Intervento di Fausto Sorini, a nome del PdCI, al 13° Incontro internazionale dei Partiti comunisti e operai (Atene, 9-11 dicembre 2011)
Ringraziamo sinceramente e fraternamente il KKE per il lavoro immenso che esso ha svolto, a partire dal 1998, nel contribuire con altri partiti al processo – ancora in corso – di ricostruzione del movimento comunista e rivoluzionario del 21° secolo; e per il ruolo di avanguardia ed emblematico che esso svolge nelle lotte del popolo greco contro la politica dell’Ue, un tema questo che accomuna tutti i popoli europei, e di cui il popolo greco rappresenta oggi la punta più avanzata.
Nella discussione di questi giorni vediamo tra noi una larghissima convergenza sulle questioni di principio, alcune diversità su taluni aspetti di strategia, diverse di natura tattica. Ciò è del tutto naturale, fisiologico, e corrisponde in primo luogo ad un dato oggettivo, prima ancora che soggettivo: lo sviluppo ineguale del capitalismo nelle diverse regioni del mondo, nei diversi paesi, e quindi lo sviluppo ineguale, anche per questo, dei processi rivoluzionari (non tutto è riconducibile a fattori soggettivi, che pure esistono e contano).
Questa discussione, nel merito, ruota a nostro avviso attorno al tema degli obbiettivi intermedi, delle fasi intermedie, dei processi di transizione nella lotta per il socialismo, su scala nazionale e internazionale. Permettetemi di riassumere così, molto schematicamente il problema: tra il nostro presente e la vittoria del socialismo nel mondo esiste una fase storico-politica, di cui non conosciamo la lunghezza e le caratteristiche, ma che comunque sarà una fase non breve: ciò è da tutti noi riconosciuto. Quali saranno le caratteristiche, in ogni paese e mondialmente di questa fase non breve di transizione? Di ciò, al fondo, stiamo discutendo. Perchè tutti sappiamo che ciò non si risolverà in tempi brevi e con un’unica e risolutiva carica di cavalleria.
Questa discussione aperta è non solo utile, ma necessaria. Non chiediamo che essa venga diplomatizzata. Ad essa cerchiamo di dare il nostro contributo (e per questo consegnamo alla vostra attenzione un contributo scritto, perchè non vogliamo semplificare in pochi minuti questioni così complesse); e lo facciamo consapevoli della modestia delle nostre dimensioni e della crisi che il movimento comunista sta vivendo da anni nel nostro Paese.
Ma questa discussione è utile e positiva se viene condotta da parte di tutti:
-con rispetto reciproco;
-ponendo l’accento, nelle lotte, su ciò che ci unisce piuttosto che su ciò che ci distingue: e questo ci chiedono i lavoratori e i gruppi sociali che cerchiamo di rappresentare ;
-evitando con cura tra noi, da parte di ognuno, ogni sia pur minima tentazione di rappresentare in qualche modo una sorta di magistero per altri.
Ricordiamo tutti gli anni in cui alcuni partiti, italiani e non, pretesero di dare lezioni di comunismo a tutto il mondo: poi si vide come andò a finire quella storia. Mai più commetteremo, per quanto ci riguarda, quell’errore di presunzione, e così ci auguriamo sia per tutti.
In Italia siamo impegnati oggi in un processo di ricostruzione unitaria del partito comunista, un partito che – dopo le debolezze, le sconfitte e le frammentazioni degli ultimi decenni – riunisca i comunisti italiani su basi leniniste, internazionaliste e di classe, in un rapporto costruttivo, autonomo e solidale con l’insieme del movimento comunista internazionale. A questo tema abbiamo dedicato il titolo e il significato fondamentale del nostro ultimo congresso (Ricostruire il partito comunista), svoltosi alla fine di ottobre 2011.
Il nostro contributo a questo incontro internazionale è il frutto della elaborazione del nostro ultimo congresso.
Crediamo che, al punto in cui siamo e data la profondità della crisi del sistema capitalistico e imperialistico e dei pericoli di guerra che essa porta con sé, il problema vero dei nostri incontri internazionali non è solo quello – pur essenziale – di rafforzare il profilo politico e ideologico del movimento comunista su scala mondiale, ma anche e soprattutto di essere in grado come comunisti – in un quadro di vaste alleanze e convergenze sociali e politiche democratiche e progressive – di essere promotori di grandi movimenti di lotta, con basi di massa e non meramente testimoniali, a partire dai rispettivi contesti nazionali e internazionalmente coordinati, capaci di incidere sulla realtà e di modificare i rapporti di forza. Capaci di far crescere nei popoli la consapevolezza che solo il socialismo, la conquista di posizioni che consentano di avanzare verso il socialismo, l’indebolimento delle posizioni dell’imperialismo nel mondo, possono far avanzare i popoli e l’umanità intera verso soluzioni compiute e durevoli alle contraddizioni del capitalismo della nostra epoca.
Due parole infine sulla situazione italiana.
Il nuovo governo Monti: la borghesia scende in campo direttamente coi suoi tecnocrati ed esautora i suoi tradizionali rappresentanti politici
Le richieste iper-liberiste, antioperaie e antisociali dell’Ue e della Banca centrale europea (BCE) producono ovunque – e in special modo in paesi deboli ed in crisi come l’Italia – uno “stato di eccezione” tendente a sospendere le democrazie, ad invalidare le Costituzioni, ad esautorare i Parlamenti e gli Stati, ad annullare la loro autonomia e sovranità.
I popoli si ritrovano d’improvviso ad essere governati da nuovi ed esterni poteri, e la BCE si presenta sempre più, in questa fase, come una sorta di monarchia assoluta – con una regina tedesca – che estende il proprio dominio sull’intera popolazione europea. Lo “stato di eccezione” segna drammaticamente di sé il nostro Paese ed il governo Monti rappresenta lo sviluppo coerente e il compimento di questo processo.
La fine del governo Berlusconi non è avvenuta sulla base di un voto parlamentare, come pure dovrebbe essere costituzionalmente. Bensì è avvenuto per decisione del Presidente della Repubblica che, fattosi interprete degli interessi strategici della grande borghesia italiana ed europea, in piena e concordata sintonia coi poteri forti nazionali e sovranazionali (EU, Nato, presidenza USA, Vaticano, Confindustria…), ha di fatto esautorato il Parlamento, il governo uscente e i partiti politici, di centro-destra e di centro-sinistra -considerati inadeguati a rappresentare in questa fase di grave crisi il comitato d’affari lucido e coerente della borghesia – ed ha affidato tale compito ad un ex commissario UE, Monti, chiedendogli di formare un governo di tecnocrati al servizio della politica determinata dai gruppi dominanti della EU, e imponendo di fatto ai due schieramenti di CD e CS di sostenerlo.
Non è il caso di entrare qui nel dettaglio delle misure economiche e sociali annunciate nei giorni scorsi dal governo Monti, che configurano una sorta di “soluzione alla greca in salsa italiana”; una linea di massacro sociale che fondamentalmente scarica sui ceti popolari, sui pensionati, sui lavoratori dipendenti, sulla parte più povera e sfruttata del paese i costi della crisi del sistema; e chiede invece ai ceti sociali medio-alti sacrifici proporzionalmente irrisori rispetto a quelli che vengono chiesti ai ceti popolari.
Si impone quindi una risposta popolare di lotta, che veda protagonisti e promotori i comunisti, le forze di sinistra e progressive, le componenti più avanzate dei sindacati, e che sappia interpretare gli interessi della grande maggioranza del nostro popolo e mobilitarla.
Mentre si manifestano gli orientamenti antipopolari del governo Monti in materia economico-sociale, in linea con la lettera inviata dalla BCE al governo italiano lo scorso 5 agosto, assai netti, gravi e inequivocabili si confermano gli orientamenti in politica estera espressi dai ministeri di Difesa ed Esteri.
Il neo-ministro della Difesa, tra gli esponenti di maggior rilievo del quartier generale della NATO, che ha partecipato attivamente all’operazione militare in Libia, ha dichiarato di voler dare continuità, rafforzandoli, ai legami di fedeltà alla NATO, e di allineare senza tentennamenti il nostro paese a quel “nuovo concetto strategico” dell’alleanza militare occidentale che estende il raggio d’azione di questo blocco a tutti gli angoli del pianeta, intensificando una pratica di politiche di aggressione e violazione della sovranità e dell’autodeterminazione di altri Paesi. E confermando tutti gli impegni che vincolano l’Italia alla partecipazione alle missioni militari in corso (a partire da Libia e Afghanistan).
In materia di spese militari si prospetta a consuntivo 2011 un aumento di 3 miliardi di euro rispetto al 2010 (dovute per lo più alla partecipazione italiana alle guerre di aggressione in Afghanistan e Libia).
Assai grave e inquietante in materia appare la presa di posizione dell’attuale ministro degli Esteri, espressa nei giorni scorsi a Istanbul in un incontro con il suo omologo turco Davudoglu, in merito agli sviluppi della situazione in Siria.
In Siria è in atto un tentativo di golpe armato contro il regime di Assad, con modalità pressoché identiche alla Libia; mentre Israele, dotata di armi nucleari, non nasconde la sua linea che intensifica i preparativi di un possibile un attacco militare contro l’Iran. In tale contesto il neo-ministro degli esteri italiano ha rilasciato una dichiarazione improntata ad un rigido allineamento alle posizioni più oltranziste dello schieramento atlantista, che sta premendo sulla “comunità internazionale” per ripetere in Siria lo stesso identico copione che ha portato allo scatenamento della guerra della coalizione occidentale contro la Libia.
Nel ribadire il proprio impegno a sostenere completamente le “forze democratiche” della Siria e l’ “opposizione organizzata” – significativamente nel giorno stesso in cui la Turchia, spalleggiata dalle monarchie del Golfo, lancia il suo “ultimatum” alla Siria – il ministro richiama alla “responsabilità di proteggere tutte le popolazioni inermi”, con una formula pressochè identica a quella che ha dato il via libera allo scatenamento dell’aggressione alla Libia. Ed esprime il suo “disappunto” verso quei paesi (Russia e Cina in primis) che in sede ONU con le loro “resistenze” hanno impedito l’attuazione delle delibere presentate dalle potenze occidentali.
Le prime mosse dei due ministri, avallate dal premier Mario Monti, sembrano dunque dare conferma alle indiscrezioni riferite dal Sole 24 Ore (il quotidiano di Confindustria), secondo cui “l’incarico all’ammiraglio Di Paola alla Difesa, così come quello dell’ambasciatore Terzi alla Farnesina, è stato caldeggiato da Washington grazie agli stretti rapporti che intercorrono tra il Quirinale e la Casa Bianca, consolidatisi durante il conflitto libico e confermati anche nei giorni scorsi da colloqui telefonici tra Napolitano e Obama”. E indicano un inquietante avvicinamento dell’attuale governo italiano alle posizioni peggiori presenti nella NATO in materia di relazioni con la Siria.
E’ grave che fino ad ora nessuna voce critica in Parlamento si sia levata nell’ambito dello schieramento pur eterogeneo che sostiene l’attuale governo, rispetto a posizioni che configurano la possibilità di un coinvolgimento dell’Italia in nuove avventure militari nell’esplosivo scacchiere mediorientale.
Che fare dunque in questa situazione, nel peculiare contesto nazionale e regionale europeo?
Qual’è il contributo anche operativo che può venire da questo nostro incontro internazionale?
Riassumeremmo così quelle che a noi sembrano le priorità, nel contesto europeo:
-dare impulso e sviluppo alle lotte nazionali contro la linea Ue/BCE di massacro sociale;
-legare queste lotte al tema della lotta contro la guerra, l’imperialismo, la NATO, introducendo nelle piattaforme di lotta, ad esempio, il tema di una riduzione del debito pubblico a partire da una riduzione delle spese militari e segnatamente, in alcuni paesi come l’Italia, delle spese per le missioni militari di guerra all’estero. Il movimento della pace oggi è in grave crisi in Europa, ed esso può rinascere in questa fase solo se si determina un intreccio tra lotta contro la guerra e lotte sulle questioni sociali più sentite dalle grandi masse;
-coordinare queste lotte su scala regionale, determinando una sorta di contagio delle situazioni più avanzate rispetto a quelle più arretrate: ad esempio invitando a partecipare e a parlare alle rispettive manifestazioni nazionali alcuni rappresentanti del movimento di lotta di altri paesi.
Ma su questi aspetti operativi discuteremo meglio nella seconda parte del nostro incontro.