanze comuniste variamente declinate sul terreno della cultura politica, dal carattere più resistenziale- testimoniale che progettuale, ma sulla base dello sviluppo dell’eredità di un impianto culturale ricevuto dalla storia quale quello che ha contraddistinto il comunismo italiano, di una cultura politica omogenea. Ciò non esclude affatto, allo stesso tempo, che vada ricercato e consolidato un percorso comune per un’unità d’azione alla quale il PCI continua ad essere concretamente disponibile in funzione della costruzione di un’alternativa politica per l’oggi nel nostro Paese. E’ con tale convinzione che il PCI conferma la propria disponibilità a dare vita in tempi brevi ad un confronto mirato con le diverse soggettività comuniste interessate a muovere nella direzione sottolineata.”
3. Intervengo con alcune proposte.
Ritengo che la Lettera sia estremamente impregnata di spirito unitario e di metodo corretto per la discussione e ne condivido la finalità, ossia ricercare “un percorso comune per un’unità d’azione alla quale il PCI continua ad essere concretamente disponibile” confermando “la propria disponibilità a dare vita in tempi brevi ad un confronto mirato con le diverse soggettività comuniste interessate a muovere nella direzione sottolineata”.
Credo che quest’ultima frase citata si debba scindere per trattare due argomenti importanti ma di diverso livello, che a mio modesto avviso in ordine sono:
a) la costruzione e lo sviluppo del Partito comunista in Italia;
b) l’unità d’azione con altre forze anche non comuniste per realizzare nel nostro Paese un Fronte unito in difesa della Costituzione originaria del 1948 (nata dalla Resistenza e dalla lotta contro il nazi-fascismo europeo e giapponese in cui ebbero un ruolo di primo piano tra le forze comuniste del mondo sia l’Unione Sovietica guidata dal PCUS e dal Comitato Statale per la difesa della Patria, entrambi al comando di Stalin sia il Partito Comunista Cinese e l’Esercito Popolare di Liberazione guidati da Mao Zedong), della pace contro la politica di riarmo innescata dalla Nato e dalla Unione Europea, nonché della difesa dei diritti dei lavoratori e delle libertà democratiche.
Per quanto riguarda il primo punto, il più importante ed immediato nel presente momento storico, anche perché lo svolgimento del secondo punto dipende dal primo, come comunisti in Italia siamo molto indietro mentre si aggravano i pericoli di guerra e di conflitto nell’arena internazionale e nello stesso tempo si stanno predisponendo importanti iniziative unitarie tra Stati che vogliono smantellare il vecchio ordine economico internazionale nato con il colonialismo e rafforzatosi con l’imperialismo.
Sul primo punto dunque la questione dibattuta da lungo tempo, cioè sin dai primi rilievi critici alla struttura organizzativa del PCI, e a maggior ragione adesso nella nostra fase storica, è la seguente: che forma di Partito costruire, ossia un Partito di quadri come era il PCd’I sin dalla sua fondazione alla vittoriosa guerra di liberazione; oppure un Partito di massa come fu il “Partito nuovo” teorizzato da Togliatti nel 1944 e portato avanti prima da lui, poi da Longo, quindi da Berlinguer (e qui mi fermo perché dopo la sua scomparsa prevalendo il correntismo il PCI era già un partito totalmente socialdemocratico sia a livello ideologico che politico e a maggior ragione organizzativo); oppure come suggeriva Pietro Secchia, quando era vice-segretario (dal 1948 al 1955) un Partito di quadri e di massa.
Per quanto concerne la forma di Partito di quadri teorizzata da Lenin nel 1902 bisogna tener conto della nuova realtà storica, dell’evoluzione culturale delle masse e del loro livello di coscienza, delle condizioni in cui opera un Partito comunista, le quali oggi sono profondamente diverse dal periodo zarista in cui le organizzazioni rivoluzionarie facevano esclusivamente un lavoro clandestino. Quindi non sarebbe corretto riproporre meccanicamente quella forma di Partito.
Il “Partito nuovo” di massa teorizzato da Togliatti, pur avendo alcuni aspetti positivi per la capillare diffusione delle direttive in ogni angolo del territorio nazionale, separava nella dialettica interna la voce dei quadri inferiori e intermedi dal gruppo dirigente centrale, quadri che non avevano alcuna possibilità di incidere per raddrizzare la linea politica stabilita dalla direzione e trasmessa alle masse dai funzionari di Partito che pian piano diventavano un corpo burocratico, a maggior ragione quando si imboccava ideologicamente e politicamente prima la via revisionistica e poi quella socialdemocratica che rinnegava apertamente il marxismo-leninismo.
La terza forma di Partito, cioè di quadri e di massa mi sembra alla luce del fallimento del “Partito nuovo”, quella pertinente per la nostra fase storica, in quanto prende come retaggio gli aspetti positivi di un grande Partito di massa come fu il PCI per la veloce trasmissione delle iniziative di agitazione e propaganda ma assegna ai quadri nei tre livelli (superiore, intermedio e inferiore) l’elaborazione della linea politica e la guida delle istanze di Partito, secondo il principio del centralismo democratico; nello stesso tempo ascolterebbe il parere della massa dei militanti tesserati, i quali sono quelli che svolgono nel territorio il lavoro capillare di agitazione e propaganda.
Altri punti fondamentali di discussione per riunificare i comunisti riguardano nell’analisi storica del PCI il perché tale Partito abbandona la giusta linea della “Democrazia progressiva” come fase di transizione in Italia dal capitalismo al socialismo con la cosiddetta “via italiana al socialismo”, la quale al di là delle parole non diventa la via al socialismo secondo le specifiche caratteristiche della società italiana (tale era appunto la “Democrazia progressiva”) bensì nei fatti una ipotetica ed evanescente via parlamentare al socialismo attraverso la richiesta di “governi più avanzati” rispetto al centro-sinistra, magari allargati al PCI con la partecipazione diretta (come nel periodo post-Liberazione; partecipazione mai verificatasi) o con il semplice sostegno come diventa il governo Andreotti dopo il sequestro Moro che determina la tendenziale eutanasia del PCI.
Se sul secondo punto, definito dalla lettera b), iniziative politiche concrete si sono realizzate nel corso degli ultimi anni, sebbene non in una forma ampia di lotta e di organizzazione, resta tuttavia da discutere quale programma di transizione formulare, partendo dall’uscita dell’Italia dalla Nato e dalla UE, per come è stata strutturata come Unione delle imprese multinazionali e del capitale finanziario europeo, imperniata sull’asse franco-tedesco e sulla emarginazione delle aree agricole mediterranee dell’Italia, della Spagna e della Grecia.
Queste tematiche rientrano, a mio modesto avviso, nella discussione tra comunisti dopo la forma Partito e fermo restando la validità della teoria marxista-leninista ed in particolare l’analisi di Lenin sull’imperialismo e sull’analisi delle principali contraddizioni esistenti oggi nel mondo (oltre allo studio delle esperienze storiche realizzate da tutti i Partiti comunisti nel processo rivoluzionario per trasformare il modo di produzione capitalistico e orientare i loro Paesi in direzione del socialismo, prima fra tutte la lunga esperienza rivoluzionaria e di trasformazione economico-sociale cinese) per delineare una strategia di transizione e quindi adeguare la linea di massa a questa strategia.
Certo bisogna capire attentamente quello che sta succedendo in questo preciso momento nelle contraddizioni interimperialistiche tra USA e UE dopo il sostegno della NATO ad azioni aggressive verso la Russia, utilizzando il sangue dei giovani ucraini, miseramente fallite, oppure al disperato tentativo degli USA di fermare l’impetuoso sviluppo della Repubblica Popolare Cinese che ha messo in crisi il mondo unipolare a guida americana dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, infine anche il sistema di nuove alleanze tra Cina, Russia e i Paesi del Sud del mondo per distruggere il vecchio ordine economico internazionale e stabilire nuove relazioni sul reciproco vantaggio per realizzare una comunità mondiale dal destino condiviso, come sta succedendo con i BRICS+.
Per capire le contraddizioni interimperialistiche tra USA e UE nel presente momento dobbiamo fare un lungo passo indietro e scoprire che l’unico disegno di autonomia dell’Europa rispetto agli USA, seppur per la difesa degli interessi capitalistici nazionali, era quello praticato per primo da Enrico Mattei che stimolò l’allora presidente della repubblica Giovanni Gronchi ad andare a Mosca nell’inverno del 1960 per la prima visita di Stato di un italiano, nel corso della quale furono firmati importanti accordi economici e commerciali (oltre all’ENI erano interessate IRI, FIAT, Montecatini ed Edison; l’ENEL fu creata nel 1962); poi da Charles De Gaulle che riconobbe nel 1964, come primo Stato dell’Occidente, la Repubblica Popolare Cinese (dopo la neutrale Svizzera e la Gran Bretagna, in quanto aveva interesse a mantenere Hong Kong dopo la vittoria della rivoluzione di Mao Zedong), e successivamente iniziò una partnership con la Unione Sovietica e di rimando si dissociò dalla politica aggressiva americana in Vietnam e nel Sud-est asiatico, e tentò di scardinare il patto leonino che era stato imposto dagli USA agli altri Paesi capitalistici con gli accordi di Bretton Woods, accordi fondati sulla supremazia del dollaro costruito come il sistema solare attorno al quale ruotavano tutte le altre monete (patto che ho definito leonino mutuandolo dalla nota favola di Esopo, riportata anche da Fedro, sul leone che si accorda con un animale veloce che chiama l’onagro, noi possiamo dire il ghepardo, per cacciare più prede e poi dividerle), in quanto il dollaro era rapportato all’oro, 35 dollari per un’oncia depositata nella Federal Reserve, ma da questa Banca centrale non erano emessi dollari in quantità corrispondente all’oro depositato nel forziere di Fort Nox, bensì erano emessi sulla base delle esigenze del Tesoro americano e pertanto gli USA, stampando moneta per finanziare le loro guerre aggressive e per mantenere le truppe dislocate nelle basi estere, esportavano inflazione scaricandola su tutti i Paesi del mondo che utilizzavano il dollaro come moneta di pagamento e di riserva, cioè di accumulazione; e infine da Willy Brandt con la sua Ostpoilitik. Tuttavia, alla fine degli anni Settanta inizia l’involuzione di ogni singolo Paese europeo con il consolidamento della Comunità Economica Europea. Ma prima, nel luglio del 1971, c’era stato un fatto storico imprevisto e la storia come insegnano Tacito, Machiavelli e Gramsci è magister vitae.
Ricordiamolo per capire!
Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale, in visita ufficiale in Pakistan dice al suo seguito di collaboratori e giornalisti che si allontana dalla capitale per due giorni di riposo in una località di montagna e invece travestitosi da turista sale su un aereo militare e atterra a Pechino per incontrarsi con Zou Enlai prima e subito dopo anche con Mao Zedong. Alcune settimane dopo, nella notte americana del 14 agosto (ma in Giappone era già l’alba del 15 e per Ferragosto tutte le Borse valori e merci del mondo, come è noto, sono chiuse) il presidente americano Nixon annuncia con un gesto di prepotenza imperialistica la fine degli accordi di Bretton Woods e quindi l’inconvertibilità del dollaro in oro; inoltre annuncia la svalutazione del 10% del dollaro rispetto alle principali valute estere occidentali per favorire le esportazioni americane e di rimando una sovrattassa del 10% sulle merci importate in modo da vincere la concorrenza con le merci estere, soprattutto di Germania e Giappone, le quali stavano conquistando maggiori mercati a spese degli USA impelagati nella guerra in Vietnam e nell’aumento delle spese militari.
Oggi sta avvenendo lo stesso processo con la politica di Trump, la quale tenta di scaricare l’attuale crisi economica iniziata nel 2007 ed ancora non risolta, seppur alleggerita in qualche breve periodo degli ultimi diciotto anni circa, sui Paesi della UE, organizzazione discendente dalla CEE con l’ambizione di diventare Stato unitario imperialistico. Per portare al successo questo obiettivo, dopo la dissoluzione della Unione Sovietica, sono stati approvati gli accordi di Maastricht che prevedevano rigidità nei bilanci nazionali per favorire i Paesi più solidi (Germania in testa, Paesi Bassi e Francia); è stata creata la Banca centrale europea come banca privata che divide gli utili ma che svolge un interesse pubblico, controlla tutte le banche operanti nei Paesi aderenti ed emette la moneta unica entrata in circolazione nel 2002. Non solo, ma si inizia una politica di espansione imperialistica con la copertura della Nato e degli USA, disintegrando la Jugoslavia, assorbendo i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, fomentando rivoluzioni colorate in Ucraina, Georgia, Bielorussia (stroncata dalla direzione di Lukascenko), militarizzando l’Ucraina per portare i missili balistici ai confini della Russia. Il fallimento di questa strategia ha determinato gli USA a guida Trump ad invertirla, come hanno fatto altre volte in passato, e a cercare di lasciare invischiata nella guerra in Ucraina la Unione Europea, la quale grazie ai suoi leader “lungimiranti” ha da mezzo secolo abbandonato l’unica via solida (per gli stessi interessi delle imprese industriali e commerciali ma non per il capitale finanziario diventato il soggetto dirigente), cioè quella intrapresa da Mattei, De Gaulle e Brandt, ossia una relazione economica di reciproco vantaggio, di parità e di pace con il continente euro-asiatico, per subordinarsi agli USA nel tentativo di riuscire ad allargare le sue aree di influenza catturando materie prime a basso prezzo e mercati di sbocco dei suoi capitali e delle sue merci dove Napoleone e Hitler avevano fallito, rischiando così la sua disintegrazione e speriamo che arrivi presto.
4. Delineare una Strategia di Transizione al Socialismo.
Strategia di transizione come fu la “Democrazia progressiva” promossa da Togliatti, valida sul piano teorico ma fallita nella pratica perché il PCI non aveva il potere politico mentre le strutture statuali erano rimaste quelle fasciste, tant’è che alla prima occasione fu scaricato assieme al PSI dai governi di coalizione, nei momento in cui la borghesia italiana si accodò agli USA e al sistema di alleanze militari in formazione come la Nato. Oppure come la “Nuova Democrazia” proposta e realizzata con successo da Mao Zedong in Cina, prima di iniziare la trasformazione socialista della società.
Una Strategia di Transizione con l’obiettivo di iniziare a trasformare il modo di produzione capitalistico in Italia è indispensabile per creare le condizioni materiali per delineare nel futuro una società socialista. Oggi, purtroppo, non si può realizzare nessuna trasformazione nell’Occidente se la classe operaia, diseducata dall’azione dei Partiti socialdemocratici attraverso tutte le forme di divisione tra le masse con la collaborazione dei sindacati, a loro assoggettati, i quali hanno svolto un’azione di subordinazione al potere capitalistico; nonché per gli strumenti di alienazione di massa propinati dai governi al servizio del capitale finanziario, delle multinazionali e dei monopoli interni (soft power, lotterie, giochi televisivi, avvenimenti sportivi soprattutto con il calcio per l’enorme business che ha incorporato e per la divisione delle masse al seguito dei diversi grandi club).
Compito primario del Partito comunista è, quindi, far rinascere tra le masse la coscienza di classe, far prendere loro coscienza degli interessi legittimi e abbandonare quelli futili per affermare l’autonomia della classe operaia liberandola dalle catene che l’attorcigliano. Senza questi processi il Partito comunista rimane una forza marginale e di testimonianza nella società, rimane composto da pochi intellettuali progressisti o rivoluzionari, spesso litigiosi su questioni di lana caprina dimostrando uno spirito individualistico e non collettivistico.
Per delineare una Strategia di Transizione bisogna subito mettere in chiaro, per non ripetere slogan del passato come le “riforme di struttura” (che ovviamente ci volevano ma erano irrealizzabili senza potere politico), che nessuna riforma si può realizzare senza avere nelle mani il potere politico dello Stato, magari in alleanza con altre forze, e senza la mobilitazione e il controllo da parte delle masse delle direttive di politica estera, finanziaria ed economica. Infatti, si richiede una politica estera attiva e neutrale, magari con il supporto economico di nuove relazioni nel continente euro-asiatico, associandosi ad attività di collaborazione internazionale, quale la BRI, l’Unione Euro-asiatica, oltre all’adesione ai BRICS+ e alla promozione di una Unione dei Paesi mediterranei.
Nella strategia di transizione bisogna preliminarmente tener conto che il nostro pianeta è un sistema chiuso che scambia con l’esterno soltanto energia, mentre tutti gli ecosistemi terrestri sono sistemi aperti che scambiano energia e materia e quindi bisogna contabilizzare l’energia scambiata con l’analisi energetica che si scinde in negaentropia, ossia ordine da realizzare ed entropia cioè disordine che si determina per realizzare l’ordine e questo bilancio energetico non può essere negativo, altrimenti si determineranno velocemente in decine di anni, come si stanno determinando, devastanti inquinamenti ed incontrollati mutamenti climatici in seguito all’attività umana, mentre per quelli che in passato ha determinato esclusivamente la natura ci sono voluti migliaia di anni. Gli scambi di materia, come è noto, si contabilizzano con il calcolo economico.
Si rende, pertanto, necessario trasformare il sistema economico con alcune misure immediate, pena il continuo degrado sociale e l’accentuarsi della crisi economica, anche per le conseguenze non soltanto della contraddizione tra capitale e lavoro, ma anche delle contraddizioni interimperialistiche. Occorre ricostituire la Banca centrale come ente di diritto pubblico, con prevalenza del capitale azionario pubblico, che impedisca alle imprese industriali di entrare nelle banche ordinarie e alle banche ordinarie di acquistare pacchetti azionari delle imprese, nonché che imponga la separazione dell’attività bancaria di investimento da quella commerciale che concede prestiti ad imprese e famiglie, per cui si dovranno avere separatamente banche di investimento e banche di credito ordinario. Inoltre è indispensabile un programma di rinazionalizzazione delle fonti energetiche e dell’industria siderurgica, non assegnando, però, come in passato la gestione ai manager, ma a dei comitati aziendali in cui oltre i manager e gli specialisti del settore aziendale siano presenti le rappresentanze di tutte le categorie di lavoratori e tecnici. E’ urgente delineare un piano di sviluppo del trasporto pubblico, della istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale da parte dello Stato tramite i ministeri preposti, dopo i fallimentari bilanci economici in seguito alle privatizzazioni operate dai governi sia di centro-sinistra che di centro-destra.
5. Conclusioni.
Come giustamente si dice nella lettera del PCI l’unità “non può essere intesa come mera sommatoria di istanze comuniste variamente declinate sul terreno della cultura politica, dal carattere più resistenziale – testimoniale che progettuale, ma sulla base dello sviluppo dell’eredità di un impianto culturale ricevuto dalla storia quale quello che ha contraddistinto il comunismo italiano, di una cultura politica omogenea”. Tale impianto però non può essere soltanto riproposto ma deve essere adeguato alle condizioni storiche attuali e depurato da tutte le scorie passate che abbiamo riscontrato. Se riusciamo a dare collettivamente, cioè da parte delle organizzazioni e dei militanti interessati a riunificare i comunisti nel Partito, una risposta adeguata ai quesiti che abbiamo urgentemente da affrontare avremo fatto un bel passo avanti.
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