di Luca Cangemi per Marx21.it
In questo tragico periodo, segnato dal COVID19, ci giungono straordinari esempi dai Partiti Comunisti che governano importanti paesi ma anche da grandi forze comuniste collocate all’ opposizione, spesso un’opposizione dura a governi di destra autoritari e parafascisti, che mostrano il loro volto peggiore di fronte alla pandemia.
È il caso di diverse nazioni dell’America Latina, in particolare Brasile e Cile, è il caso di uno stato che ha le dimensioni di un continente: l’India.
In India è attivo da anni un fronte delle sinistre, guidato dai due Partiti Comunisti, che nella fase precedente la pandemia, è stato impegnato in una durissima battaglia, sociale e democratica contro il governo reazionario di Narendra Modi.
Una lotta contro le politiche neoliberiste e privatizzatrici, condotta con giornate di sciopero che hanno coinvolto centinaia di milioni di lavoratori e lavoratrici del grande paese, e una lotta democratica e laica contro le iniziative autoritarie di Modi, in particolare sul tema, esplosivo in una realtà come l’India, della cittadinanza e della sua relazione con le appartenenze religiose. Una questione che si intreccia, strettamente, con la drammatica e complessa vicenda del Kashmir.
Sullo sfondo- ma con una funzione sovra determinante- resta il tema dello schieramento internazionale del paese, con il tentativo degli USA di saldare un fronte anticinese orientale imperniato su India, Giappone e Australia (Il cosiddetto Quad, nel linguaggio geopolitico).
La pandemia del COVID19 ha in questo quadro avuto un impatto drammatico su un sistema sanitario carente, su una società segnata da violente disuguaglianze e da una gran massa di attività informali. Inevitabilmente si sono accentuate le propensioni autoritarie del governo e del partito dominante (il BJP) che agisce anche con la violenza squadristica.
Per i comunisti si è aperta una sfida a più livelli. Una sfida a cui hanno finora ha risposto con risultati straordinari.
In primo luogo vi è l’impegno dello Stato (l’India ha un assetto federale) in cui i comunisti governano: Il Kerala.
Il Kerala è uno stato dell’estrema India meridionale che dagli anni cinquanta è stato teatro di straordinarie lotte sociali, a partire da quelle per la riforma agraria. Furono lotte sanguinosissime: percorrendo il Kerala, peraltro territorio spettacolare dal punto di vista naturalistico, ad ogni incrocio si trovano dei piccoli tabernacoli con le immagini dei compagni che morirono durante scioperi e manifestazioni.
Da quelle lotte vengono straordinarie vittorie elettorali, dal 1957 quasi ininterrottamente fino ad oggi, e una esperienza di governo che ha conseguito risultati eccezionali, incidendo nel profondo della società.
Si è sviluppata una società aperta e pluralista (nel contesto più articolato dal punto di vista confessionale dell’intera India), profondamente vivace e colta, si è compiuta una scelta di orientamento ecologico che ha riscosso riconoscimenti a livello internazionale, si sono soprattutto costruiti apparati pubblici avanzatissimi, in particolare per quanto riguarda sanità e istruzione. I dati, incomparabili con le altre parti dell’India, di durata media della vita e di diffusione della scolarizzazione ad ogni livello, sono, da tempo, una straordinaria verifica della forza di questo ormai lunga esperienza.
La pandemia del coronavirus ha rappresentato, in queste settimane, un’altra, durissima, verifica. Ormai dalla seconda metà di aprile la stampa di ogni angolo del mondo parla di Kerala Model, modello Kerala, nella lotta al coronavirus. L’inglese Guardian definisce la ministra della salute, Shailaja, componente del Comitato centrale del CPI(M), il Partito Comunista dell’India(marxista), una “rockstar” della lotta al Covid19 mentre il Primo Ministro dello Stato- e membro del Politburo del CPI(M)- Pinarayi Vijayan è diventato un quotidiano punto di riferimento nel contrasto alla pandemia, potendo vantare un contenimento del contagio e delle vittime entro numeri bassissimi(4 vittime e meno di 600 casi su 35 milioni di abitanti).
In questo successo contano, certo, le misure di prevenzione e tracciamento assunte tempestivamente, a differenza di molte altre parti dell’India e del mondo, ma contano soprattutto i dati strutturali, frutto della storia politica e sociale del Kerala: la forza della sanità pubblica e la capacità di mobilitazione. Sin dai primi giorni si sono, infatti, attivate centinaia di migliaia di volontari per rafforzare il controllo e per fronteggiare le esigenze dei più deboli, a partire dall’alimentazione.
Ma non c’è solo il Kerala. In altri contesti, dal nord al Sud dell’immenso paese, dal West Bengala al Tamil Nadu i comunisti indiani sono sulle strade, senza contare su strutture pubbliche (anzi scontrandosi con le loro inefficienze e, spesso, con la repressione) ma facendo leva su una straordinaria militanza e su una fitta rete sindacale e associativa. Cucine di emergenza, distribuzioni di viveri e medicinali organizzate dai “volontari rossi” sono spesso l’unica risorsa a disposizione delle fasce sociali più deboli.
E non c’è solo l’organizzazione della solidarietà, c’è anche la denuncia e la lotta. Particolarmente forte, ma è solo un esempio, la campagna degli studenti comunisti contro l’esclusione e la discriminazione che rischiano di provocare, a danno delle degli studenti che vengono dalle famiglie più povere, esami e lezioni online.
Dai compagni e dalle compagne dell’India, quindi, tanti buoni esempi.