di Rolando Giai-Levra, Direttore di Gramscioggi.org
Oltre ad essere il naturale risultato della crisi strutturale del grande capitale nazionale ed internazionale, la gravissima situazione politica che sta attraversando il nostro paese è anche il prodotto delle scelte politiche fatte dal Presidente Giorgio Napolitano. A cominciare dalla dall’azione di salvataggio offerta a Berlusconi nel dicembre 2010 che ha permesso all’ex piduista di fare una campagna acquisti di parlamentari per proseguire nel suo disastroso governo, poi entrato in crisi nel mese di novembre del 2011. Quest’ultima rappresentava una condizione naturale per andare ad elezioni anticipate con la possibilità concreta, per la sinistra e il PD, forse di poter vincere con una coalizione e un programma con un taglio sociale di centro-sinistra rivolto ai lavoratori, ai precari e ai pensionati.
Giorgio Napolitano, invece, ha voluto bloccare questo processo, che avrebbe rappresentato un passo progressista per tutto il paese, dando l’incarico a Mario Monti di formare il governo cosiddetto “tecnico” già preparato in precedenza con la sua nomina verticistica a senatore a vita. Un progetto organicamente funzionale ai poteri dell’imperialismo USA, dell’’UE e della NATO, del Vaticano, della Confindustria, delle Banche e della borghesia nazionale. Questo governo ha svolto il lavoro sporco di macelleria sociale che Berlusconi non era stato in grado di fare; perché, più preoccupato a difendere se stesso. Il Governo Monti è riuscito ad insediarsi con l’appoggio dell’UDC e del PDL; ma, anche del PD. Con quel governo sono state fatte passare le peggiori politiche contro i lavoratori: la controriforma delle pensioni, quella contro il lavoro e l’articolo 18, quelle contro la scuola e la sanità, l’aumento delle tasse, dei prezzi, dell’evasione fiscale e del debito pubblico, nonché un vertiginoso aumento della disoccupazione soprattutto giovanile e della chiusura di molte fabbriche. Dopo il risultato elettorale che ha visto il PD essere primo partito, Giorgio Napolitano ha frapposto nuovi ostacoli evitando di dare a Bersani un mandato pieno per tentare di formare un governo che se non fosse riuscito a farlo per impedimento dei “grillini”; l’avrebbe portato a sottoporsi al voto di fiducia in Parlamento e come governo dimissionario andare a nuove elezioni sotto la sua guida e non sotto quella di Monti.
Giorgio Napolitano ha continuato a far pressioni su Bersani per non limitare la sua azione verso il movimento 5 Stelle e aprirsi a larghe intese con Monti e Berlusconi. A seguito della non riuscita di Bersani a formare un governo con il sostegno del M5S con un nuovo colpo di mano il Presidente della Repubblica è passato a nominare due commissioni composte da 10 cosiddetti “saggi”, cosa mai successa dal ’45 ad oggi che di fatto indeboliscono il ruolo del Parlamento. Condivido pienamente l’analisi e le preoccupazioni che Fausto Sorini ha esposto nel suo articolo “Siamo diventati una repubblica presidenziale senza saperlo?” (www.marx21.it).
Il risultato elettorale non è stato altro che il risultato delle forze politiche delle destre berlusconiane che hanno governato fino al 2011 e proseguito, con un altro governo di destra subdolamente camuffato da tecnico come il governo Monti mai eletto dal popolo Italiano. Tuttavia nel risultato elettorale si può leggere la bocciature del Governo Monti e delle politiche di austerità dell’Europa, mettendo in evidenza il fallimento del bipolarismo, la repulsione verso l’Europa delle banche, della finanza e della macelleria sociale. In questa situazione, si è creata una condizione oggettivamente pericolosa per la tenuta delle istituzioni democratiche che consiste nella funzione ideologica che il “napolitanismo” e il “grillismo” stanno svolgendo in questa fase politica molto delicata. Napolitano, Monti, Berlusconi e il suo giovane sosia politico Renzi spingono per un governo di larghe intese (PD-PDL) compreso il buffone Grillo che non aspetta altro per urlare che è stato fatto l’inciucio. Essi sono tutti uniti, per impedire la formazione di un governo di centro-sinistra e su queste premesse politiche mi sembra che sia necessario aprire alcune riflessioni!
Arriviamo alla sinistra di “alternativa” e ai comunisti che si sono collocati nella lista di “Rivoluzione Civile” costituita dal PdCI-PRC-IDV-Verdi-De Magistris-Cambiare si può, Alba, ecc… che ha ottenuto un pessimo risultato con 765.172 (2,2%). Vale la pena ricordare che nel 2006 il PRC e il PdCI insieme contavano ben 3.113.591 voti (8%); mentre i Verdi avevano ottenuto 784.803 voti (2,06%). Di questi quasi 4 milioni di voti il 75% era già stato perso grazie alla “genialità” di Fausto Bertinotti che ha voluto dar vita alle stravaganti “idee” di “Sinistra Europea” e ”La Sinistra l’Arcobaleno” che, nel 2008, aveva ottenuto soltanto 1.124.298 di voti (3,0%). In più dobbiamo tener presente l’IDV che non è un partito di sinistra e che nel 2008 aveva ottenuto 1.634.173 voti (4,5%). Quindi, dell’insieme del 14,5% (PdCI, PRC, Verdi e IDV tra il 2006 e 2008) “Rivoluzione Civile” non è stata capace di catalizzare intorno a se non tutta; ma, neppure una parte significativa di questa massa di voti ottenendo un deludente risultato peggio ancora di quello già disastroso ottenuto con “La Sinistra l’Arcobaleno”. Ma non è andata bene neppure per SEL che fortemente condizionata dal PD ha ottenuto soltanto 1.106.784 voti (3,0%) facendo crollare le pompose aspettative di Vendola il quale soltanto poco tempo prima veniva accreditato al 6-7%, sempre dagli stessi sondaggisti.
Con molta probabilità, tutta questa situazione porterà a nuove elezioni entro l’anno e Matteo Renzi è già in campo per candidarsi insieme alla destra del PD e aprire al PDL, contro Bersani e contro tutta la sinistra ben sapendo di riproporre la possibilità reale di una spaccatura all’interno dello stesso PD. Intanto Vendola propone un “rimescolamento” tra SEL e PD e questa proposta, pare, che abbia già trovato una sponda nello stesso PD. Quindi le forze in campo sono molto chiare – da una parte Giorgio Napolitano, Monti, Berlusconi, Grillo e Casaleggio, Renzi e naturalmente la Confindustria, gli USA, l’UE e il Vaticano, sostenuti da Opus Dei, Massoneria, Comunione Liberazione il cui denominatore comune è uno solo: far fuori l’ala socialdemocratica del PD, la sinistra radicale, i comunisti, la CGIL, la FIOM e le lotte dei lavoratori.
All’interno di questo quadro politico che va analizzata la debole visibilità dei comunisti organizzati e che si è eclissata nella coalizione senza identità di “Rivoluzione Civile”. Praticamente, nelle ultime elezioni la Sinistra e i Comunisti sembrano scomparsi dalla scena politica ed è abbastanza evidente a tutti che “Rivoluzione Civile” in fondo ha provocato soltanto danni politici. Coloro che gestivano politicamente questa lista hanno dimostrato di essere dei pessimi politici e organizzatori compreso quelli espressi dai partiti; e, peggio ancora questa lista non ha dimostrato di essere all’altezza di affrontare la realtà sociale, soprattutto i temi del lavoro e i problemi della classe lavoratrice. Le posizioni che sono state assunte sui partiti erano assurde, i portavoce di “Rivoluzione Civile” quasi si vergognavano di dire che la lista era sostenuta dai partiti alimentando, in questo modo, le stesse tesi del M5S sul cosiddetto superamento dei partiti e il cui risultato elettorale sarebbe stato suffragato, addirittura, da un voto di classe come qualcuno a sinistra ha sostenuto.
Per la seconda volta (dopo l’esperienza dell’arcobaleno) la realtà ha dimostrato che non è la presenza del simbolo della Falce e Martello a far perdere i voti; anzi è stato esattamente il contrario. Chi non ha visto il suo simbolo di classe e la propria identità è finito altrove o nell’astensionismo; mentre un’altra parte di elettori che all’inizio avrebbe anche voluto votare la lista Ingroia, verso la fine, delusa dalla debolezza politica della lista, ha deciso di votare il PD o il M5S che, peraltro, è stato corteggiato anche da alcuni di “Rivoluzione Civile”. Oggi, alla luce dei fatti, non avendo un articolazione e profondo radicamento sociale è stato commesso un grave errore da chi ha pensato di cancellare i simboli comunisti, pensando di poterli sostituire con improvvisati personaggi e con altri simboli della cosiddetta società civile ancor meno radicati.
Si tratta di capire cosa è successo e quale è stato il ruolo svolto dai partiti le cui responsabilità non possono essere messe tutte sullo stesso piano e fare di tutta l’erba un fascio. Qui non si tratta di salvare questo o quell’altro gruppo dirigente; ma, se si vuole fare un’analisi politica seria è giusto mettere i puntini sulle “I”; perché a partire dal fallimento della F.d.S. gestita unilateralmente dal PRC che ha cercato di escludere sistematicamente il coinvolgimento dei comunisti e altre realtà, il gruppo dirigente del PRC ancora una volta ha manifestato tutto il suo settarismo anche in queste elezioni con la supponenza di “cambiare si può” e lavorando per impedire qualsiasi forma di alleanza tattica con il PD e SEL, oltre tutto dando per scontato e alimentando l’illusione che le destre avrebbero sicuramente perso.
I comunisti non possono più rincorrere questi gruppi dirigenti che hanno in mente tutt’altro che il pensiero comunista. Naturalmente con la minoranza comunista presente nel PRC si deve mantenere aperto il dibattito e la discussione sulla necessità dell’Unità dei Comunisti e della ricostruzione del Partito Comunista. Allo stesso modo è necessario aprire un rapporto concreto con la CGIL soprattutto con la sua sinistra sindacale e la FIOM sulla base di un programma di classe. Ricostruire il Partito Comunista deve poggiare su contenuti e parole d’ordine concrete per rilanciare la democrazia di classe nei luoghi di lavoro e di produzione, per riproporre la vera democrazia diretta e di base, quella dei lavoratori rappresentati in strutture consiliari che non c’entrano nulla con la falsa democrazia dal “basso del web” teorizzate da Casaleggio e Grillo. Attraverso questa via che si può rilanciare la cultura di classe sul controllo e la gestione del lavoro, della produzione e dei mezzi di produzione soprattutto nei grossi centri industriali, la politica di nazionalizzazioni di banche e centri economici produttivi fondamentali, la lotta contro la chiusura delle aziende anche con forme avanzate come l’occupazione della fabbrica (ben sapendo di andare contro le ali deboli e corporative del sindacato), le politiche industriali per impostare un progetto di programmazione economica democratica e partecipata nel nostro paese, ecc… Su queste parole d’ordine non è giustificata più alcuna timidezza e i lavoratori ci devono conoscere per quello che siamo e non per quello che la borghesia ci vuol far apparire e tanto meno di adeguarci noi alle classi dominanti; e cioè, dei Comunisti che indicano la strada per superare e uscire dal capitalismo e che vogliono costruire il Socialismo nel nostro paese e per realizzare questo progetto occorre un Partito Comunista con un forte radicamento sociale nella classe lavoratrice e non altro!
In questa situazione generale qual è il dibattito in corso tra i comunisti organizzati? soprattutto in un momento politico delicatissimo che riguarda il destino e la prospettiva dei comunisti nel nostro paese è necessario fare il massimo di chiarezza. È una questione fondamentale per la stessa democrazia interna al movimento operaio a cui ci riferiamo e nello stesso tempo è un dovere degli stessi dirigenti nazionali delle stesse forze che fanno riferimento al pensiero comunista. Senza i necessari chiarimenti, non c’è più un rapporto politico corretto tra dirigenti e diretti e se dovessero essere mantenute determinate posizioni, il rischio è quello della liquefazione di quello che resta dei Comunisti Organizzati in Italia sui quali pesa la responsabilità di non aver realizzato ancora dopo oltre 20 anni il grande progetto strategico della ricostruzione del Partito Comunista senza il quale i comunisti e la classe operaia e tutti gli sfruttati non vanno da nessuna parte! È evidente che dopo l’esito negativo elettorale della lista “Rivoluzione Civile”, sono esplose le contraddizioni accumulate negli anni precedenti che hanno creato un forte disorientamento nelle file dei comunisti organizzati e la lista di “Rivoluzione Civile” ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e questo non dovrebbe e non può succedere per chi ha davanti a sé la prospettiva strategica della riorganizzazione delle file comuniste il cui primo obiettivo resta l’unità della classe operaia e l’unità dei comunisti. Oggi, alcune posizioni si manifestano nelle file dei gruppi dirigenti dei comunisti organizzati:
1- Una posizione istituzionalista. A seguito del tracollo elettorale alcuni compagni dirigenti sono spinti verso soluzioni che portano i comunisti ad essere organici al PD. Si tratta di una posizione, che prospetta la liquidazione delle esperienze di oltre 20 anni che i comunisti hanno fatto dopo lo scioglimento del P.C.I. Alcuni compagni pensano che la costituzione di un gruppo parlamentare rappresenti l’obiettivo fondamentale da realizzare, senza il quale, verrebbe rimessa in discussione la stessa esistenza dell’organizzazione comunista nella sua concezione leniniana e gramsciana. Essi non comprendono che un gruppo parlamentare, indubbiamente necessario, in se stesso non rappresenta nulla senza un partito che abbia le sue radici nella classe lavoratrice e nelle masse popolari. Questo vuol dire che nelle file dei gruppi dirigenti comunisti qualcuno continua a non avere le idee chiare e confonde la tattica con la strategia e chi non ha chiara questa differenza sostanziale, secondo me, non può essere o fare il dirigente comunista. C’è qualcuno che pur di avere una presenza istituzionale e parlamentare, non si preoccupa di imboccare la strada della liquidazione dell’organizzazione comunista e se non fosse questa la ragione di fondo; allora, vuol dire che il problema si riconduce semplicemente all’opportunismo personale. In entrambi i casi non esiste giustificazione alcuna e questi soggetti si pongono di fatto al di fuori del pensiero comunista. Alcuni compagni non si rendono conto che se per ipotesi fosse stata imboccata la scelta di inserire alcune candidature comuniste direttamente nelle liste del PD e/o di SEL avrebbe portato i comunisti al loro scioglimento completo. Perché, i meccanismi di assorbimento e di omologazione del PD (data la sua forza oggettiva) sono molto forti al punto da far scomparire i comunisti cosa che chiaramente non poteva avvenire con la lista “rivoluzione civile”.
Chi fa riferimento al pensiero comunista si dovrebbe porre il quesito se la battaglia per l’ingresso nelle istituzioni parlamentari viene prima o dopo la lotta del radicamento sociale dell’organizzazione comunista nei luoghi di lavoro e di produzione? Questo vuol dire per i comunisti chiedersi se l’istituzione di un gruppo parlamentare deve essere funzionale agli obiettivi strategici di un progetto di Ricostruzione di un Partito Comunista o viceversa dovrebbe essere questo progetto ad essere subordinato all’ingresso dei comunisti e della sinistra in Parlamento? Avere un gruppo parlamentare è un obiettivo strategico o tattico? A secondo delle risposte che ognuno darà, inevitabilmente, si collocherà in una determinata posizione ideologica e politica.
2- Un’altra posizione teorizza la necessità di costruire un nuovo soggetto di sinistra, una “nuova” formazione di “sinistra di alternativa” o una sorta di “Die Linke di classe” nostrana con dentro una componente comunista, collocata alla sinistra del PD. Di conseguenza i comunisti dovrebbero ridursi in una corrente per svolgere una funzione di classe all’interno di una formazione politica genericamente di sinistra e pensare che in questo modo la loro presenza sarebbe sufficiente a garantire un’impronta di classe a questa nuova formazione politica. Non è così! Una formazione politica di classe o è borghese o è proletaria e questo vale per tutti i partiti politici. Diverse esperienze a sinistra sono fallite in questo senso anche in Europa a cominciare dal vecchio partito laburista inglese in cui sono presenti dei soggetti di orientamento marxista la cui presenza è inesistente ed è del tutto insignificante. Nella Direzione nazionale del PRC il documento di Ferrero parla appunto di un nuovo soggetto di sinistra senza identità di classe; ma, anche quello di Grassi (Essere Comunisti) che dovrebbe fare riferimento al pensiero comunista dentro il PRC non dice nulla sull’Unità dei Comunisti e per la ricostruzione del Partito Comunista e da quel che si legge, pare che la sola alternativa valida in questa fase politica sarebbe quella, appunto, di costituire una corrente comunista organizzata all’interno di un nuovo raggruppamento di sinistra. Questo modo di pensare è una forma di correntismo che ha caratterizzato l’intera vita del PRC che è del tutto estranea a quel progetto che rappresenta la pietra miliare strategica dell’unità della classe operaia. E allora con chi si dovrebbe ricostruire il partito comunista se i soggetti e le correnti presenti nel PRC sono su un altra strada? Alla fine questa soluzione l’aveva già prospettata Bertinotti con “sinistra europea” e “l’arcobaleno” i cui danni l’hanno vissuto i comunisti sulla loro pelle come hanno vissuto sulla loro pelle il fallimento di “Rivoluzione Civile”.
3- Ancora, un’altra posizione teorizza la fusione tra PdCI e PRC la cui nuova formazione dovrebbe prendere le distanze definitivamente da qualsiasi alleanza con il PD, senza rendersi conto che tale settarismo rappresenterebbe un’altra posizione che insieme alle altre due precedenti sono funzionali proprio al progetto del riformismo incarnato dal PD. C’è chi erroneamente mette sullo stesso piano e senza fare alcuna distinzione le responsabilità dei gruppi dirigenti del PdCI e quelli del PRC che sono due formazioni politiche con strategie completamente diverse l’una dall’altra. L’una si è posta l’obiettivo della ricostruzione del Partito Comunista e dell’unità dei comunista; mentre l’altra pensa soltanto e genericamente all’unità della sinistra e questo va detto! Ad esempio, c’è chi non si è degnato neppure lontanamente di dare le dimissioni dopo il pessimo risultato elettorale e addirittura con molta presunzione si permette di dire che l’esperienza comunista è superata in Italia come ha dichiarato Paolo Ferrero Segretario nazionale del PRC. In qualsiasi caso, oggi, un’ipotesi di fusione tra PdCI e PRC non trova riscontro nella realtà oggettiva; perché, anche sotto il profilo della consistenza organizzativa e quella elettorale, rappresentano oggettivamente due debolezze. La somma di queste debolezze non danno una forza; ma, una grande debolezza e chi si accontenta di dire che saranno due debolezze almeno unite, non comprende che saranno proprio le correnti ad auto logorare questa stessa formazione e al primo soffio delle classi dominanti scomparirà.
Tutti i comunisti sanno che il progetto dell’Unità dei Comunisti e della Ricostruzione del Partito Comunista era stato sottoposto anche all’attenzione del PRC e di Paolo Ferrero il quale non si è degnato neppure di dare una risposta politica e pubblica a tale proposta strategica. Poiché il PRC (vedi documento C.P.N. del 9 e 10.03.2013) ha deciso di giungere ad un Congresso straordinario per stabilire la chiusura definitiva dell’esperienza comunista e di iniziare una nuova fase con un non ben identificato soggetto di sinistra, forse con i residui di “cambiare si può”, di “Rivoluzione Civile” e di qualcun altro. Paolo Ferrero ha dichiarato che Rifondazione Comunista: “…deve innovare profondamente le modalità di funzionamento e di organizzazione, ma che rappresenta oggi – pur nelle difficoltà – la principale risorsa per la costruzione di un polo della sinistra di alternativa in Italia. In secondo luogo la necessità di riprogettare in modo unitario ed innovativo un percorso di aggregazione della sinistra antiliberista che raccolga tutti coloro che sono disponibili a questa prospettiva, a partire da coloro che la condividono all’interno di Rivoluzione Civile […].In terzo luogo il tema della ridefinizione del rapporto tra la società e la politica intrecciato con il tema della crisi della politica. In questo ambito affrontare il nodo specifico del rapporto tra il nostro partito e la società, della ridefinizione del ruolo di un partito comunista oggi. Basti pensare all’intuizione del partito sociale che è diventata solo molto parzialmente un terreno di azione concreta.”. (Direzione PRC del 06.03.2013 – http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=1497). Concretamente, in che modo oggi si potrebbe costruire insieme al PRC un progetto politico costituente di un nuovo Partito Comunista?
4- Poi ci sono altre posizioni che si riferiscono a diverse micro formazioni che si autonominano partiti comunisti di natura squisitamente massimalista e settaria che, come le altre, rendono un grande servizio al riformismo e al PD. Essi dovrebbero riflettere seriamente sulla loro vita politica, proprio partendo dall’esperienza storica del movimento comunista e dai fondamentali teorici del pensiero di Antonio Gramsci per capire se la loro stessa esistenza trova una giustificazione nella realtà oggettiva e non in quella immaginaria o virtuale che loro sognano.
Considero tutte queste posizioni residui del passato e molto funzionali al riformismo incarnato dal PD. L’obiettivo strategico dei comunisti è quello di Ricostruire il Partito Comunista di quadri e di massa! Forse non è chiaro ad alcuni dirigenti che un Partito Comunista può essere ricostruito soltanto da chi è comunista, da chi sceglie di esserlo ed è questo che ci insegna l’esperienza storica del proletariato nella sua pratica e nella sua teoria senza la quale come diceva Lenin non si realizza alcuna Rivoluzione Comunista. Basterebbe pensare ai danni provocati dalle destre del P.C.I. capeggiate da Amendola e Napolitano con i loro discepoli per capire il punto a cui siamo giunti oggi. Quindi i comunisti non possono fare altro che collocarsi nel progetto della Ricostruzione del Partito Comunista con i suoi obiettivi strategici e tutto il resto deve essere subordinato e funzionale a questo obiettivo di classe. Soltanto, in questo quadro che, di volta in volta, si devono trovare tutti i momenti unitari necessari su obiettivi che interessano le condizioni di vita dei lavoratori e su questioni internazionali su cui fare unità d’azione e mobilitare diverse soggettività politiche di sinistra e progressiste; ma, la costruzione di un soggetto politico di classe è un’altra cosa!