Ma il comunismo è davvero finito?

marx engels lenin murodi Fabio Scolari | da www.sinistra.ch

Riceviamo dai compagni del Partito Comunista della Svizzera Italiana e volentieri pubblichiamo come utile contributo a una più approfondita conoscenza delle questioni riguardanti il movimento comunista internazionale  

Uno dei principali insegnamenti del filosofo tedesco Karl Marx è che il dominio economico della borghesia necessita un parallelo dominio culturale. I comunisti, appresa questa semplice lezione, non possono quindi esimersi da una incessante critica a tutte quelle false credenze, che mirano a nascondere la realtà delle cose e l’acuto scontro tra le classi intrinseco alla società capitalistica. Uno dei pilastri su cui si basa l’azione mistificatoria degli ideologi della classe dominate sarebbe la dimostrazione scientifica dell’impossibilità di una reale alternativa allo stato di cose presenti, accompagnata inoltre da una indubitabile constatazione relativa alla “sconfitta” dell’ideologia comunista e del movimento internazionale da essa ispirato. Mai sentenza di morte fu emessa così frettolosamente! Di fronte a questa sacra verità sentiamo la necessità di analizzare “lo stato di salute” di alcune formazioni politiche che tutt’ora si ostinano a richiamarsi all’eredità ideale del pensatore germanico, le quali stanno dimostrando al contrario una “inaspettata” vitalità. Per rendere più fluida e comprensibile la lettura ci soffermeremo su macro aree, senza, ed è bene dirlo, aver la superbia di tracciare un quadro definitivo e unanimemente accettato.

Partendo dalla Vecchia Europa, dilaniata da una devastante crisi economica, abbiamo assistito in questi anni a tre processi distinti: il rafforzamento di partiti populisti di chiara ascendenza fascista, la crescita sul piano elettorale di nuove formazioni riformiste e il consolidamento di organizzazioni comuniste “non liquidazioniste” o “ortodosse”. Se per le prime due categorie affiorano alla mente facili esempi, e grazie alla diffusione capillare dei mass media conosciute dalla maggioranza delle persone, per le prime il Front National o Alba Dorata e per le seconde Syriza e Podemos; siamo sicuri che l’uomo comune della strada faccia molta fatica ad indicarcene qualcuna ascrivibile al terzo andamento da noi indicato. Durante gli inutili dibattiti televisivi relativi al caso greco, il più delle volte rappresentato in termini caricaturali, si è volutamente taciuto sull’esistenza di un combattivo partito comunista (KKE), il quale durante tutti questi ultimi mesi ha mosso critiche alla sostanza della strategia politica del maggior partito di sinistra greco. Non solo i comunisti greci riescono a esprimere un ragguardevole consenso elettorale (5,55% alle ultime elezioni)e una discreta presenza nelle istituzioni (15 deputati e 2 europarlamentari), ma dimostrano anche una grande capacità di direzione delle classi subalterne attraverso il sindacato di classe PAME. A rappresentare un ulteriore punto di riferimento nella parte occidentale del nostro continente esiste il Partito Comunista Portoghese, avanzatissimo sia sul piano teorico che su quello organizzativo. A seguito delle ultime elezioni legislative, le quali hanno visto un rafforzamento complessivo della sinistra moderata e di alternativa (nello specifico la coalizione elettorale di cui il partito comunista è forza egemone ha raggiunto l’8,3% dei consensi ed eletto 17 deputati, di cui 15 comunisti), la strategia audace di incontro con i socialisti adottata dal leader comunista Jeronimo de Sousa potrebbe aprire la possibilità a un governo di coalizione. Evento che rischierebbe di aprire una crisi istituzionale nel paese qualora il presidente della repubblica Cavaco Silva decida di violare la costituzione e non affidare l’incarico al leader dei socialisti Antonio Costa per la formazione di un nuovo esecutivo. Accanto a queste due forze è emerso anche in tempi più recenti il Partito del Lavoro del Belgio (PTB) guidato nei suoi primi anni di vita dall’indimenticabile Ludo Martens, figura di spicco nel movimento antirevisionista e influenzato dal maoismo. Dopo aver eletto nel 2014 due deputati, senza rinunciare ai fondamenti teorici della dottrina marxista-leninista, continua la sua opera di rinnovamento e radicamento sociale, come annunciato nell’ultimo congresso celebrato quest’anno, indirizzandosi anche verso fasce sociali come i lavoratori autonomi e i piccoli commercianti. Altri esempi meriterebbero un’attenzione profonda come il Partito Progressista dei Lavoratori di Cipro (AKEL), che nel 2008 riuscì ad esprimere Demetris Christofias come presidente della repubblica mentre oggi con 19 deputati rappresenta la principale forza di opposizione nelle piccola isola, oppure il Partito Comunista della Svizzera Italiana, il quale, pur agendo in un contesto non favorevole, dopo aver varato la svolta della “normalizzazione” continua a conseguire importanti risultati ponendosi come l’unica forza di rilievo alla sinistra del Partito Socialista nel Canton Ticino e nella Svizzera di lingua italiana. Ci si potrà obbiettare che le organizzazioni da noi indicate agiscono in aree nazionali piuttosto ristrette e che difficilmente in Francia, Spagna, Inghilterra e Germania potremmo individuare forze comuniste leniniste in rapida ascesa (per l’Italia qualcosa inizia a muoversi con un progetto di “costituente comunista” che sembra aver basi più solide rispetto alle strategie degli ultimi anni). Questo rappresenta indubbiamente un forte limite che bisognerà superare al più presto. In conclusione di questa nostra prima disamina ci sentiamo tranquilli nel sentenziare che, anche a seguito del crollo dell’Unione Sovietica e del trionfo di modelli economici e sociali neo liberisti, i comunisti dell’Europa Occidentale lungi dall’essere scomparsi continuano a giocare un ruolo di primo piano nella vita politica di diversi stati nazionali.

Sottoponendo ora alla nostra attenzione il vasto territorio di quella che una volta veniva indicata come zona di influenza sovietica possiamo mettere in risalto due sviluppi contrapposti: in primo luogo il ritorno al governo di forze chiaramente neo fasciste e in secondo le violente repressioni nei confronti delle moderne forze comuniste, le quali ancora si richiamano alla storia dei vari regimi socialisti novecenteschi. Se in Ungheria, Romania e Ucraina la situazione è quella qui sopra tratteggiata alcuni segnali in contro tendenza li possiamo indicare. Per quanto riguarda la Repubblica Ceca il locale partito comunista continua il suo rafforzamento e recentemente si era prospettata l’eventualità di una possibile alleanza di governo coi socialdemocratici. In Russia l’influenza di massa esercitata dal Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) permette di poter condizionare pesantemente l’operato del governo e del presidente della repubblica Vladimir Putin, in un rapporto che potremmo definire di “opposizione nazionale”. In Bielorussia l’elezione di Lukaschenko nel 1994 ha permesso di chiudere il ciclo di miseria e povertà dilaganti a seguito del crollo del sistema socialista. Nella lotta per stabilizzare il potere popolare e per salvaguardare l’indipendenza nazionale gioca un ruolo fondamentale il Partito Comunista di Bielorussia (PKB), il quale oltre a sostenere l’attuale presidente è rappresentato in entrambe le camere del parlamento. Casi particolari esistono in Ucraina dove i militanti comunisti stanno giocando un forte ruolo nella resistenza delle repubbliche popolari, a seguito del colpo di stato orchestrato dalle maggiori potenze imperialiste occidentali. In Moldavia invece il Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldavia (PCRM), al governo dal 2001 al 2009, a seguito di alcune discutibili politiche di tendenza filo-europeista, che hanno pesantemente indebolito la sua influenza, si trova ora a dover resistere e affrontare un governo filo occidentale che segue le orme del suo vicino ucraino. Anche nel Kazakistan guidato dal presidente Nazarbayev, il Partito Popolare Comunista del Kazakistan alle elezioni del 2012 ha conseguito il 7% dei consensi, eleggendo di conseguenza 7 deputati alla camera bassa del parlamento. Per quanto riguarda l’Europa Orientale possiamo concludere che i comunisti stanno dimostrando una grande capacità di direzione delle classi lavoratrici, in alcuni casi anche di influenza dei rispettivi governi nazionali, in un contesto che sempre più progressivamente sta abbandonando i tratti di una contrapposizione almeno formalmente democratica. 

Spostandoci ora sulla cartina geografica e concentrandoci sul continente americano nella sua interezza possiamo anche qui vedere una situazione ricca di prospettive per le forze che aspirano a una trasformazione degli assetti sociali. Il caso più significativo è quello di Cuba. Nell’isola caraibica il Partito Comunista Cubano ha intrapreso un progetto di profondo rinnovamento del suo modello socialista, studiando e applicando con ovvie peculiarità alcune innovazioni già presenti in Vietnam. La riapertura dei rapporti diplomatici e speriamo la fine dell’embargo rappresentano la vittoria più nitida di un popolo che da decenni resiste alle mire egemoniche statunitensi. Grazie al luminoso esempio di eroismo di questo piccolo popolo anche nell’America Latina sono in corso diversi esperimenti di transizione al socialismo rispettosi delle tradizioni storiche sociali e culturali di ogni paese. Relativamente alle possibilità aperte per i comunisti dalla Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, dalla vittoria di Rafael Correa in Ecuador e di Evo Morales in Bolivia molto si è già scritto e riteniamo quindi superfluo soffermarci a lungo. A dimostrazione però di quanto detto molto interessante potrebbe essere l’esempio del Cile dove il locale partito comunista, il quale esprime attualmente 6 deputati e tra i cui militanti più noti si potrebbero ricordare il poeta Pablo Neruda e il musicista Victor Jara, fa parte della coalizione di governo che sostiene l’attuale presidentessa Michelle Bachelet, esponete del Partito Socialista. Il traguardo forse più importante raggiunto in questa regione è la forza che il Partito Comunista del Brasile (PCDoB), 10 deputati e 1 senatore, riesce a esprimere nella coalizione di governo guidata dal Partito dei Lavoratori di Dilma Rousseff. Influenza, che risulta quanto mai necessaria, in un momento di transizione a livello mondiale come quello attuale, e che mira a scardinare l’egemonia unipolare americana, in favore di una democratizzazione delle relazioni internazionali. Impenetrabile a una influenza di massa delle idee comuniste risulta ancora essere la parte occidentale del continente, questo fatto più che legittimare la superiorità del sistema capitalistico mondiale, anche qui avvolto da una profonda crisi economica, dimostra la pervasività dei modelli neo liberisti propagandati dai mass media e accompagnati da una coercizione più o meno esplicita di un potere politico, espressione diretta della borghesia imperialista pronta a scatenare una guerra planetaria piuttosto che rinunciare ai suoi privilegi. Attenendoci ai dati di fatto e superando una visione schematica, anche in questa area del mondo i comunisti non rappresentino minoranze sparute ed ininfluenti, ma al contrario la loro azione svolge un’opera importante anche in appoggio a un ribaltamento dei rapporti di forza a livello internazionale.

Sicuramente la parte del globo che più di tutte accoglie le attuali speranze di tutte le reali forze del progresso è l’Asia, epicentro di un “terremoto” politico destinato a modificare per sempre l’assetto del potere mondiale. L’ascesa cinese è stato il primo passo e tutt’ora si discute animatamente sulla natura sociale del gigante asiatico. Abbandonando il terreno della polemica politica diversi meriti devo essere riconosciuti al Partito Comunista Cinese: in primo luogo essersi saputo rinnovare profondamente a seguito del crollo sovietico, superando in campo ideologico anche diverse asserzioni dogmatiche, e in secondo aver mantenuto il potere in un contesto globale in totale controtendenza rispetto a sentimenti di uguaglianze e giustizia sociale. Gli strabilianti risultati in campo economico della Repubblica Popolare Cinese rappresentano inoltre un punto di appoggio per tutti quei paesi progressisti che non voglio sottomettersi ai diktat di Washinghton. Il modello ibrido cinese, nel quale si riscontra oltre a una forte presenza del settore pubblico e cooperativo anche una funzione di direzione e programmazione macro-economica, attraverso l’elaborazione di piani quinquennali, è servito come base di riferimento anche ad altri paesi socialisti asiatici come Vietnam e Laos. Anch’essi impegnati nell’opera di sviluppo delle forze produttive, senza la quale l’indipendenza politica non sarebbe reale. Un altro caso molto interessante e da valorizzare è la Corea Popolare che, sottoposta a un embargo devastante, continua a resistere alle pressioni esterne. Alcune delle particolarità del sistema politico nord coreano per essere almeno parzialmente comprese devono essere necessariamente inserite in una gerarchia di valori profondamente differente da quella occidentale. Un’altra situazione particolare che andrebbe la pena di essere analizzata è quella del Nepal. Dopo aver deposto una delle monarchie più longeve della storia, principalmente ad opera della guerriglia del Partito Comunista Unificato del Nepal (di stampo maoista),e aver vinto le elezioni i due partiti comunisti nazionali (maoista e marxista-leninista) sono impegnati nel perseguimento di una riforma agraria e di uno sviluppo industriale del paese. L’esistenza di stati governati direttamente da partiti comunisti non deve far passare in secondo ordine il duro lavoro di opposizione svolto da organizzazioni rivoluzionarie in alcune delle più avanzate economie capitalistiche. Un caso tra i più emblematici in questo senso è il Partito Comunista Giapponese, il quale, distintosi per un fortissimo radicamento sociale, grazie all’attività dei suoi oltre 300000 iscritti, e per una conseguente presenza nelle istituzioni fondamentali del paese (21 deputati e 11 senatori), sta animando le manifestazioni pacifiche contrarie alla politica sciovinista del governo di Shinzo Abe. Un secondo esempio sono le diverse formazioni comuniste indiane, di cui il Partito Comunista Indiano (Marxista) rappresenta la forza più rappresentativa e organizzata, essendo arrivata a governare alcune regioni come il Kerala, in questi ultimi anni impegnata a contrastare la svolta destrorsa promossa dal governo Modi. Se nei tre casi precedenti avevamo parlato di prospettive interessanti per le forze progressiste, in questo caso vediamo nel complesso una realtà dominata da paesi socialisti e partiti comunisti che continuano a smentire le presunzioni delle classi dominanti borghesi.

In Medio Oriente e in Africa, tra le aree più povere del globo, ma molto ricche di materie prime ed energetiche,l’azione dei partiti comunisti segue due direttrici fondamentali: la prima appoggiando governi progressisti anti imperialisti la seconda collaborando con forze di diversa natura sociale e religiosa per il raggiungimento di obiettivi comuni. La prima strategia è perseguita dal Partito Comunista Siriano e dal Partito Comunista Unificato, quest’ultima formazione di tendenze più riformiste della prima, impegnati allo stesso tempo nella lotta contro i miliziani dello stato islamico, finanziati direttamente dalle potenze imperialiste, e nel sostegno attivo al legittimo governo di Bashar Al-Assad. Nel continente africano, un’analoga tattica è stata sviluppata dal Partito Comunista Sud Africano nella collaborazione di governo con l’African National Congress. Alleanza che ha portato il gigante africano a livello internazionale verso un più stretto rapporto coi BRIC e sul piano interno al proseguimento della “rivoluzione democratica nazionale”, in vista di una futura trasformazione economica e sociale del paese. Il secondo indirizzo viene concretamente applicato dalla Lega Operaia del Libano, che unisce marxisti e socialisti arabi, e dal Partito Comunista Libanese, il quale oltre a mantenere relazioni con l’organizzazione sciita Hezbollah, è oggi impegnato direttamente nella difesa del proprio paese organizzando gruppi di guerriglieri dislocati al confine con la Siria per prevenire una possibile aggressione da parte dell’ISIS. Un traguardo assolutamente non scontato è stato infine raggiunto anche in Israele nel 2015 quando la lista elettorale che univa al suo interno il Partito Comunista di Israele e altri partiti arabi ha ottenuto il 10% dei voti. Un caso speciale è quello turco, molto interessante proprio per evitare l’errore di ridurre la forza delle organizzazioni comuniste alla mera contabilità elettorale, dove una altissima soglia di sbarramento al 10% condiziona pesantemente le forze comuniste e del progresso, le quali però non mancano comunque di un certo ancoraggio sociale. Questo è il caso del Partito VATAN, di derivazione maoista, il quale riesce ad esercitare un’egemonia culturale sulla piccola borghesia kemalista attraverso una efficiente struttura organizzativa che comprende: una televisione, un quotidiano e un movimento giovanile anti-imperialista. Allo stesso tempo, molto attivi nel movimento operaio sono invece il Partito della Liberazione Popolare (HKP), che dirige il sindacato dei trasporti Nakliyat-İş legato alla Federazione Sindacale Mondiale, mentre il Partito Comunista (KP) gode di consenso fra il ceto intellettuale e accademico dei grossi centri urbani.

Per rispondere alla questione iniziale, che ha dato poi origine a questa lunga e non definitiva trattazione, pur avendo subito un evidente arretramento dovuto al crollo dell’Unione Sovietica, riteniamo l’affermazione, divenuta ormai senso comune, sulla “fine del comunismo” una visione mistificatoria. ma Possediamo al contrario sufficienti informazioni per dimostrare come ancora molte pagine memorabili potranno essere scritte dai comunisti. La lotta per la trasformazione in senso socialista della realtà sta continuando perché come ci ha insegnato Karl Marx:” I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo”.