intervista a Fausto Sorini, responsabile esteri del PdCI | a cura di Mauro Gemma
I COMUNISTI ITALIANI E L’INCONTRO INTERNAZIONALE DI ATENE
1. Cento delegati di 59 paesi in rappresentanza di 78 partiti presenti al 13° Incontro dei Partiti comunisti e operai di Atene. Cifre di tutto rispetto per il tradizionale forum annuale organizzato dalla rete Solidnet. Il più riuscito incontro per quantità di forze presenti, non è vero? Quali sono le tue impressioni? Quali i principali contenuti della discussione?
L’incontro di Atene è stato il 13° di una serie di incontri annuali, iniziati proprio ad Atene nel 1998, volti ad avviare un processo di ricostruzione di un movimento comunista e rivoluzionario del 21° secolo, dopo il crollo dell’Urss e la fine del vecchio movimento comunista imperniato sull’Unione Sovietica. Un movimento che era ormai da tempo in crisi e profondamente diviso dopo la rottura tra Cina e Urss e l’approfondimento della crisi del sistema sovietico.
Tale processo di ricostruzione, se vuole essere efficace nel tempo presente ed imparare anche dai limiti della propria esperienza storica, deve riappropriarsi appieno di due principi che caratterizzarono la migliore elaborazione del PCI di Togliatti e di Longo in materia di internazionalismo: l’unità nella diversità ed una linea di unità d’azione e convergenza con altre forze progressive, antimperialiste e di pace nel contesto internazionale.
L’umanità ha bisogno di un movimento comunista e rivoluzionario all’altezza dei tempi, aperto non solo alla ricostruzione di una piena autonomia politica, organizzativa e ideologica dei partiti comunisti nel contesto nazionale e internazionale, ma anche e in modo del tutto complementare e flessibile alla convergenza politica e programmatica, a vari livelli e con diversa intensità, con altre forze anticapitalistiche, antimperialiste, progressive e democratiche: ove ciò consenta un avanzamento effettivo, anche parziale, sul terreno della pace e del progresso sociale e democratico, contro quelle che volta a volta si presentano come le minacce reazionarie più pericolose.
Ciò è possibile se il movimento comunista si sviluppa nell’ambito di un confronto politico e ideologico franco, che non teme la discussione tra posizioni anche diverse, a condizione che ciò avvenga sempre nel rispetto reciproco, e ponendo l’accento – nella lotta e in convergenza coi popoli dei rispettivi paesi – sulle cose che uniscono piuttosto che su quelle che dividono. Evitando con cura, da parte di ognuno, ogni sia pur minima tentazione di rappresentare una sorta di magistero per altri.
Ricordiamo tutti gli anni in cui alcuni partiti, italiani e non, pretesero di dare lezioni di comunismo a tutto il mondo: poi si vide come andò a finire quella storia. Mai più commetteremo, per quanto ci riguarda, quell’errore di presunzione, e così ci auguriamo sia per tutti.
Tali principi sono largamente diffusi tra i partiti presenti ad Atene, anche se non ancora in modo unanime. E soprattutto lo sono tra pressoché tutti i maggiori partiti comunisti del mondo, siano essi al potere, membri di governi di coalizione o all’opposizione, a partire dai partiti comunisti dei cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che da soli rappresentano la grande parte della forza organizzata e dell’influenza dei comunisti su scala mondiale.
Nella discussione ad Atene vi è stata una larghissima convergenza sulle questioni di principio, alcune diversità su taluni aspetti di strategia, diverse di natura tattica. Ciò è del tutto naturale, fisiologico, e corrisponde in primo luogo ad un dato oggettivo, prima ancora che soggettivo: lo sviluppo ineguale del capitalismo nelle diverse regioni del mondo, nei diversi paesi, e quindi lo sviluppo ineguale, anche per questo, dei processi rivoluzionari (non tutto è riconducibile a fattori soggettivi, che pure esistono e contano).
Questa discussione, nel merito, ruota a mio avviso attorno al tema degli obiettivi intermedi, delle fasi intermedie, dei processi di transizione nella lotta per il socialismo, su scala nazionale e internazionale. Riassumerei così, schematicamente, il problema: tra il nostro presente e la vittoria del socialismo nel mondo esiste una fase storico-politica, di cui non conosciamo la lunghezza e le caratteristiche, ma che comunque sarà una fase non breve: ciò è da tutti riconosciuto. Quali saranno le caratteristiche, in ogni paese e mondialmente di questa fase non breve di transizione? Di ciò, al fondo, stiamo discutendo. Perché tutti sappiamo che ciò non si risolverà in tempi brevi e con un’unica e risolutiva carica di cavalleria.
L’incontro ha adottato all’unanimità un documento finale che segnala quelli che sono stati i principali contenuti della discussione, e i punti di approdo unitari. In particolare l’analisi preoccupata del grave e rapido approfondimento della crisi sistemica del capitalismo e l’offensiva articolata dell’imperialismo su scala mondiale, che indicano la necessità dello sviluppo e del rafforzamento di un ampio movimento di lotta capace di resistere agli attacchi ai diritti sociali e del lavoro, ai diritti democratici e alla sovranità di popoli e Paesi, e di prospettare la conquista di avanzamenti progressivi volti a determinare elementi di rottura, di segno anti-capitalista, anti-liberista e anti-monopolista negli equilibri del sistema, e di riportare nel dibattito e nella coscienza dei popoli il tema della lotta per il superamento del capitalismo e della prospettiva socialista.
Il documento saluta le lotte in corso in ogni parte del mondo e sottolinea l’importanza della solidarietà internazionalista e della cooperazione coordinata dei comunisti.
In uno specifico odg, approvato all’unanimità, vengono indicati alcuni assi fondamentali di un impegno immediato, comune o convergente:
-promozione e sostegno attivo alle lotte operaie e popolari in ogni parte del mondo;
-sviluppo di azioni contro l’aggressività imperialista, considerando come appuntamento comune simbolico il 25° vertice della Nato che si terrà il 21-25 maggio 2012 a Chicago; solidarietà attiva coi popoli che lottano contro l’imperialismo, vittima di aggressioni, ingerenze e occupazioni;
-iniziative politiche e culturali contro la recrudescenza dell’anticomunismo: contro leggi repressive e persecuzioni, e contro il revisionismo storico, che rimuove il ruolo dei comunisti e dell’Urss nella lotta contro il nazi-fascismo e nella lotta per il socialismo;
-promozione di un fronte mondiale contro l’imperialismo e sostegno alle organizzazioni internazionali di segno antimperialista, come ad esempio la Federazione mondiale della gioventù democratica, sostegno alle iniziative in difesa dell’ambiente e contro il saccheggio delle risorse naturali dei popoli.
Al punto in cui siamo e data la profondità della crisi del sistema capitalistico e imperialistico e dei pericoli di guerra che essa porta con sé, il problema vero di questi incontri internazionali non è solo quello – pur essenziale – di rafforzare il profilo politico e ideologico del movimento comunista su scala mondiale, ma anche e soprattutto di essere in grado come comunisti – in un quadro di vaste alleanze e convergenze sociali e politiche democratiche e progressive – di essere promotori di grandi movimenti di lotta, con basi di massa e non meramente testimoniali, a partire dai rispettivi contesti nazionali e internazionalmente coordinati, capaci di incidere sulla realtà e di modificare i rapporti di forza. Capaci di far crescere nei popoli la consapevolezza che solo il socialismo, la conquista di posizioni che consentano di avanzare verso il socialismo, l’indebolimento delle posizioni dell’imperialismo nel mondo, possono far avanzare i popoli e l’umanità intera verso soluzioni compiute e durevoli alle contraddizioni del capitalismo della nostra epoca.
2. La discussione ad Atene è stata segnata, come era scontato, dall’acutizzarsi della crisi economica e finanziaria del capitalismo, che in Europa ha assunto dimensioni drammatiche per le condizioni di vita dei lavoratori, colpiti dalle misure di austerità imposte dalle strutture dell’Unione Europea. Nello stesso tempo, però, sembrano manifestarsi con forza i segnali di una ripresa vigorosa dell’influenza delle forze comuniste e anticapitaliste dell’area dell’euro. Ne sono testimonianza non solo lo sviluppo di lotte sociali e movimenti popolari di rilievo, ma anche le affermazioni elettorali di partiti comunisti in paesi, soprattutto nell’area mediterranea, come Portogallo, Spagna, Grecia e Cipro e i sondaggi che danno, laddove i comunisti sono significativamente presenti, queste forze anche in forte crescita (come nel caso della Grecia). Eppure agli osservatori più attenti non è sfuggito il fatto che sembrino prevalere più gli elementi di differenziazione e polemica, frutto delle divisioni avvenute nel movimento comunista europeo (ad esempio, in relazione alla nascita del partito della “Sinistra Europea”) che non quelli che possono unificare i comunisti su obiettivi di lotta. Un solo esempio: è sconcertante il fatto che non si sia riusciti ancora ad organizzare un’iniziativa coordinata contro le ripetute aggressioni e guerre che hanno coinvolto e coinvolgono numerosi paesi europei.
Esiste, a tuo avviso, la volontà di superare questi limiti e di avviare iniziative che cerchino di contrastare in modo efficace le politiche imperialiste, sul piano economico, politico e militare?
La tua domanda coglie effettivamente quello che è oggi uno dei punti di maggiore e peculiare debolezza del movimento comunista europeo, diversamente dagli altri continenti. Esso si manifesta per giunta in una regione del mondo dove pure i comunisti hanno avuto storicamente e mantengono in molti paesi – seppur ridimensionati – una influenza di massa. Mi riferisco alla mancanza di unità d’azione e ad una enorme difficoltà di coordinamento, che a loro volta conseguono al permanere di differenze (e divergenze) politiche e ideologiche significative. Eppure, dopo il crollo dell’Urss e la crisi dei partiti di ispirazione euro-comunista, si era avviato un processo ricompositivo – quanto meno nei paesi dell’Unione europea – tra i maggiori PPCC della regione che aveva portato negli anni Novanta alla formazione di un gruppo unico al Parlamento Europeo, insieme ad altre forze di sinistra anticapitalistica (il Gruppo della sinistra unitaria europea/Sinistra Verde Nordica: il Gue-Ngl). Tale processo virtuoso è stato messo in crisi, a mio avviso, da un principale fattore negativo: la formazione del Partito della Sinistra Europea (Se), che ha consapevolmente introdotto una frattura politica e organizzativa tra i maggiori PPCC europei, tentando artificiosamente di ricostituire – accentuandole – le divisioni ideologiche prodotte in passato dall’eurocomunismo, senza che ve ne fosse più peraltro la ragione primaria (e cioè la discussione lacerante degli anni 70 e 80 sulla crisi del sistema sovietico).
Non esiste in nessun altro continente o regione del mondo una struttura sedicente “unitaria” della sinistra anticapitalistica e antimperialista che spacca in due il movimento comunista. Al contrario (penso ad esempio al Forum di Sao Paolo) tali strutture di coordinamento comprendono tutti i partiti comunisti della rispettiva regione. Solo in Europa il principio aureo dell’unità nella diversità è stato così brutalmente violato (e, nonostante ciò, vi sono ancora partiti comunisti dell’Europa occidentale che si considerano il sale della terra..).
E’ vero che il Gue esiste ancora, ma non opera più come negli anni 90 come struttura potenziale di coordinamento di una iniziativa politica più complessiva dei comunisti e della sinistra dell’Ue. Mentre persiste una difficoltà di coordinamento paneuropeo dei partiti comunisti e di sinistra, che comprenda cioè – come sarebbe necessario – anche i partiti dell’Europa dell’est, dei Balcani e dell’area europea ex sovietica, Russia compresa. E poiché le divisioni o le incomprensioni passano attraverso i maggiori partiti comunisti dell’Ue, esse si manifestano sia che si tratti di coordinare l’iniziativa dell’insieme delle forze di sinistra, sia che si tratti di unire l’azione peculiare dei partiti comunisti.
Tutto ciò pesa negativamente, anche nel coordinamento delle lotte operaie e popolari, e nelle lotte contro le guerre che hanno coinvolto Paesi europei (in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia… per non parlare delle minacce attuali, gravissime, alla Siria e all’Iran).
C’è la volontà nei partiti comunisti europei più consapevoli e responsabili di superare questo stato di cose (penso all’impegno incessante in questo senso dei comunisti portoghesi, o dell’Akel di Cipro, ma anche di altri); ci sono lavori in corso – ed il PdCI è parte integrante e attiva di questo impegno alla ricomposizione unitaria – ma non sarà né breve né semplice.
Nel mio intervento ad Atene, a nome del partito, ho proposto queste priorità dell’impegno dei comunisti nel contesto europeo:
-dare impulso e sviluppo alle lotte nazionali contro la linea Ue/BCE di massacro sociale;
-legare le lotte sociali alla mobilitazione contro la guerra, l’imperialismo, la NATO, introducendo nelle piattaforme di lotta, ad esempio, il tema della riduzione delle spese militari e, segnatamente, delle spese per le missioni di guerra all’estero. Il movimento della pace oggi è in grave crisi in Europa, ed esso può rinascere in questa fase solo se si determina un intreccio tra lotta contro la guerra e lotta sulle questioni sociali più sentite dalle grandi masse;
-coordinare queste lotte su scala regionale, determinando una sorta di contagio delle situazioni più avanzate rispetto a quelle più arretrate: cominciando con l’invito ad intervenire alle rispettive manifestazioni nazionali alcuni rappresentanti del movimento di lotta di altri paesi.
3. Mentre ad Atene si svolgeva la conferenza, a Mosca abbiamo assistito ad una vasta mobilitazione di forze che, prendendo a pretesto i brogli avvenuti alle elezioni legislative, hanno dato l’impressione di prepararsi a organizzare una “rivoluzione colorata” simile a quelle avvenute in altri stati dell’Est europeo e dello spazio ex sovietico. Quali reazioni hai registrato di fronte a un evento che ha generato molta confusione nell’opinione pubblica occidentale, per la gigantesca strumentalizzazione che ne ha fatto l’apparato mediatico occidentale. In particolare cosa ne pensano i compagni dei partiti comunisti di quella regione, a cominciare dal Partito Comunista della Federazione Russa che pure si è schierato contro i brogli che hanno limitato la portata del suo straordinario successo elettorale?
In Russia è in atto un processo di non facile interpretazione, per chi si limita a guardare le cose superficialmente o in modo propagandistico, anche tra i comunisti.
I comunisti del PCFR (il partito comunista guidato da Ziuganov, che è il principale ma non l’unico in un contesto russo segnato da una considerevole frammentazione della famiglia comunista ex PCUS), valuta che non esiste in Russia il pericolo di una “rivoluzione colorata” ispirata dall’Occidente e capace di rovesciare un sistema economico, politico e militare come quello russo. Esso è dominato saldamente da uno schieramento nazional-patriottico imperniato sia sulle forze legate a Putin che ai comunisti, dove i putiniani (cioè in buona parte l’ex KGB) e i comunisti del PCFR si contendono il primato politico nell’ambito di una logica di alternanza, non come forze portatrici di un’alternativa di sistema: un po’ come negli Usa avviene tra repubblicani e democratici, nell’ambito di una comune adesione al sistema americano…).
Detto altrimenti: entrambe queste componenti difendono un assetto fondato su una collocazione internazionale della Russia non subalterna all’imperialismo (si pensi al veto russo- cinese alle Nazioni Unite sulla vicenda siriana, e in generale ad una forte convergenza di collocazione internazionale tra queste due grandi potenze). Sul piano interno, entrambe difendono un assetto economico (simile a quello cinese) in cui lo Stato mantiene un primato, nell’ambito di un’economia mista in cui piano e mercato, pubblico e privato, convivono in una dinamica virtuosa, non incompatibile con una prospettiva di transizione ad una società di tipo socialista.
L’azione del PCFR, così ci hanno detto ad Atene, mira ad indebolire il primato assoluto e incontrastato di Putin nel sistema politico russo (sorretto in questi anni da un consenso quasi plebiscitario), per costringerlo a trattare col PCFR un governo di unità nazionale che lo comprenda, e che ne assuma in particolare le istanze di maggiore giustizia sociale, dato che sul resto le differenze non sono poi così grandi. Così si spiega la scelta del PCFR di civettare a volte con i movimenti “arancioni” che si sono visti nei mesi scorsi a Mosca (e in cui pure si riconosce esservi una influenza occidentale…) o le polemiche congiunte – non sempre infondate, magari enfatizzate – sui “brogli” elettorali. Si tratta, così sostiene il PCFR, di un utilizzo della piazza arancione per indurre Putin a trattare, non certo per dare copertura ai tentativi dell’Occidente di influire sulla politica interna della Russia; tentativi che vengono considerati privi di una prospettiva alcuna di successo. E ciò viene dimostrato dal risultato elettorale catastrofico delle forze legate all’Occidente, che nel loro insieme non sono riuscite a raggiungere il 3% e sono rimaste escluse da ogni rappresentanza parlamentare.
4. Qualche osservatore in Italia, anche maliziosamente, ha fatto notare l’assenza rilevante dal forum del Partito Comunista Cinese. Il ruolo di questo partito e della Cina, per la sua esperienza originale di costruzione del socialismo e il peso che riveste nell’arena internazionale, viene giustamente valorizzato dal PdCI, che, non casualmente, ha avuto tra i suoi ospiti all’ultimo congresso una delegazione di rilievo del PCC. Non è così per altre forze comuniste di rilievo che sulla politica della Cina e del suo partito comunista esprimono un giudizio negativo, se non di stroncatura. E’ il caso del KKE, il partito che ha ospitato l’Incontro internazionale dei partiti comunisti. La stessa risoluzione conclusiva, con una sorta di sospensione del giudizio sul ruolo della Cina, sembra essere influenzata dalla presenza di tali divergenze sull’argomento. Sarebbe di grande interesse sapere quale ti è sembrata, nel merito della questione, l’opinione prevalente tra le delegazioni che hanno partecipato alla discussione ad Atene…
Ad Atene erano presenti quasi tutti i principali PPCC al mondo. Due i grandi assenti: il PC giapponese (PCG) e quello cinese.
Il PCG è l’unico tra i grandi PPCC al mondo che ormai da diversi anni tradizionalmente non partecipa a questi incontri (pur facendo parte attiva del circuito informativo on line della rete di Solidnet, che regolarmente riceve dal PCG e pubblica i suoi documenti e le sue prese di posizione). Il PCG non ha mai dato una motivazione politica alle sue assenze, ma vi è chi presume che esse sorgano da una certa qual diffidenza di tale partito verso qualsivoglia struttura di tipo multilaterale, avendo il PCG subito pesanti interferenze, in epoche diverse, ora da parte dei sovietici, ora da parte dei cinesi (oggi i rapporti col PC cinese sono eccellenti). Ma si tratta, ribadisco, di una supposizione; e il fatto che mai sia stata data una motivazione politica all’assenza, lascia ben sperare che si possa trattare di una posizione reversibile. Questo è quanto meno l’auspicio del PdCI e di tutti i partiti della rete di Solidnet.
Quanto al PC cinese, esso ha sempre partecipato a questi incontri, a volte come osservatore, a volte senza tale specifica, ma sempre comunque mantenendovi un basso profilo. Le motivazioni, anche in questo caso intuibili, mai ufficializzate, sono riconducibili a mio avviso e fondamentalmente a due fattori.
Il primo riguarda la sproporzione quantitativa, nel mondo di oggi, tra la forza del PCC e il resto del movimento comunista: tale per cui una presenza segnata da forte protagonismo potrebbe nei fatti dare un segno di forte “cinesizzazione” all’insieme del movimento, e persino condizionarne – anche involontariamente – uno sviluppo “libero” e plurale, tanto più in questa fase di ricostruzione. Tutto si può dire del PCC oggi, ma non che aspiri ad una sorta di egemonismo sul movimento.
Un secondo fattore riguarda a mio avviso il rapporto di cooperazione e di pace che la Cina come grande paese e seconda potenza mondiale vuole avere con il resto del mondo: un rapporto che i comunisti cinesi temono forse di compromettere se essi assumessero un ruolo di forte protagonismo politico e ideologico in un movimento rivoluzionario che storicamente si propone il superamento del capitalismo e dell’imperialismo su scala mondiale… Un atteggiamento cioè di real politik paragonabile, se si vuole, a quello sotteso alla scelta di Stalin di sciogliere il Comintern all’indomani della Seconda guerra mondiale e nella fase in cui si sperava di poter mantenere un contesto internazionale di solidarietà antifascista e di coesistenza pacifica, prima che l’imperialismo decidesse di rompere tale solidarietà precipitando il mondo nella guerra fredda e nei rinnovati rischi di guerra calda.
Come è facile intuire, questa problematica ha implicazioni di grande portata e complessità, ed essa ci porterebbe lontano se volessimo approfondirla… Se vuoi, potremo riprenderla in un’altra occasione. Ma per tornare al tema, a mio avviso l’assenza del PC cinese al meeting di Atene è dovuta solo in minima parte al giudizio polemico e liquidatorio (che considero sbagliato) che la nuova direzione del KKE uscita dall’ultimo congresso dà della Cina come paese capitalista e imperialista, e dei BRICS come nuovo blocco capitalista e imperialista. Un giudizio che nemmeno i gruppi trotzkisti più estremi danno del contesto cinese; un giudizio assai diverso da quello che lo stesso KKE dava prima del suo ultimo congresso. Un giudizio che solo pochissimi altri partiti presenti ad Atene condividono, e certamente nessuno tra i principali, a partire da quelli che, assieme al KKE, fanno parte del gruppo ristretto di coordinamento del movimento, composto dai partiti comunisti di Cuba, Brasile (PCdoB), Sudafrica, Libano, Spagna (Pce), Grecia, Portogallo, Repubblica ceka, Russia (Pcfr), India (Cpi e Cpi-m). Lo stesso si può dire per altri partiti chiave del movimento comunista internazionale, come ad esempio il PC vietnamita o l’Akel di Cipro.
5. Ad Atene erano presenti numerosi partiti dell’area mediorientale, che, nei mesi scorsi hanno espresso giudizi differenti sulle vicende che hanno contrassegnato la cosiddetta “primavera araba”, un fenomeno che ha coinvolto popolazioni intere del mondo arabo. Cosa pensano ora i compagni di questi partiti in merito agli ultimi sviluppi della situazione nella regione che è francamente difficile definire come favorevoli alle forze progressiste, in particolare dopo le elezioni in Tunisia ed Egitto (i paesi simbolo delle rivolte) e l’esito tragico della guerra imperialista scatenata contro la Libia, le minacce incombenti sulla Siria e l’Iran e la continuazione della tragedia del popolo palestinese?
Quello che sta accadendo da circa un anno nel mondo arabo ha diverse facce e sarebbe un errore pensare di racchiudere il tutto in una unica equazione. Ma ci sono delle costanti che sicuramente vanno rilevate e analizzate. Innanzitutto il fatto che si sta assistendo ad una nuova definizione del controllo statunitense nella regione. Entrati in crisi i vecchi regimi, che assicuravano agli americani la possibilità di sfruttare e condizionare quella area del mondo, adesso è in formazione un nuovo equilibrio basato sull’alleanza fra le forze liberiste, pezzi dei vecchi poteri e l’islam politico legato ai Fratelli mussulmani e al Qatar. Una alleanza micidiale che ha portato sia in Tunisia che in Egitto alla vittoria elettorale di queste forze e che sta condannando la Libia all’anarchia delle bande tribali. Per quanto riguarda la Siria la questione è diversa. Alle aspirazioni di maggiore democrazia e libertà si è unita fin dai primi giorni una speculazione criminale da parte delle forze filo-occidentali per far cadere un governo che comunque aveva collocato il Paese fuori dal controllo israelo-statunitense. Una anomalia, questa, che da anni risulta indigeribile a molti. Voglio ricordare l’embargo a cui da circa un decennio è sottoposta Damasco da parte delle varie amministrazioni Usa.
Su questo ad Atene si è trovato un consenso pressoché unanime. Tutti riconoscono che lì si sta giocando una partita che ha come posta la ricollocazione geopolitica della Siria. Differenze invece esistono sul grado di riformabilità del ruolo del partito Baath. Ci sono infatti partiti comunisti che ritengono che il lungo potere abbia portato a degenerazioni difficilmente riformabili e che quindi sia auspicabile un cambio radicale alla guida della Siria (ma non certo in senso filo-occidentale..). Un dibattito aperto che coinvolge anche il Pc siriano e il Pc siriano unificato, le due forze siriane di ispirazione comunista che sono presenti nel Solidnet. Entrambi i partiti infatti in questi anni ad una condivisione molto forte sul ruolo internazionale del governo del presidente Bashar Al Assad hanno opposto critiche e riserve sulle politiche economiche e di riforme democratiche. Segno di una pluralità che, anche se fra mille difficoltà, non è mai stata assente.
Un aspetto però ha fatto registrare la unanime approvazione delle forze politiche presenti ad Atene, ovvero la più assoluta condanna a qualsiasi intromissione esterna sulle scelte che i siriani dovranno prendere per il loro futuro e la richiesta dell’immediata fine dell’occupazione che Israele da oltre 40 anni perpetua sui territori siriani del Golan. Una posizione che dimostra il livello di consapevolezza che le forze comuniste hanno su quanto sta avvenendo nella regione e che riguarda anche l’evoluzione che di giorno in giorno si registra sull’Iran.
6. E sulla presenza e l’iniziativa dei comunisti nei paesi del Terzo Mondo, in particolare quelli emergenti, come India, Brasile e Sudafrica (negli ultimi due Stati, importanti partiti comunisti partecipano al governo), che valutazione hai ricavato?
Questa è la vera dirompente novità del tempo presente rispetto al mondo bipolare del XX secolo. Secondo i principali centri studi del mondo capitalistico, nel giro di 20-30 anni i BRICS e i loro alleati incideranno per circa i due terzi sul PIL mondiale, e la Cina socialista sarà la prima potenza economica del pianeta. Uno scenario volto a rivoluzionare e sconvolgere profondamente gli equilibri mondiali; scenario al tempo stesso entusiasmante (per le prospettive di avanzata del socialismo nel mondo) e inquietante, ove si consideri che le due guerre mondiali del secolo scorso sono scoppiate per molto meno..(e non sarà comunque un pranzo di gala..). Ebbene: in ognuno di questi cinque grandi Paesi, i comunisti svolgono già oggi, e presumibilmente potranno svolgere ancor più in futuro, un ruolo importante o addirittura essenziale: al potere in Cina, al governo in Brasile e Sudafrica, in posizione di grande influenza (al governo e/o all’opposizione) in India, per non parlare della complessità del contesto russo (cui già ho fatto cenno). Per non parlare del ruolo di forze comuniste e/o di ispirazione socialista e rivoluzionaria in Paesi chiave come il Vietnam e la regione indocinese, le Repubbliche asiatiche dell’ex Urss, il Giappone, l’Africa australe, Cuba, il Venezuela, il nuovo contesto latinoamericano.
Eppure, come dicevo, vi sono forze, compagne e compagni, che sono ancora riluttanti ad assumere, nel contesto internazionale, una linea volta a valorizzare al massimo le convergenze tra forze anche diverse (come quelle che si esprimono nel vasto e variegato mondo dei BRICS). Sappiamo molto bene che la realtà rappresentata dai BRICS è assai eterogenea sul piano economico, politico e geo-politico, ma nondimeno essa rappresenta – nel suo insieme – un fattore importante di contrappeso ad un ordine mondiale dominato dall’imperialismo euro-atlantico, militarmente imperniato sulla NATO, e segnatamente da quello americano. E che rappresentano il pericolo principale per la liberazione dei popoli e per l’avanzata di una dinamica storica che guarda al socialismo.
Dunque, non solo la storia non si è fermata dopo il crollo dell’Urss, ma si è rimessa a correre… A noi, nel nostro piccolo, spetta il compito di fare la nostra parte con dignità, determinazione, ed un ragionevole ottimismo storico-politico.