di Marica Guazzora, Direzione nazionale PCdI
Il contributo della compagna Marica Guazzora al confronto aperto nel nostro sito sulle prospettive dei comunisti in Italia.
Mi sono iscritta al Partito comunista italiano quando avevo 17 anni. Ho attraversato tutte le diaspore da Rifondazione ai Comunisti italiani.
E il mio senso di giustizia, quello che mi ha fatto iscrivere insomma, maturato in tutti questi anni, mi dice che se si esprimono opinioni diverse si arricchisce il dibattito, non il contrario, e alla fine occorrerà arrivare ad una sintesi senza punire nessuno. Così mi hanno insegnato. Questo dovrebbe valere per qualsiasi Partito comunista.
Ho letto le tesi e lo ho letto lo Statuto, alcune riflessioni voglio farle, almeno su due punti fondamentali.
Una ha attraversato il percorso della ricostruzione, e non solo, in modo netto, ed è la questione del centralismo democratico. L’altra, non meno importante, è che partito vogliamo ricostruire, con quali modalità.
Credendo profondamente nell’utilità del centralismo democratico ho sempre votato di conseguenza a favore, in tutti i congressi a cui ho partecipato, dal Pci al PCdI e non crediate ci sia sempre stata unanimità su questo tema, nemmeno tra di noi, Comunisti italiani della prima ora. Allora occorrerà probabilmente ri-definirlo nei termini e nei metodi questo centralismo democratico, che a me non sembrano esattamente solo quelli espressi nel testo dello Statuto. Perché esiste un frazionismo di minoranza ma esiste anche un frazionismo di maggioranza e l’abbiamo visto applicato appunto da qualcuno/a della segreteria nazionale contro il dettato del Comitato centrale che aveva votato all’unanimità la piattaforma No Nato No Guerra. Perché quando si decide di aderire ad una piattaforma “altra” che invece parla indistintamente di “imperialismi” mettendo così sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito in una concezione di pace e guerra che non è mai stata quella dei comunisti ma semmai quella dei cattolici pacifisti, quantomeno occorrerebbe un altro voto del Comitato centrale che ratifichi il cambio di marcia, altrimenti si tratta appunto di frazionismo di maggioranza. Ma questo è stato solo un esempio ultimo. Invito ad una riflessione, il centralismo democratico deve si tenere insieme rappresentanza e decisione che se non stanno insieme in una qualsiasi forma di organizzazione non c’è politica, non c’è pratica realizzatrice di un bel nulla ma si deve operare per il ripristino della concezione leninista e cioè auspicare la democrazia del consenso e non la logica maggioritaria. Il che esclude sia il frazionismo di minoranza che quello di maggioranza. Pericolosi entrambi per il bene del partito. E non l’ho detto io, ma uno dei padri fondatori nonché Presidente prima di Rifondazione e poi dei Comunisti italiani il compagno Armando Cossutta quando era appunto nel glorioso Pci perché occorre ricordare che se non c’erano questi compagni “minoranza interna” ora non saremmo neanche qui a discutere.
Secondo punto di riflessione.
E’ possibile oggi ricostruire il partito comunista di massa sul modello del Pci? Se oggi non siamo più capaci di raccogliere milioni di voti su una lista di partito con il solo richiamo del simbolo, che pur ci vorrebbe sempre, dobbiamo essere consapevoli che il contesto storico politico e sociale è così cambiato che pensare di ricostruire un partito comunista di massa sul modello togliattiano è fuori dalla realtà. Il Pci era il partito che ha saputo mettere paura ai capitalisti, non ci sono riusciti né gli operaisti né i sessantottini né i portatori di diritti civili, femministe comprese, ma oggi, nel contesto dato, noi comunisti/e non mettiamo paura a nessuno, anzi. Il Pci si autodefiniva partito della classe operaia mostrando una identità riconoscibile e spendeva questa risorsa simbolica sul mercato politico e con questo mobilitava militanza e raccoglieva consenso. Se oggi provate a guardare le offerte di lavoro c’è da rimanere basiti: per pulire degli uffici, cioè lavare i pavimenti, svuotare i cestini della carta e simili devi essere giovane, diplomato, automunito , ovviamente disponibile in qualsiasi orario e in qualsiasi luogo e pagato con i voucher.
Chi difende oggi le lavoratrici e i lavoratori? E i senza lavoro? Chi li rappresenta? E delle questioni di genere, dei migranti, dei diseredati, degli ultimi? Chi se ne occupa?
Noi abbiamo una identità riconoscibile? Saremo capaci di ricrearci una identità riconoscibile? Le tesi sono addirittura ridondanti, ci parlano persino con delle schede allegate come se davvero questo fosse un congresso del vecchio Partito comunista italiano con milioni di iscritti e milioni di voti. La militanza è un dovere degli iscritti.
Partecipavano alla militanza di partito al 25%? Forse si sfiorava il 30% nei congressi?
Bisognerà lavorare per ricostruire innanzitutto un partito di militanti e di quadri che si ponga l’obiettivo di saper influenzarle le masse, che sappia organizzare una presenza efficace nella società più simile al partito di Gramsci così come ben descritto nel libro “Ricostruire il partito comunista” dal quale è iniziato tutto anche se oggi sembra diventato per qualcuno carta straccia. Non occorrerà rinnegare il partito di massa di tipo togliattiano per questo, ma occorrerà saper lavorare in funzione di, altrimenti ci raccontiamo solo delle favole.
“Siamo un esercito di sognatori. E’ per questo che siamo invincibili” lo diceva il Che e l’hanno scritto i ragazzi della Fgci del loro sito. E io non voglio certo smorzare i loro entusiasmi, che sognino pure, perché loro hanno davanti la lotta ma forse anche la possibile vittoria, ma per la mia generazione, e mi guardo intorno, pare proprio che il tempo dei sogni sia finito: è finito l’entusiasmo, ma per quella tessera fatta per la prima volta 50 anni fa mi toccherà ancora una volta ritrovare la forza di andare avanti, con la consapevolezza che se non si saprà recuperare la migliore tradizione del Partito comunista italiano attualizzandola al 2016, quella bella suggestione che dice “Veniamo da lontano e andiamo lontano” rischia di diventare per sempre “Veniamo da lontano e non sappiamo dove andiamo”.