Un ricordo di Franca Rame

di Fosco Giannini

franca rameIo la conosco! La conosco bene ! Così, tante volte, mi veniva da dire a coloro che, casualmente, improvvisamente, parlando di teatro, d’arte, di belle attrici, di artisti impegnati, evocavano Franca Rame. Io la conosco! Tante volte ho detto così, come fa un provinciale che per puro caso ha toccato, inaspettatamente, il cielo con un dito, ha conosciuto “i grandi”, li ha sfiorati, ha persino parlato con loro.

Ora che se n’è andata, Franca, posso ripetere, con la stessa caduta di stile, con lo stesso cattivo gusto provinciale ( un po’ svuotato, spero, di volgarità, perché segnato dalla commozione), Io la conoscevo bene!

E’ vero: ho conosciuto Franca Rame al Senato della Repubblica, durante il governo Prodi, tra il 2006 e il 2008, lei senatrice eletta con l’IDV di Di Pietro e io senatore comunista, eletto nelle liste di Rifondazione Comunista.

Per tante ragioni, il rapporto con Franca divenne subito forte. A volte mangiavamo assieme: di giorno al ristorante del Senato, la sera in una trattoria nei pressi di Piazza Navona. Spesso, con lei, c’era la sua segretaria, la giovane e bravissima Carlotta. Ci vedevamo, con Franca, nel suo ufficio senatoriale, dove parlavamo di tutto e su tutto esprimevamo la nostra critica comune, che era la critica complessiva al governo Prodi.

Parlavamo della guerra in Afghanistan, della base Nato in costruzione a Vicenza, delle spese per il riarmo, dello scudo stellare USA in Europa, della Legge 30 che non veniva cancellata, dell’attacco alle pensioni e, in sintesi, del pericolo che le debolezze del governo Prodi potessero aprire la strada ad una nuova vittoria delle destre. Come avvenne. Fu proprio durante queste discussioni che potei riconoscere l’inaspettata maturità politica di Franca Rame, oltreché la sua grande sensibilità sociale ( che, tuttavia, già si conosceva, essendo, questa sensibilità, la peculiarità stessa del suo lavoro teatrale, della sua arte). La maturità politica della Rame emergeva tutta attraverso la soluzione razionale delle forti contraddizioni politiche che vivevamo in Senato: da una parte Franca era sdegnosamente contraria alla guerra in Afghanistan, alle basi Nato e alla politica sociale del governo Prodi e del suo ministro Padoa Schioppa; d’altra parte decideva, ogni volta che si votava ( e ogni volta soffrendo), che non si poteva far cadere Prodi e riconsegnare il Paese a Berlusconi. Tutto ciò attraverso un’elaborazione politica degna di un dirigente di lungo corso, non di un’artista che faceva, naturalmente, del teatro e dell’arte la propria e vera vita.

La Rame era anche dura, forte, imprevedibile nel suo coraggio e nella sua inclinazione a rompere le regole, a rigettare l’ipocrisia. Un giorno, in piena Aula, le si fece incontro il presidente della Commissione Difesa al Senato, quel Sergio De Gregorio che aveva tradito l’IDV ed il centro sinistra ed era passato con Berlusconi. Per Franca, quel tradimento, era, giustamente, ripugnante. De Gregorio si avvicinò alla Rame e si inchinò, tentando di prenderle la mano per baciarla. Non lo avesse mai fatto: Franca sottrasse rapidamente la propria mano a quella stretta; trafisse, gelida, coi suoi occhi gli occhi di Di Gregorio e passò oltre, come una regina infuriata.

A volte piombava a Roma Dario Fo, che si piazzava sui palchi del Senato attirando lo sguardo di tutta l’Aula. Per vedere meglio Franca, Dario allungava e sporgeva, dall’alto dei palchi, tutta la faccia, il suo naso a becco d’uccello. Sembrava un falco e Franca diceva: “E’ Dario Fo-lco”. Quando Dario scendeva a Roma, Franca entrava in festa, metteva su un’allegria nuova e si faceva più frizzante e ardita che mai. Poi, recuperato il suo Dario dai palchi del Senato, ci invitava ( me e Carlotta) a pranzo in quella trattoria di piazza Navona. Mano a mano che avanzava, tra me e lei, la confidenza, Franca si apriva e mi raccontava la propria vita.

Bellissimo fu il racconto della sua giovinezza: Franca era figlia d’arte, anzi: nessuna, come lei, lo è stata così tanto. “ Sono sempre stata, per tutti e per un lunghissimo tempo, innanzitutto la figlia di Domenico Rame”, ci raccontava. Domenico Rame, il padre, era un grande “capocomico”, il capo di una compagnia teatrale che girava per le città e i paesi della Lombardia, del Piemonte, del Veneto, mettendo su, tra l’altro ( oltre il palco teatrale grande) anche il piccolo palco delle marionette di legno. Ma, certo, la parte più importante del lavoro era il palco grande, grande e nomade: la famiglia Rame aveva tradizioni teatrali antichissime e, per così dire, era sul palco sin dal 1600. La compagnia di Domenico Rame si fermava nei centri urbani e nei villaggi dei contadini del nord d’Italia e faceva conoscere ai poveri cristi Pirandello, Cechov, Shakespeare, Machiavelli, Dante Alighieri, Giordano Bruno. E Franca, già dai primissimi anni di vita, assieme alla madre Emilia, al fratello, agli zii e ai cugini, recitava, “lavorava” nella Compagnia teatrale di Domenico Rame, suo padre e suo direttore artistico. Franca ( che era nata il 18 luglio del 1929 a Parabiago, in provincia di Milano, in uno dei tanti paesini, cioè, dove, per pochi giorni, si fermava la Compagnia teatrale) era davvero innamorata del padre, e del ricordo del padre. Ci raccontava, per le strade di Roma, di fronte ad una pizza, di Domenico Rame: un artista di idee socialiste ( anni ’20, anni ’30) che, spesso, portava gli incassi della serata teatrale a degli operai in difficoltà, a dei contadini in sciopero, alle donne in lotta per il lavoro. Come, poi, avrebbero fatto Franca e Dario nei lunghi decenni del loro impegno, artistico e politico. Era, quella della giovinezza, la parte della storia di Franca meno conosciuta, che noi ascoltavamo avidamente. La storia successiva ( l’incontro con Dario Fo, il loro lavoro teatrale comune, l’impegno sociale e politico di Franca e Dario attraverso il teatro, il maledetto stupro subito da Franca, l’estromissione violenta di Dario e Franca dalla TV nazionale) era, anche da noi, risaputa e, sebbene “la senatrice Rame” ce ne abbia tante volte parlato, non abbiamo bisogno di ripeterla, poiché è da tutti conosciuta. Come un romanzo popolare, fatto proprio, cioè, dal popolo.

Altre cose, piuttosto, vorrei ricordare, che fanno parte dell’esperienza al Senato di Franca e sono, sicuramente, meno conosciute. Fu divertente, ad esempio, il modo in cui la conobbi ( divertente e fruttuoso). Era un fine settimana di maggio, nel 2006. Chiusi i lavori d’Aula, al Senato, ero salito su di un treno per le Marche. Un vagone più avanti vidi Franca, seduta, in lettura. Mi avvicino e le chiedo : “ Sei Franca Rame, no?”. E lei: “ Si. Ma tu chi sei?”. E io, che mi vergognavo sempre un po’ a dire che ero un senatore (mi sembrava troppo), le risposi : “ Lavoro al Senato e ti ho vista lì ”. E lei: “ Che cosa fai al Senato, il cameriere?”. Io dissi di no, che ero un senatore anch’io e lei, un po’ stupita, mi invitò a sederle vicino e iniziammo a parlare. Sul piano politico fu un colpo di fulmine. Ci ritrovammo subito a condividere le posizioni più avanzate: contro le guerre, contro il riarmo, contro le politiche moderate di Romano Prodi. Parlammo molto dell’Afghanistan; Franca si entusiasmò e condivise la mia interpretazione di quella guerra, una guerra imperialista. Fu tanto presa che mi chiese di scrivere ( il viaggio era lungo, lei andava a trovare, in Umbria, il figlio Jacopo) la mia analisi sul suo computer. Lo feci, credendo fossero appunti a cui Franca era interessata. In verità, il giorno dopo, trovai “i miei appunti”, disposti come un articolo di mezza pagina, sul Corriere della Sera. Quando, il martedì successivo, mi vide in Aula, mi disse “ Ei, bel camerierino, se non lo mandavo io, quando mai, a te, il Corriere della Sera ti avrebbe pubblicato un articolo contro gli USA e contro la NATO? Ringraziami…”. Era Franca Rame, così come l’avrei poi conosciuta: caustica, coraggiosa, impavida, sfrontata, determinata, generosa, semplice, allegra, rivoluzionaria, incline a respingere ogni imposizione. Eppure, politicamente, così unitaria, razionale, matura, equilibrata di fronte alle contraddizioni.

Da quel giorno, in Senato, da quando mi disse dell’articolo sul Corriere della Sera, iniziò tra di noi una profonda e continua collaborazione. Un’ unità di intenti, una battaglia sui punti più controversi dell’ “agenda Prodi” che si svolgeva nell’intento generale di spostare il più avanti possibile, il più a sinistra possibile, la linea del governo, senza, tuttavia, aprire lo spazio a Berlusconi.

Di questa lotta, di quest’impegno portato avanti con Franca ( e con tanti e tante altre) ho molti ricordi. Degli “otto senatori ribelli” ( così come la stampa ci definiva) che si battevano contro la guerra in Afghanistan, Franca era, sicuramente, “ la nona senatrice”. Era con gli “otto” sempre: nelle battaglie d’Aula, sui media e nelle piazze. Con Franca, sulla guerra in Afghanistan, sulla base Nato di Vicenza, sullo scudo stellare, sul riarmo, ho scritto articoli (cofirmati) su il Manifesto, su Liberazione, su La Repubblica. Sulle stesse questioni, in Aula, preparavamo interventi comuni. E Franca faceva molto bene il suo lavoro, nel suo mondo: a tutti gli artisti inviava “la linea di lotta contro le guerre e il riarmo” ( articoli, saggi, interventi al Senato). Erano migliaia di mail che inviava ad attori, cantanti, registi, scultori, pittori, scrittori, intellettuali, scienziati, in Italia, in Europa e nel mondo. Ricordo le sue telefonate, “militanti”, con “ il compagno” – come diceva lei – Enzo Jannacci, con Sabina Guzzanti, con Adriano Celentano, e con tanti e tanti altri.

Franca non si risparmiava : conduceva, guidava, battaglie contro gli “sprechi”, contro gli sperperi del denaro pubblico, “contro il fiume di soldi che invece di andare al welfare e ai lavoratori e alle lavoratrici, va negli stipendi d’oro dei manager, nel riarmo, nella burocrazia surreale” ( decine di migliaia di firme raccolte su di un suo Appello); contro la mafia, a favore dei diritti degli immigrati. Interveniva in Aula con interventi brevi ma intensissimi e ascoltatissimi: era sempre a fianco delle donne, dei lavoratori, dei poveri cristi, in difesa dello stato sociale e del sistema pensionistico pubblico. L’avevi al fianco in ogni momento di lotta. Ricordo la conferenza stampa che organizzai all’interno del Senato, sulla questione della guerra in Afghanistan, per il ritiro delle truppe italiane da quella terra già troppo insanguinata. Con Franca parlò anche Don Gallo. La Rame e il Gallo, insieme, attrassero ( al Senato!), un sacco di giornalisti e il giorno dopo, su tutta la stampa nazionale italiana passò, finalmente, un messaggio contrario alla guerra.

Ma sceglieva di schierarsi anche su temi più difficili, più controversi. In quegli anni il governo di Praga decise di mettere fuorilegge il Partito comunista della Repubblica ceco-morava. Franca non ebbe dubbi quando le proposi di lanciare un Appello contro la messa al bando dei comunisti di quel Paese. Firmò l’Appello e convinse tanti altri artisti e intellettuali a firmare. Non aveva paura delle battaglie, anche le più difficili.

Spesso portavo al Senato gruppi di operai e di precari della Calabria e del sud d’Italia, anziani e giovani con drammatiche situazioni personali e sociali sulle spalle: licenziamenti, soprusi da parte dei padroni, minacce e attacchi della ‘Ndrangheta. Franca era sempre con noi, con loro, e la sua presenza attiva rincuorava tutti e dava più speranza per la lotta. Leggo ora sui giornali che Franca, assieme a Dario, stava lavorando ad un’altra piece teatrale, dal titolo inequivocabile : “ Fuggita dal Senato”, un monologo ( credo) che doveva esordire a Verona. Rispetto a ciò dico solo ciò che ho visto: è vero che Franca non ne poteva più del Senato, delle sue liturgie, dei suoi vaniloqui; che non ne poteva più di quel governo di centro-sinistra e dell’impossibilità del cambiamento; non ne poteva più di sentirsi complice ( come affermava) di una resa ai poteri forti; che non ne poteva più dell’ipocrisia, della lontananza dalla realtà delle cose e dal popolo (dal proletariato) che lei sentiva vicino, non per snobismo di sinistra ma, innanzitutto, per la lezione che le veniva da suo padre, dalla sua famiglia rivoluzionaria, dalla sua giovinezza già dedita all’arte e alla lotta. Non ne poteva più del Senato e soffriva come una giovane leonessa in gabbia, dicendoci, dicendomi, ogni giorno, che quel giorno era l’ultimo, che il giorno dopo se ne sarebbe andata. E’ vero: da un certo momento in poi ha iniziato a studiare il modo di andarsene, di come dare le dimissioni. Tutto ciò risponde alla realtà delle cose, tuttavia è altrettanto vero che è rimasta a combattere per le giuste cause sino all’ultimo; è altrettanto vero che sino all’ultimo giorno è rimasta a battersi per impedire ciò che più le ripugnava: il ritorno delle destre e di Berlusconi.

Ho cercato Franca, l’ultima volta, nel febbraio di quest’anno, prima del voto alle elezioni politiche nazionali. Sapevo che il suo Dario votava per Grillo e volevo chiederle cosa facesse lei. Supponevo fosse d’accordo con Dario. Al telefono non riuscii a parlarci, e adesso ne capisco il motivo: probabilmente era già malata e stanca. Parlai con una sua collaboratrice, comprendendo, però, che Franca era lì vicino. La sua collaboratrice, consultatasi con Franca, mi disse di inviare per mail il programma di “Rivoluzione Civile”. Cosa che feci, senza, poi, disturbare più la Rame. Ciò che poi seppi, fu che Franca aveva votato Grillo al Senato e Ingroia alla Camera. Era sempre lei, come me la ricordavo: una donna libera.

Quando l’ho conosciuta, al Senato, Franca aveva già 76 anni, ma era ancora di una grande bellezza. Un giorno le mostrai una pagina interna de La Repubblica, che pubblicava un lungo articolo su di lei e, al centro, dell’articolo, c’era una sua foto da giovane. Era bellissima, anzi, come ha detto in queste ore Celentano, era “di una bellezza mai vista”. Un anziano senatore, suo grande estimatore ma sempre un po’ acido nella sua bonaria ironia, le disse che “ tuttavia, il tempo passa per tutti, anche per me e per lei, senatrice Rame”. Franca non perse tempo: prese la pagina de La Repubblica con la sua foto e disse al senatore, un po’ panciuto e decadente: “ Prendila, te la regalo, mettila sotto il cuscino. Sognami e rifatti una vita”. Era ironica, libera, intelligente, divertente. Era Franca Rame.