di Luca Cangemi
Fausto Sorini, su Marx21 del 7 settembre, prova (testardamente) a rilanciare la discussione tra i comunisti su basi razionali.
Credo che sia una testardaggine nutrita di forti ragioni, che merita una interlocuzione franca ed esplicita, come del resto hanno fatto i compagni che sono intervenuti nella discussione, tutti con contributi importanti.
Dobbiamo fare uno sforzo per approfondire questa discussione e costruire occasioni collettive di confronto non episodiche (mi sembra questo il senso profondo del forum proposta da Sorini). E dobbiamo farlo stabilendo una connessione profonda con una realtà che cambia e offre spazi inediti, solo a saperli vedere e a scegliere di lavorarci con impegno e umiltà. Dico subito che le vicende di Gaza e dell’intero Medioriente e i loro riflessi – sia sul piano internazionale, sia sul piano interno – sono un banco di prova.
Se sul piano internazionale si accentuano tendenze ad una grande difficoltà politica del blocco occidentale (accompagnate da una crisi di egemonia culturale sempre più marcata) e un protagonismo efficace e abbastanza coordinato delle forze emergenti (segnalerei la posizione di grande forza della Cina, sviluppo ulteriore di una iniziativa nell’area che già aveva conseguito risultati rilevanti) non meno importanti, su scala diversa, sono i segnali che vengono dalle manifestazioni per la Palestina in Italia, così come in altri paesi europei.
Contrastando un’informazione che ha replicato l’aggressività del caso ucraino e una rappresentanza istituzionale vergognosamente compatta attorno a Israele e agli Usa, si sono tenute notevoli manifestazioni (e altre ne sono annunciate) in tutta Italia. Queste iniziative di piazza registrano due elementi che a mio parere sono potenzialmente molto importanti per il nostro lavoro militante e per la stessa prospettiva di non breve periodo che Sorini ci chiama a discutere: una rinnovata presenza giovanile e un protagonismo delle comunità migranti, che sono e saranno sempre più una parte rilevante del panorama sociale del nostro paese.
Dentro questa situazione in movimento, per le grandi e strutturali ragioni che tante volte abbiamo discusso su Marx21, va collocata la discussione tra i comunisti. A partire, inevitabilmente, da un’analisi spietata della realtà da cui partiamo.
Sorini e anche altri compagni descrivono bene la situazione di dispersione e insignificanza progressiva che da anni ormai sembra costituire una tendenza inarrestabile. Non vi è bisogno di ripercorrerla. Si tratta di cogliere l’urgenza di invertire la tendenza con la consapevolezza che, in assenza di novità in un lasso di tempo breve, anche le valorose esperienze presenti – sia sul piano locale che nazionale – vedranno non solo ridursi ulteriormente la loro influenza ma persino messa in discussione la possibilità di agire sul piano della battaglia delle idee.
Con questa premessa e seguendo lo schema di ragionamento proposto da Sorini vorrei proporre alcune, brevi e schematiche, riflessioni.
- La discussione sul passato o delle origini della crisi.
Condivido la sottolineatura che fanno molti compagni intervenuti sull’importanza di una discussione sulla storia dei comunisti che spieghi i motivi di una disfatta così grave, penso però che non ci sia un prima e un dopo. Cioè non ci saranno passi significativi in avanti, anche sul piano della discussione storica, indipendenti dai processi politici. Gruppi dispersi, sconfitti e autoreferenziali – a prescindere dalle capacità intellettuali individuali – non riusciranno a porre sui giusti binari una valutazione storica dell’esperienza del PCI e di ciò che venne dopo non diversamente da come non riescono a collocarsi produttivamente nello scontro di classe. Non saper leggere la propria storia è parte della sconfitta. Ce lo dimostra il fatto che il gruppo dirigente del PCI dagli anni 90 a ogg i- a prescindere dall’appartenenza generazionale e alla collocazione rispetto alla svolta occhettiana – non abbia prodotto alcunché di significativo sulla fine del proprio partito (con la parziale eccezione del “sarto di Ulm” di Lucio Magri). Il presente illumina il passato e non viceversa, la fondamentale lezione di Marx vale anche in questo caso.
Credo, quindi, che la discussione sulle origini della crisi vada sviluppata nel modo più aperto possibile. Mentre si opera politicamente sulle questioni dell’oggi, ognuno porti il suo contributo con la consapevolezza della necessaria parzialità che esso riveste. Io, ad esempio, ho proposto un ragionamento sul ruolo che ebbe la questione dell’europeismo in quel processo che Sorini definisce la “mutazione antropologica” del PCI1. Ma appunto si tratta di pezzi di ragionamento di un discorso complessivo tutto da fare, rispetto al quale io mi limiterei a mettere solo quattro punti di orientamento generale:
- L’esclusione di ogni prospettiva “eccezionalistica” per cui il PCI dal 1926, dal 1945 o al più tardi dal 1956 sarebbe già stato altra cosa dal movimento comunista internazionale e in particolare dai partiti più vicini a quello sovietico. E’ una prospettiva su cui convergono posizioni di “destra” e di “sinistra” ma è una prospettiva che non ci aiuta. Proprio il disastro del comunismo italiano tra gli anni ‘80 e ’90, che è paragonabile solo a quello di alcuni paesi dell’Est (non tutti), dimostra, nel bene e nel male, l’internità del PCI alla vicenda del comunismo internazionale ed a quella dell’URSS.
- La necessità di “riscoprire” di posizioni critiche capaci di coniugare tradizione comunista e innovazione; penso, ad esempio, all’attenzione di Secchia verso i movimenti studenteschi e a settori sindacali, ad esempio nell’area milanese, che incrociavano leninismo e vertenze operaie d’avanguardia.
- Un giudizio critico ma non liquidatorio sulle esperienze del decennio degli anni 90, in particolare su Rifondazione. La nascita del PRC con tutti i suoi elementi di confusione e eterogeneità (ma sarebbe stato assai singolare che non fosse così, considerato il panorama interno e internazionale di quegli anni) ha comunque rappresentato una risposta di resistenza sul piano politico e sociale, aperta a sviluppi diversi da quelli poi verificatisi nei primi anni del duemila. Io credo che il punto di rottura sia stato nell’ ignorare (e poi perseverare nell’errore a lungo) le grandi modificazioni del mondo che già si annunciano nei primi anni del nuovo millennio, affrontate con categorie completamente sbagliate e per di più giustificate con una rottura a sinistra del pensiero comunista che poi volge rapidamente a lidi moderati (ma questa non è proprio una novità…).
- Una connessione necessaria tra analisi della sconfitta dei comunisti, interpretazione degli specifici cambiamenti avvenuti nella società italiana, azione egemonica strutturata e di lungo periodo svolta dalle varie fazioni delle classi dominanti nei confronti del movimento operaio e delle sue organizzazioni.
- Che Fare? (Ri) Costruire il rapporto tra i comunisti e la società italiana nei punti alti delle contraddizioni politiche e di classe.
Su ciò che è possibile e necessario fare nella direzione di una ripresa di discussione non episodica ed anche di iniziative sono abbastanza d’accordo con quanto scrivono Sorini e molti intervenuti. Mi limito prima a qualche considerazione.
- La proposta del forum mi sembra colga l’esigenza presente e il livello di praticabilità attuale; essa va precisata in una verifica aperta e con una grande disponibilità all’ascolto.
- Sottolineo con enfasi la proposta delle esperienze pilota e più in generale la necessità di fare e sperimentare. Questo è necessario tanto a livello politico quanto a livello di analisi. Per lanciare un segnale di controtendenza ma anche per cogliere le modificazioni profonde della struttura di classe abbiamo bisogno di “buttarci” in battaglie già in campo e di suscitarne di nuove. Ad esempio, sulle questioni della salute (in tutta la loro complessità dagli ospedali all’industria farmaceutica) e della scuola.
- Credo che ci siano forze sufficienti per un lavoro specifico e proficuo sul settore dell’informazione e della formazione. Tanti compagni e tante compagne in particolare sulla questione ucraina, e oggi sul Medio Oriente, hanno fatto un lavoro di controinformazione gigantesco. Ci sono anche esperienze di denunce sociali (sullo sfruttamento dei precari, sull’università, sulle morti sul lavoro). Ci sono compagni che in modo autorganizzato o anche dentro una istituzione formativa costruiscono convegni e seminari di ottimo livello. Censiamo queste esperienze, studiamole, costruiamo senza ledere in alcun modo l’autonomia e la specificità di ciascuno (che in particolare in questo campo rappresentano una grande ricchezza) momenti di collaborazione. La costruzione di un articolato polo formativo-informativo attivo sulla rete e nei territori sarebbe di straordinario valore, e potrebbe incrociare domande sociali che mille segnali ci dicono estese.
3) Il Fronte necessario.
Una politica di Fronte che si ponga come obiettivo la costruzione di uno strumento collettivo e plurale, ma non indistinto, per agire politicamente e socialmente in questo paese è necessaria per molti motivi.:
- per difendere la democrazia di fronte all’assalto dei gruppi dirigenti occidentali ai residui spazi di agibilità (il divieto a manifestare per la Palestina in alcuni paesi europei, l’arresto di manifestanti e anche dirigenti politici, la militarizzazione non solo dell’informazioni ma anche di molte istituzioni culturali, l’ostracismo verso gli intellettuali dissidenti, la riabilitazione del fascismo) sono segnali di tendenza che non è possibile sottovalutare.
- per dare un minimo di sponda politica a lotte sociali che, anche quando sono significative (e anche quando hanno una chiara natura generale), restano isolate e inefficaci.
- per dare rappresentanza a settori – sempre più vasti del popolo – respinti nella depoliticizzazione.
Questione comunista e questione del Fronte hanno – come sottolinea Sorini -rispettive diversità e peculiarità, ma vanno intese come parti costitutive di un processo unico e unitario. Questa condivisibile e necessaria affermazione significa che solo dentro processi politici più ampi e non meramente testimoniali i comunisti possono avere, unendo capacità di rapporto unitario e difesa della propria autonomia politica, spazi, tempi e relazione per ricostruire una presenza significativa.
Note:
1 Luca Cangemi, Altri Confini, Derive Approdi, 2019
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