Un’altra Bolognina?

occhetto bologninadi Vladimiro Merlin*

L’articolo è apparso nel n. 2/2014 della rivista “Gramsci oggi” (www.gramscioggi.org) e lo proponiamo ai nostri lettori come contributo alla discussione

Il passaggio politico delle prossime elezioni europee si potrebbe caratterizzare, per i comunisti in Italia, come uno snodo decisivo per il loro futuro e per quello della sinistra di classe, in quanto da esso potrebbe prendere avvio un percorso politico che potrebbe rievocare per molti aspetti quello che ebbe luogo alla Bolognina.

Quando Occhetto sciolse il PCI lo fece nel nome di una “nuova” sinistra che tagliava completamente i ponti con il ‘900, una sinistra “moderna”, “europea”, che nei suoi intenti si doveva legare ai nuovi movimenti sociali, e poteva così, finalmente, accedere al governo del paese.

Ma questa cultura politica non caratterizzò solo il PDS, anche nella stessa Rifondazione Comunista, che pure nacque proprio per contrastare quella scelta, da subito fu ben presente una posizione politica che pur mantenendo, almeno inizialmente, una connotazione anticapitalista riteneva necessario chiudere con l’identità comunista e con le esperienze e le elaborazioni politiche del movimento operaio del ‘900.

Fu Bertinotti il principale protagonista di questa azione politica ed ideologica e, non per caso, la maggior parte del gruppo dirigente bertinottiano del PRC diede vita a SEL, una forza politica che, non solo nel nome, apertamente rifiuta e ripudia ogni legame con il movimento comunista del secolo scorso e con le forze ed i partiti comunisti che ancora esistono (e sono tanti) oggi nel mondo.

Questo processo, al di là della volontà e della coscienza soggettiva di chi lo porta avanti, è benvisto dalle classi dominanti. Infatti, a queste ultime non può che far piacere la sostituzione di una sinistra di classe con una non comunista e non antimperialista, imperniata sui “diritti” e su di una “sensibilità ed equità sociale” che, però, non mette in discussione i rapporti di classe della società attuale e non si contrappone agli assetti imperialistici internazionali ma, anzi, sia potenzialmente “sensibile” al tema della “esportazione della democrazia” che è stata la maschera dietro cui si sono camuffate tutte le guerre imperialiste dall’89 in poi.

Così si spiega la grande popolarità che ebbe per tutta una fase Bertinotti nei media e la benevola accoglienza di cui godette in settori di alta borghesia “progressista” e non solo.

Oggi attorno alla lista Tsipras riprende forma, guardando ad una fase post elettorale fondata su di un risultato positivo, un progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra che riproporrebbe in larga misura, nei contenuti e nelle forme, l’ipotesi di Occhetto alla Bolognina.

Questa lista che, inizialmente, poteva apparire come il positivo aggregato di tutte le forze che si collocano a sinistra del PD ha rapidamente e sempre più marcatamente assunto connotati ben diversi. E non mi riferisco principalmente alla esasperazione, ancora più forte che in Rivoluzione Civile, della contrapposizione tra la cosiddetta “società civile” ed i partiti, al punto che un gruppetto di intellettuali (dapprima 6, diventati poi 4) hanno “preso il potere” e deciso che comandavano loro imponendo in modo autocratico che nel nome della lista non vi fosse la parola sinistra, che i partiti che sostenevano la lista dovevano scomparire e non aver alcuna visibilità, che erano essi stessi a decidere i candidati da inserire nelle liste e le caratteristiche chedovevano avere.

Al di là dei limiti che possono avere gli attuali partiti della sinistra la soluzione per rimediarvi non può certo essere nella sostituzione della forma partito, che rimane l’unico intellettuale collettivo che in forma organizzata può rappresentare e trasformare in azione il punto di vista di classe, con soggettività essenzialmente elettoralistiche guidate da intellettuali e dalla cosiddetta “società civile”, che non si occupano continuativamente di organizzare una azione politica, né tantomeno di essere strumento per una partecipazione attiva delle masse alla politica, ma semplicemente si attivano, si “svegliano”, in occasione degli appuntamenti elettorali.

Ma, come dicevo, non è solo questo l’aspetto negativo e preoccupante che si cela dietro al progetto di far diventare, dopo le elezioni, la lista Tsipras un soggetto politico. Il punto essenziale è la natura del soggetto cui si vorrebbe dar vita, già il fatto che esso parta mettendo in ombra la propria identità di sinistra è significativo, considerato che il termine sinistra non può certo essere qualificato come identificativo di estremismo o radicalità, anzi, basti dire che è usato anche da settori dello stesso PD.

Se a questo si aggiunge che si pensa ad un soggetto che si collochi in posizione intermedia tra il GUE (gruppo parlamentare dei comunisti, sinistra alternativa e verdi nordici) ed il PSE (Partito Socialista Europeo), ma con lo sguardo rivolto verso il PSE, come hanno più volte affermato i “garanti della lista”, si può ben capire a quale tipo di soggetto politico si stia pensando. In sostanza, come fu per il PDS di Occhetto, si tratta di una sinistra sostanzialmente interna al sistema sociale capitalistico, alla UE ed alle politiche internazionali dell’Occidente, senza scrupoli nell’occhieggiare a movimenti radicali come i No-TAV o i centri sociali del Nord-Est, ma che tace sulle guerre in atto (nei 10 punti di Tsipras non c’è una parola in merito) dall’Iraq alla Siria, al colpo di stato in Ucraina ecc…

Ora, tutto questo potrebbe anche essere ammissibile in una alleanza elettorale, considerate condizioni particolari in cui ci si può trovare, e fermo restando che nella eventuale alleanza elettorale devono potersi esprimere anche posizioni diverse, oppure si può concordare di mettere la sordina sulle posizione diverse ed evidenziare solo quelle condivise, ma a condizione che questo valga per tutti. Le alleanze elettorali si possono fare anche con forze semplicemente democratiche, costruendo un programma condiviso, con l’obiettivo di dare alle forze che danno vita all’alleanza uno spazio nelle istituzioni e ridurre di conseguenza quello delle forze reazionarie.

Ma una cosa è un’alleanza elettorale, un’altra cosa ancora è l’unità della sinistra, che va intesa sul piano di iniziative politiche e di lotta e di programmi e obiettivi comuni, altra cosa è il soggetto politico. Il soggetto politico, per i comunisti il partito, richiede una profonda condivisione dei fondamenti su cui si forma e degli obiettivi strategici che si propone. Cioè, nel caso dei comunisti, di una chiara analisi di classe della società capitalista , fondata sulle categorie del marxismo e sugli sviluppi del pensiero comunista del ‘900, da cui deriva, ovviamente, una piena assunzione del concetto di imperialismo e la conseguenza pratica di una azione dei comunisti e del loro partito contro di esso e le sue politiche.

Per quanto riguarda l’obiettivo strategico, la ragion d’essere del partito dei comunisti, la ragione per cui i comunisti si dotano di tale strumento è l’abbattimento della società capitalista e la costruzione di una società socialista. Tutti questi aspetti, fondamentali per i comunisti, non solo sono totalmente assenti negli intenti del “gruppo dirigente” che si propone di trasformare in soggetto politico la lista Tsipras dopo le elezioni europee, ma risultano ad essi assolutamente insopportabili, come lo erano per Occhetto prima e per Bertinotti poi, infatti il PdCI è stato escluso dalla lista perché eccessivamente segnato da tali contenuti.

Ora sul piano elettorale ognuno farà le proprie valutazioni, non è questo lo scopo di questo articolo, ma quello che è certo, almeno dal nostro punto di vista, è che su quelle basi non si può certo dar vita ad un soggetto politico che veda al suo interno la presenza dei comunisti. Lo diciamo perché vediamo che vi sono partiti e componenti di essi che ancora si dichiarano comunisti che appaiono interessati a tale prospettiva.

Questa nostra rivista è nata e continua ad esistere con lo scopo di promuovere l’unità dei comunisti per ricostruire in Italia un forte Partito Comunista e una vera unità della sinistra su obiettivi comuni, non per sciogliere i comunisti che rimangono dentro soggetti più o meno genericamente di sinistra (per altro più si va avanti e sempre meno di sinistra sono), che mal li sopportano e che non li vogliono, e li accettano solo in quanto comoda manovalanza, come servi della gleba, utili per lavorare ma privi di diritti e di parola.

Non è difficile prevedere che, in sostanza, si riproporrebbe, in sedicesimi, lo stesso destino dei comunisti che restarono nel “gorgo” del PDS dopo la Bolognina, che rimasero per fare la “componente comunista” del PDS e poi col tempo finirono riassorbiti nei DS e poi nel PD, oppure uscirono 20 anni dopo, ma a quel punto molto più omologati di come erano all’inizio, avendo essi stessi abbandonato ogni identità comunista, anzi dichiarandosi ad essa estranei. È questa la dimostrazione pratica dell’impossibilità per i comunisti di mantenere la propria autonomia e la propria identità all’interno di forze politiche genericamente di sinistra in cui prevalgono presupposti politici e finalità profondamente diverse. Tra l’altro non si può neppure dire che si accetta questa amara prospettiva perché in tal modo si ottengono grandi risultati politici, dall’Arcobaleno in poi (anch’esso per qualcuno doveva essere la base per un “nuovo” soggetto politico) tutte queste esperienze si sono dimostrate fallimentari nell’immediato o in breve spazio di tempo.

Allora la domanda che poniamo a tutti coloro che si dichiarano comunisti, ma che guardano alla lista Tsipras come ad un futuro soggetto politico: per quale motivo dovremmo ben 25 anni dopo accettare e partecipare a quella Bolognina che allora abbiamo, giustamente, respinto? Considerato, oltretutto, che i fatti hanno dimostrato , con l’evoluzione da PDS a DS e infine a PD che una tale sinistra non riesce, nella fase attuale del capitalismo in Italia ed in Europa, a rimanere tale, ma è costretta a scegliere tra una ulteriore omologazione al sistema (capitalista ed imperialista) come è stato per il PDS e per i partiti socialdemocratici del PSE, oppure a ritornare sui propri passi, recuperare una identità di classe anticapitalista ed antimperialista, e quindi una identità comunista (possibilità questa che, però, una volta imboccata tale strada non è mai risultata più praticabile).

Considerate queste esperienze e questi fatti, peraltro avvenuti non solo in Italia, ma non è qui il momento di allargare l’analisi, come si può pensare e sostenere che i comunisti dovrebbero andare ad un suicidio (come identità collettiva ed autonoma) all’interno di un soggetto politico di sinistra simile al PDS di Occhetto. A meno che non si ritenga che, ormai, nei paesi a capitalismo avanzato non vi sia più uno spazio politico e sociale per un partito comunista, per cui l’identità comunista rimane come opzione individuale (romantico/nostalgica) o come disse Bertinotti “resto comunista per tigna”, ma allora diventa un comodo alibi individuale per salvare la “purezza” della propria coscienza mentre, però, si praticano scelte politiche di tutt’altro tenore.

Ma questa non sarebbe altro che una comoda resa all’egemonia del pensiero dominante nella società in cui viviamo, una resa appunto ai presupposti della Bolognina di 25 anni fa, una scelta che individualmente ognuno può fare in ogni momento, e l’esperienza ci insegna che più la fase politica è difficile, più si subiscono sconfitte e più questo fenomeno si verifica, passando dall’abbandono della militanza politica fino al passaggio al campo avverso, con tutte le possibili varianti intermedie. Non è questa la nostra scelta, noi non ci arrendiamo.

Intendiamo procedere sulla strada dell’unità dei comunisti per ricostruire in Italia un forte Partito Comunista, oggi necessario più che mai, le condizioni sociali e lo spazio politico ci sono, tutto questo non vieta, né contraddice, anzi, ne è la condizione preliminare, una vera unità della sinistra, che come le esperienze recenti e passate dimostrano non si realizza senza una forte presenza ed un forte ruolo in tal senso dei comunisti, e soprattutto non si realizza su obiettivi avanzati ed utili per i lavoratori ed i ceti popolari.

*Vladimiro Merlin è segretario della Federazione del PdCI di Milano