di Giorgio Raccichini, PdCI Porto San Giorgio
Riceviamo e volentieri pubblichiamo come contributo alla discussione
I risultati delle elezioni amministrative hanno mostrato una tenuta sostanziale delle forze costituenti la Federazione della Sinistra, soprattutto laddove hanno deciso di correre all’interno di una coalizione di centro-sinistra. Questo dato fa riflettere sul comportamento dell’elettorato comunista e di sinistra, che evidentemente chiede un centro-sinistra unito, capace di rispondere alle problematiche locali e nazionali più urgenti e di delineare prospettive di cambiamento nel medio o lungo periodo.
Sebbene ogni contesto locale sia differente e richieda perciò l’attuazione di tattiche diverse, è evidente che i Comunisti non possono sottrarsi all’obbligo di proporsi ovunque come interlocutori credibili delle forze di sinistra, di centro-sinistra e, in alcuni casi, addirittura di centro, con il fine di elaborare e applicare contenuti programmatici concreti volti a migliorare, sia a livello nazionale che locale, le condizioni di vita di lavoratori e cittadini. Oggigiorno le contrapposizioni basate aprioristicamente sui simboli e sui retroterra ideologico-culturali delle forze politiche sono viste dalle persone come qualcosa di anacronistico, come il frutto di una litigiosità dannosa.
La fase storica che stiamo vivendo consentirebbe un’avanzata quantitativa e qualitativa della Federazione della Sinistra, qualora i Comunisti sappiano, mediante un lavoro paziente e capillare e attraverso un’azione concreta, ispirare fiducia nelle masse, mettersi alla loro testa e condurle sulla strada di un cambiamento graduale, ma radicale, dei rapporti socio-economici e politici vigenti.
Il malcontento, che ancora noi Comunisti non siamo stati in grado di intercettare, subendo su questo versante un parziale insuccesso, si sta incanalando verso la cosiddetta “antipolitica”, che in realtà costituisce una tipologia non nuova di risposta politica all’esistente, alimentata dalle iniquità e dalla corruzione del sistema socio-politico italiano e capace di attecchire grazie alla facilità di ricezione di certe proposte, alcune delle quali dal sapore demagogico. Si prendano ad esempio gli attacchi al sistema politico imperniato sui partiti, che alcuni vorrebbero eliminare dalle fondamenta e non semplicemente purificare da mali fin troppo evidenti. Questo tipo di risposta non tiene conto sia della naturale propensione degli uomini ad associarsi in base ad interessi comuni, sia di un fatto pericolosissimo: in assenza di partiti operanti a sostegno degli interessi dei lavoratori, per giunta in una società economicamente e culturalmente diseguale, il sistema politico finirebbe per essere egemonizzato da singoli o da gruppi di persone capaci di dispiegare una decisa forza economica per propagandare le proprie posizioni, far valere i propri interessi e comprarsi un seguito più o meno vasto di persone dentro e fuori le istituzioni. Prevarrebbero più di ora logiche politiche clientelari; anzi, mentre ora il clientelismo è un male estirpabile del sistema partitico, in assenza dei partiti, in una società profondamente diseguale, esso sarebbe una caratteristica basilare dell’organizzazione politica.
Gli operai e i lavoratori, senza un partito di riferimento, invece di lottare uniti per i propri interessi, finirebbero per dividersi su questioni di secondaria importanza e non riuscirebbero a trovare quella sintesi estremamente necessaria per l’elaborazione di una proposta politica precisa da contrapporre alla grande borghesia nazionale e internazionale, che tende a dividersi nella corsa al profitto, ma si compatta nella lotta contro il mondo del lavoro.
Le forze principali della Federazione della Sinistra, il Partito dei Comunisti Italiani e il Partito della Rifondazione Comunista, si trovano di fronte ad un bivio importante: o costruire un partito comunista unico e diventare al contempo i promotori di un’alleanza di tutte le forze di sinistra, seguitando il percorso della Federazione della Sinistra; o sciogliersi e fondare un soggetto politico indistintamente di sinistra, perdendo la denominazione e la caratterizzazione comuniste.
A mio avviso la strada da percorrere è la prima, per due motivi:
1) se ci poniamo l’obiettivo di costruire in prospettiva il socialismo, cioè la società in cui sia stato abolito il fattore primario della disuguaglianza e dello sfruttamento, vale a dire la proprietà privata dei mezzi di produzione, non possiamo diluire le nostre forze in una generica entità di sinistra, capace di lottare solo per conquiste correttive del sistema capitalista, che non sono stabili, in quanto seguono l’accidentato evolversi della lotta di classe, e non cancellano le basi economiche dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo;
2) la storia recente dimostra ampiamente che le unioni forzate di elementi eterogenei comportano la certezza di scissioni dolorose e incomprensibili ai più.
Un’unità federativa sulla base di linee programmatiche comuni, salvaguardando l’autonomia organizzativa dei singoli partiti aderenti, costituisce la base più solida per il rilancio della sinistra in Italia. E all’interno di questa federazione un partito comunista forte e coeso può e deve lavorare per diventare forza egemone.