Rispondere alla crisi del partito americano con un programma patriottico per la rinascita del paese

di Giuliano Cappellini, Redazione di Gramsci Oggi

prospettivepericomunisti bannerIl Parlamento italiano è stato ad un passo dall’eleggere a Presidente della Repubblica Stefano Rodotà, un galantuomo rispettoso di quella Costituzione Repubblicana il cui principio più disatteso è l’articolo 11 che stabilisce il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. È stato un momento speciale, che avrebbe potuto ritornare all’Italia quel minimo di dignità nazionale che le sue classi dirigenti tradizionalmente svendono. Momento topico, inoltre, vista la caparbia ostinazione con cui il governo Monti ha cercato fino alla fine di impegolare l’Italia nel sostegno, non solo morale, ai terroristi ed agli estremisti islamici che operano in Siria contro il legittimo governo Assad e in preparazione di un intervento della Nato senza l’avvallo dell’ONU.


Apriti cielo, il capo del trasversale Partito Americano, l’ultraottantenne Giorgio Napolitano, è stato rimesso rapidamente in cattedra per ripristinare lo “status quo ante comitia” (di prima delle elezioni). Determinanti le pressioni delle cancellerie dei paesi “alleati” – garanti della fiducia dei “mercati” internazionali ad un governo di “larghe intese” – e degli americani – interessati a prolungare gli impegni militari del nostro Paese in tanti fronti di guerra sullo scacchiere internazionale e all’uso di basi militari in Italia per minacciare i paesi africani e del Medio Oriente –, il sollievo delle classi dirigenti nazionali e, quale che sia il prezzo che dovrà pagare il PD, la previsione che in virtù della nuova legge elettorale che il costituendo governo si appresta a varare, si riproporrà ancora, non si sa bene per quante legislature, l’ineluttabilità di governi di larghe intese.

Il pensiero forte del nostro Presidente è la difesa dei valori occidentali, onde si deve assicurare la governabilità degli Stati. Poiché, però, questa dipende dalle contese tra partiti nei riti elettorali, il problema deve essere risolto a), riducendo a due i partiti che si contendono il governo (i “red” e i “blue”), il che avviene b), quando le distanze programmatiche fra i due partiti sono minime, addirittura zero per quanto riguarda la Nato, gli obblighi militari verso gli USA, il controllo delle agenzie dell’imperialismo sui mezzi di informazione di massa nell’ottica della guerra permanente dell’occidente contro il resto del mondo. A queste condizioni i due partiti diventano intercambiabili o sommabili alla bisogna; la “democrazia”, un rito elettorale, appunto, che non modifica né i rapporti interni, né la collocazione internazionale del paese. Se il gioco regge, i valori occidentali sono salvi per l’eternità!

Non certo per discutere con un ultraottantenne dalle radicate convinzioni (era “americano” anche quando militava nel PCI), ma bisogna pur notare che le cose non funzionano così. Infatti i red ed i blue o anche i red + i blue, pur usufruendo di leggi elettorali maggioritarie e con sbarramenti, non riescono in alcun modo ad assicurare la stabilità dei governi. Con tutta evidenza questa vien meno perché la politica è incapace di venir a capo della crisi economica. Ciò è particolarmente verificabile in Italia dove i red ed i blue (soprattutto i red) hanno liquidato ogni strumento di intervento dello Stato in economia. E questo è solo il primo frutto dell’acquiescenza del nostro Paese alle strategie degli USA e delle altre maggiori potenze imperialiste per controllare la cosiddetta “globalizzazione” dei mercati; il secondo, che richiama il rigurgito neocolonialista dell’Europa in Africa e nel Medio Oriente, ha liquidato le politiche di prudenza del nostro Paese che per decenni avevano favorito una certa stabilità nel Mediterraneo, nel Vicino e nel Medio Oriente in cambio della diversificazione strategica delle fonti di approvvigionamento dell’energia di cui, come è noto, il nostro Paese ha assoluto bisogno.

È, allora, naturale che la crisi della politica sia essenzialmente la crisi del Partito Americano. Come ci doveva aspettare a questa crisi è stata data una risposta, senza dubbio inadeguata, ma di massa, col successo del Movimento 5 Stelle. Inadeguata perché il M5S non sembra tentato di affrontare lo scoglio di una seria opposizione al Partito Americano (PA) che, per essere credibile dovrebbe denunciare la ragione d’essere del PA, in quanto partito della cessione di sovranità alla Nato ed all’Europa, nonché dell’adesione ad avventure internazionali e a modelli economici contrari agli interessi nazionali. Ma è difficile pensare che dagli obiettivi (per certi versi, ambigui) contro le “caste” e contro i costi e gli scandali della politica del Partito Americano, possa crescere un’opposizione patriottica di contrasto alle politiche antinazionali delle classi dirigenti italiane. 

Il fatto è che il giudizio sul M5S e su come si muove nel processo della crisi italiana è un esercizio secondario. Decisamente più importante è capire quel che è cambiato. E qui, forzando le conclusioni, a me pare che quando in una particolare congiuntura politica si materializza un’opposizione al Partito Americano (PA) che preme per aderire sempre più strettamente alle strategie militari ed economiche dell’imperialismo occidentale, si crea anche una condizione per lo sviluppo di un programma patriottico che indichi la via per la rinascita del paese, del quale dovremmo essere protagonisti.

Ora, se le conclusioni, pur forzate, sono corrette, sembra evidente che non siamo stati capaci di ipotizzare le dinamiche e le forme della crisi politica che scorre sotto i nostri occhi. Ci siamo persi in una ricerca di alleanze o con una parte del PA o con una sinistra variegata e “arcobalenista” i cui veri interpreti pospongono sempre alla rappresentazione della loro essenza democraticista e plebea, la necessità di favorire ogni germoglio di “unità patriottica”.

Mi pare, insomma, che avremo dovuto osare di porre i temi che lo scontro politico, sempre più aspro, dovrà affrontare, al limite anche da soli. Non per entrare oggi in Parlamento ma per denunciare il tradimento del Partito Americano, la sua organica incapacità ad affrontare i problemi della crisi economica. Questo avrebbe dovuto essere il nostro fine nella campagna elettorale. Se non ce ne siamo neppure avvicinati è perché non ci abbiamo creduto. Forse una riflessione su ciò che non abbiamo fatto e che ci è costato caro, ci potrebbe illuminare su ciò che dovremo fare per rimanere nella politica nazionale.