Sinistra, disciplina e libertà

discurso de lenin artista desconhecidodi Alessandro Pascale

[Quelle che seguo
no sono alcune considerazioni sul dialogo avvenuto sul Corriere della Sera (La sinistra che non c’èIl corriere della Sera, 28 marzo 2021, p. 54) tra il noto scrittore Claudio Magris e il segretario del Partito Comunista Marco Rizzo. L’articolo è stato pubblicato il 2 maggio 2021 sulla rivista Cumpanis]

PERCHÈ ANCORA UN PARTITO COMUNISTA?

Magris fa notare come il Partito Comunista guidato da Rizzo sia «un partito nel senso classico del termine anziché una fluida formazione come molti altri attuali raggruppamenti politici, numericamente più forti»; «il suo Pc è piccolo, ma non è un gruppuscolo; è immune dalla superbia ideologica, culturale e vagamente esoterico che caratterizza spesso le cerchie dei pochi fieri di essere pochi, una supponente aristocrazia d’accatto». Più avanti caratterizza l’azione del partito così: «l’elemento più originale del suo discorso è la critica a chi si proclama di sinistra mentre ne ignora o ne viola, a suo avviso, alcuni valori fondamentali».


La sorpresa di Magris riguardo alla tenuta “solida” del PC merita una riflessione. Il sociologo Zygmunt Bauman ha descritto la società occidentale con la formula della “modernità liquida”, caratterizzata dal dissolvimento di ogni legame stabile e duraturo. L’egemonia ideologica in questa società è la cosiddetta “condizione postmoderna”, ossia la morte delle “ideologie”, o dei “pensieri forti” (Vattimo) che dir si voglia. La caduta della modernità in questo pastiche che propugna politeismo dei valori, relativismo estremo, fino addirittura all’aperto scetticismo moderno è un processo che si è accompagnato cronologicamente all’offensiva neoliberista. Il testo fondamentale del postmodernismo, firmato Lyotard, data 1979, esattamente lo stesso anno in cui la Thatcher e Reagan annunciavano il ritorno in grande stile della pratica mercantile spinta a livelli fondamentalisti. Si tratta di una casualità? Forse sì, ma la verità è che l’avvento di una epistemologia debole, di cui il postmodernismo è solo l’ultimo più radicale esito, data almeno dagli anni ’30 del ‘900, con la crisi del neopositivismo. Sono gli anni in cui l’Occidente capitalistico vive il primo preoccupante complesso di inferiorità nei confronti dell’esperimento socialista sovietico: mentre la borghesia si mostra incapace di superare la crisi del 1929, Stalin costruisce una società in cui viene debellata per la prima volta nella storia la disoccupazione. Il nesso tra “liquidità” e “liberalismo” emerge implicitamente nel sistema teorico di uno dei maggiori filosofi del ‘900, Karl Popper: nella sua opera il ridimensionamento delle capacità conoscitive della “scienza” si accompagna alla critica aperta del marxismo, giudicato un sistema “omniesplicativo”, e quindi non scientifico. La conseguenza è un’apertura alla pluralità, ad una società liberale, “aperta”, di contro alla grettezza culturale e ideologica delle società “chiuse” e totalitarie come l’URSS e i nazifascismi. Nel mezzo secolo in cui il mondo ha assistito, trattenendo il fiato, alla guerra fredda, lo scontro non è stato solo tra due superpotenze, ma tra due modi di intendere la realtà, tra due approcci che si sono fondati da un lato (quello borghese “occidentale”) sulla svalorizzazione delle scienze, dall’altro (quello socialista “orientale”) sulla fiducia nella capacità di poter pianificare le trasformazioni socio-economiche grazie al controllo politico delle tecniche moderne.

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