di Laura Baldelli
1. Sabato 29 settembre, in occasione dell’inaugurazione della neo-nata sezione di San Benedetto ( Ascoli Piceno), c’è stata un’iniziativa regionale del PDCI dal titolo “Un’ altra Italia è possibile a sinistra”, sono intervenuti il consigliere regionale R. Bucciarelli della Federazione della sinistra, il segretario regionale del PDCI C. Procaccini, la responsabile della FIOM di Fermo Giusy Montanini, la responsabile regionale della scuola Laura Baldelli; ha coordinato il neo-segretario della sezione A. Biocca.
2. Nella sala dell’hotel Calabresi erano presenti 150 persone, nonostante la mancata presenza del segretario nazionale Oliviero Diliberto, assente all’ultimo momento per un problema familiare.
Ognuno dei relatori è intervenuto nel proprio settore di pertinenza, evidenziando i problemi nella regione che risentono delle situazioni economiche e finanziarie internazionali, nazionali e locali, come il compagno Bucciarelli che ha denunciato l’operazione della virtuosa regione Marche nell’ambito della sanità dove vengono eliminati i servizi e le prestazioni sanitarie di base in ragione dei risparmi e della priorità data alla redditizia eccellenza , e di spregiudicate speculazioni edilizie delle varie aziende sanitarie; inoltre in alcuni territori la legge 194 rischia di non essere applicata. E non mancano i problemi ambientali in un territorio che va messo in sicurezza dai rischi idrogeologici dopo la cementificazione che ha divorato la costa e le colline marchigiane, tanto decantate da D. Hoffman, e dilaga la deturpazione del paesaggio con i pannelli solari spuntati ovunque senza regole, sottraendo terreni all’agricoltura. E sempre in tema ambientale centrali a turbogas e rigasificatori sono sempre in agguato.
3. La compagna G. Montanini della Fiom di Fermo ha delineato un quadro allarmante tra i lavoratori delle fabbriche, dove la crisi è fortissima tanto che si arriva a tacere sulla sicurezza per non perdere il posto di lavoro, si licenzia senza giusta causa, senza alcun ammortizzatore sociale specie per i lavoratori precari, perchè la protezione dello statuto dei lavoratori non esiste più; si scatena anche una guerra tra poveri, dove spesso le vittime più frequenti sono le donne, e il fatto più preoccupante è la rassegnazione. E’ difficile andare nelle fabbriche tra i lavoratori sfiduciati e riaccendere la fiducia nella lotta! La raccolta delle firme per il referendum per l’abrogazione della legge Fornero che ha cancellato l’articolo 18, sarà l’occasione per tenere viva la speranza con la mobilitazione nelle piazze.
4. La compagna L. Baldelli ha parlato della scuola e dell’università, ripercorrendo le politiche nazionali e dell’UE, evidenziando le strategie dei vari governi e i conseguenti risultati nazionali e nella regione Marche, di cui riportiamo la relazione.
5. Nelle conclusioni il segretario regionale C. Procaccini, tirando le fila degli interventi, ha sottolineato che il modello marchigiano nella crisi internazionale finanziaria, economica e produttiva non ha più tenuta economica, né sociale e le ricette sono sempre le stesse: sfruttamento, ricatto ai lavoratori e delocalizzazioni, perché c’è sempre “un sud più sud”. I comunisti ci sono e stanno dalla parte dei lavoratori e saranno nelle piazze per raccogliere le firme per abrogare la legge Fornero che ha spazzato via l’articolo 18 e lavorano per l’unità di tutti i comunisti e il dialogo con le forze democratiche di sinistra perché un’altra Italia è possibile!.
Introduzione al Convegno di San Benedetto di Laura Baldelli, segreteria regionale PdCI Marche
Care compagne e cari compagni,
inizio ricordando un pensiero di Antonio Gramsci, che afferma che tra scuola, educazione e politica c’è una stretta connessione e che da come un governo organizza il proprio sistema educativo, conosciamo gli obiettivi che vuole realizzare nel futuro..
Pensando al nostro paese e affidandomi ai dati, diffusi da tutti gli organi d’informazione, del rapporto OCSE, che ci classifica al penultimo posto negli investimenti per la scuola e al primo per i docenti più anziani e peggio retribuiti, penso che i governi italiani degli ultimi decenni non abbiano gettato fondamenta per la costruzione di un futuro migliore, condannando così le nuove generazioni.
Negli ultimi dieci anni, i finanziamenti alla scuola pubblica per l’attuazione della legge per l’Autonomia Scolastica sono stati ridotti del 93%, ed hanno portato al taglio dei supplenti, alla riduzione dei docenti in organico, tagli alle cattedre, diminuzione delle ore di attività didattica, taglio delle compresenze, meno insegnanti e meno ore di sostegno per gli alunni diversamente abili.
Paradossalmente, è aumentato il numero degli alunni per classe e non è stato realizzato alcun investimento nelle aree a rischio, come invece in gran parte d’Europa è stato fatto.
Inoltre l’OCSE segnala con preoccupazione, il ritorno all’ereditarietà del titolo di studio: in Italia chi nasce in una famiglia con poche opportunità e da genitori poco scolarizzati, ha scarsa possibilità di intraprendere un lungo percorso scolastico, mentre chi è figlio di laureati molto probabilmente diventerà “dottore”.
L’Italia è anche in controtendenza, tra i paesi OCSE, rispetto al fatto che il titolo universitario rappresenti, in periodi di crisi, una protezione aggiuntiva; infatti è in aumento la disoccupazione tra i laureati e si è azzerato il meccanismo di “ascensore sociale” dell’istruzione.
Il ritratto generale che ne esce è allarmante: una scuola impoverita ed inceppata nella sua funzione formativa e nella possibilità di far decollare le opportunità di lavoro, e soprattutto aumentano i neet, l’acronimo inglese che indica i giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano, non ricevono formazione……l’Italia non è certo un paese per giovani, ma neanche per vecchi!
Al governo del nostro paese non interessa il capitale umano del futuro e, come in epoche precedenti, la forza giovane viene spinta verso la migrazione.
Inoltre, l’Italia, non si è neanche avvicinata a quella parte del Trattato di Lisbona del 2000 per l’UE, che puntava entro il 2010, ad arrivare ad un’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economicamente sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale, basata su crescita e competitività.
I governi italiani hanno invece fatto propria la parte del trattato che, in linea con le scelte neo-liberiste dell’UE, indicava nelle liberalizzazioni dei servizi, la strategia che avrebbe dovuto portare ad un innalzamento dell’occupazione, che ha invece comportato una precarizzazione di massa del lavoro, incluso quello legato all’economia della conoscenza, come istruzione, ricerca ed innovazione.
Gli obiettivi del trattato di Lisbona sui saperi, sull’educazione e la formazione erano ambiziosi: apprendimento permanente come risposta alla globalizzazione e all’economia basata sulla conoscenza; misure attive e preventive rivolte ai disoccupati e alle persone non attive; e ancora: riduzione del 10% dell’abbandono scolastico, aumento del 15% dei laureati e superamento della disparità di genere, portando così il completamento del ciclo d’istruzione all’85%.
Le istituzioni scolastiche avrebbero dovuto organizzarsi con forti e mirati investimenti in programmi didattici per sviluppare le competenze chiave come: la conoscenza delle lingue, della matematica, delle scienze, della tecnologia, quelle digitali, quelle sociali e civili, lo spirito d’iniziativa e d’impresa.
Neanche gli altri paesi dell’UE hanno realizzato pienamente gli obiettivi, perché tutto era subordinato, condizionato, dagli interessi economici, dalle dinamiche industriali e perchè nel 2008 è arrivata anche la crisi finanziaria e produttiva.
Oggi il rilancio è dato dal documento Europa 2020, che propone una crescita intelligente, basata su un’economia che si avvalga dell’innovazione, della crescita inclusiva e la coesione territoriale e più alti tassi di occupazione; inoltre il PIL dell’UE dovrebbe essere investito in ricerca e sviluppo, i giovani laureati dovrebbero essere il 40%, 20 milioni in meno le persone a rischio povertà e in materia ambientale – 30% di emissioni inquinanti.
Obiettivi sempre subordinati agli interessi economici e alle dinamiche industriali e recentemente anche all’imposizione dei pareggi di bilancio, un orrore sociale che porterà alla distruzione dell’intero “stato sociale” e la negazione anche delle politiche neo-keynesiane.
In Italia il governo Monti, per evitare l’ipotizzabile conflitto sociale, ha ratificato il fiscal-compact nella Carta Costituzionale: un golpe silenzioso e drammatico, che cambia la Costituzione Italiana nata dalla Resistenza, dall’antifascismo e dalla guerra di Liberazione nazionale!
L’Italia oggi non è in grado di realizzare nessuno degli obiettivi teoricamente posti da Europa 2020, perché oltre alla crisi finanziaria, economica ed occupazionale, la nostra scuola ha subito ben tre durissime controriforme, che hanno profondamente cambiato in peggio il già inadeguato sistema dell’istruzione.
L’inizio fu la Riforma Berlinguer, realizzata frettolosamente nel 2000, senza intervenire sui contenuti e sui programmi, mentre il resto dei paesi dell’UE da anni preparava una scuola per essere in Europa.
Luigi Berlinguer, da comunista pentito e devoto al neo-liberismo, ha introdotto il linguaggio economicistico, bancario, che pensa la scuola come azienda-impresa, dove il preside è un dirigente-manager, gli alunni e i docenti si muovono tra crediti e debiti formativi, in un gioco di offerta formativa, dove gli studenti-utenti-clienti vengono attirati con offerte speciali, in perfetta coerenza con la concezione mercantilistica di domanda-offerta, che ha mercificato i beni comuni come salute, ambiente, istruzione per favorire i traffici commerciali, che ledono i principi di democrazia e i diritti all’istruzione, alla salute e al lavoro.
Salute ed istruzione oggi tendono a non essere più un diritto ma una merce su cui speculare.
Con la riforma Berlinguer, proprio perché mai completata nei programmi e contenuti, la scuola è diventata un progettificio, unico sistema per avere finanziamenti, ed ha perso la sua connotazione di luogo della cooperazione, per trasformarsi in luogo della competizione.
Ma il danno più grave fu l’introduzione del sistema integrato tra scuola pubblica e scuola privata, alla quale si riconosce il principio di parità e i relativi finanziamenti, inoltre la riforma Berlinguer, tutta basata sull’autonomia, concedeva alle scuole cattoliche, di restare scuole ideologiche, in barba alla Costituzione.
Oggi fanno parte del sistema nazionale dell’istruzione e svolgono un servizio pubblico, senza alcuna verifica sul funzionamento effettivo e sul rispetto delle regole: come reclutamento dei docenti, selezione degli alunni…perché handicap e scolari stranieri costituiscono un turbamento.
Il Ministro Fioroni è riuscito a fare di meglio: ha esteso il finanziamento oltre alla scuola dell’obbligo, alle superiori, a patto che si autocertifichino di operare senza fini di lucro, così mentre progressivamente diminuisce il finanziamento alla scuola pubblica, aumenta quello alle private.
Un governo di centro-sinistra è riuscito a fare quello che nessun governo democristiano aveva mai osato proporre, soprattutto grazie alla presenza di un forte partito comunista, il PCI, di una CGIL ancora su posizioni di classe e di una strutturata cultura laica.
Era l’epoca, quella della controriforma Berlinguer, della rincorsa degli allora diessini dietro gli obiettivi della destra italiana ed europea di modernizzazione, liberalizzazione, destatalizzazione, privatizzazione, decentramento, autonomia;
Ne derivarono una modernizzazione senza cultura, una professionalizzazione tutta localistica e subalterna alle immediate esigenze della produttività speculativa, liberalizzazioni generatrici di squilibri.
Infatti, sul piano dei contenuti, c’è la dismissione e un alleggerimento di alcuni saperi formativi, una dannosa separazione tra discipline umanistiche e scientifiche, centralizzando tutto sull’informatica vista come panacea, ed anche una rinuncia al rigore necessario a formare persone con menti critiche.
Tutto questo ha aperto la strada ai ministri dei governi di Berlusconi nell’attacco alla scuola pubblica: le signore Moratti e Gelmini, alle quali è stato facile apportare altri danni come diminuire il tempo scuola, cancellare il pericoloso insegnamento della geografia, tentare di cancellare il tempo pieno, aumentare poteri al dirigente scolastico, mettere in ruolo migliaia di insegnanti di religione.
Le finanziarie hanno fatto il resto.
Le scuole italiane oggi praticano poca richiesta cognitiva, non viene trasmessa la memoria storica e vent’anni di berlusconismo, diffuso da Mediaset e rincorso dalla RAI, hanno umiliato la cultura e trasmesso volgari modelli edonistici e corrotti, che hanno seriamente danneggiato le giovani generazioni e annullato la coscienza di classe tra i cittadini.
Ne è frutto anche la dilagante corruzione di molte forze politiche oggi sotto gli occhi di tutti, e questa classe politica corrotta e connivente va mandata a casa, sia per ragioni economiche, giudiziarie, ma soprattutto etiche, di fronte a una crisi che finora hanno pagato solo i lavoratori.
Se parliamo di edilizia scolastica, l’ordine dei geologi, in un rapporto sullo stato di sicurezza degli edifici scolastici, ha evidenziato che sono 27.920 quelli nelle aree ad alto rischio sismico e 6.122 quelli nelle aree a rischio idrogeologico. Altri edifici scolastici sono fatiscenti e pericolosi perché da anni mancano finanziamenti per la manutenzione per la messa in sicurezza, ma il ministro Profumo ha ritenuto prioritario il registro elettronico.
Se parliamo di università, dal 2004 al 2011 si registra un -15% d’immatricolazioni e soltanto il 29% dei neodiplomati chiede l’iscrizione all’università.
Con l’ultimo governo Berlusconi le finanziarie hanno sottratto alle università pubbliche un miliardo dei sette che ricevevano, così molti atenei hanno aumentato le tasse e diminuito i servizi.
Con il decreto Fornero sono stati tagliati il 90% dei fondi destinati alle borse di studio e ne sono state cancellate 145.000 di quelli aventi diritto.
La crisi fa il resto.
Di questo passo come rispettiamo l’obiettivo europeo del 40% dei laureati?
Lo stesso governatore della Banca d’Italia, I. Visco, sottolinea che l’Italia è un paese arretrato nella valorizzazione del capitale umano, e questo è tra le principali cause del basso tasso di crescita.
Neanche al capitalismo italiano interessa una scuola di qualità, che sforni menti brillanti in grado competere, un tempo Gramsci lo aveva chiamato “capitalismo straccione”, oggi i tempi non sono cambiati e molti economisti lo apostrofano come “nano-capitalismo”, per la miope visione strategica, che non investe in ricerca, delocalizza e si accontenta di ricavare profitto inasprendo lo sfruttamento dei lavoratori.
Nelle Marche le iscrizioni universitarie sono stabili e i laureati della Politecnica trovano anche lavoro, ed è tra gli atenei che investono in servizi agli studenti ed in ricerca, ma gli altri atenei della regione non hanno la stessa forza e lo stato non investe più nella valorizzare di quelle università, che in molti territori, costituiscono anche l’economia principale.
La scuola è fatta soprattutto di persone in carne ed ossa che la fanno funzionare, nonostante le controriforme e le finanziarie; la scuola italiana va avanti da anni grazie anche a quasi 200.000 precari tra docenti ed ata, e quindi la precarietà è un fenomeno strutturale.
Il ministro Profumo ha indetto in questi giorni il concorsone per l’immissione in ruolo di 11542 docenti in 2 anni, coprendo appena il 50% del fabbisogno;
il concorso è riservato ai già abilitati, che di concorsi ne hanno già fatti, sono nelle graduatorie ad esaurimento ed in questi anni hanno permesso che la scuola italiana funzionasse.
Un concorso giunto in ritardo, inutile e costoso, che sottrae risorse che potrebbero essere destinate alle nostre scuole, dove mancano arredi e attrezzature per i laboratori.
Nelle Marche la FLC calcola che un docente su quattro è precario, che ci sono state solo 571 immissioni in ruolo e che ancora moltissime cattedre devono essere assegnate a lezioni già iniziate.
Nel 1950 Piero Calamandrei, nel famoso discorso in difesa della scuola pubblica, metteva in guardia i cittadini dallo stato che trascurava le scuole pubbliche, lasciando che esse andassero in malora, impoverendo i loro bilanci ed ignorando i loro bisogni, ed oggi aggiungiamo: dallo stato che finanzia le scuole private in nome di false libertà di scelta e diritto allo studio.
In Italia invece il nostro Presidente della Repubblica, un altro ex comunista, nel 2008 in occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale, difese i tagli alla scuola, per contenimento della spesa, considerandoli indispensabili.
Oggi Hollande ha annunciato che scuola, ricerca e sanità sono fuori dai tagli della spesa pubblica della nuova finanziaria, perché ha capito che sta nella formazione e nella ricerca il futuro della Francia.
L’Italia è lontana dalla società della conoscenza e dagli obiettivi dell’ambizioso programma Europa 2020.
Due giorni fa in sordina è passata alla camera la vecchia proposta di legge Aprea, operazione che non era riuscita ai governi Berlusconi; la legge riguarda la governance della scuola del consiglio d’istituto: cancella i gloriosi Decreti Delegati, che hanno introdotto la democrazia nelle istituzioni scolastiche.
La novità introdotta sta nell’entrata nel Consiglio dell’autonomia (questo sarà il nome) di componenti privati esterni, che avranno ruoli nevralgici nell’autovalutazione e nella gestione dell’offerta didattico-formativa della scuola. Non oso neanche immaginare cosa potrà accadere!
Oggi dispersa la cultura laica dei padri costituenti, cancellato il più grande partito comunista del mondo non al potere, il PCI, con una GCIL moderata, tutta interna alle compatibilità capitalistiche, di fronte al più duro attacco che mai il capitalismo del neo-liberismo abbia portato ai lavoratori dal dopoguerra, noi comunisti abbiamo il compito prioritario di unire tutte le comuniste e i comunisti in un unico partito, dal pensiero forte e radicato, di lotta e unitario, cardine dell’unità delle forze di sinistra e democratiche e di riconsegnare ai lavoratori, un sindacato di classe e di massa.
E’ ora di dire chiaro e forte che se le forze comuniste, di sinistra e democratiche vinceranno le prossime elezioni nazionali, la prima cosa che dovranno fare sarà quella di cancellare l’antidemocratica legge del fiscal-compact, imposta dall’UE, per liberare risorse da investire nel sistema formativo, nella ricerca, nella cultura e nel più grande patrimonio artistico del mondo che possediamo.
Tutto questo non è mercificabile nell’immediato, ma è il più importante investimento per il futuro, che produrrà una grande ricchezza: le risorse umane.
Senza l’obiettivo di cancellare le imposizioni dettate dal “fiscal compact”, senza una patrimoniale sui grandi redditi, senza cancellare l’IMU sulla prima casa, senza cancellare le spese per gli F 35 per il riarmo e le missioni di pace, senza una scelta chiara e contraria all’attacco, già preparato, dalla NATO contro la Siria e l’Iran, senza tutto ciò è davvero difficile pensare ad un governo di cambiamento, di cui i lavoratori e le lavoratrici e l’Italia tutta hanno bisogno!