Riflessioni sul risultato elettorale e sulle prospettive

di Fabrizio De Sanctis

pdci bandiere simboloIntervento al Comitato Centrale del PdCI, 9-10 marzo 2013

Ci si chiede se dobbiamo continuare. Non chinare la testa è doveroso, ma in alcuni noto con preoccupazione una “sindrome Zeman”: quella di affrontare qualsiasi partita sempre con lo stesso identico schema (accordo col Pd!). Non vogliamo decidere lo scioglimento ma non possiamo immaginare la fine del Psi di Nencini. Generalizzare il dato del Molise è del tutto fuorviante. Anche in coalizione a volte non abbiamo eletto, mentre altre volte abbiamo ottenuto ottimi risultati pur non essendo alleati col Pd.

Il nostro risultato è stato comunque disastroso. Alcuni elementi non vengono affrontati e sono invece rilevanti quando si parla di “spazio politico”: 1) il risultato è molto negativo anche per le coalizioni che hanno sostenuto il governo Monti e l’austerity europea. In termini assoluti hanno perso milioni di voti e raccolgono il consenso da meno del 50% degli elettori; 2) l’astensionismo è cresciuto ancora; 3) Grillo. Che non è la causa ma l’effetto della nostra sconfitta, dell’assenza della sinistra politica, sindacale, sociale e di movimento.


Al nostro risultato contribuiscono fattori esogeni ed endogeni.

Fattori esogeni: legge elettorale; oscuramento mediatico; sondaggi (che non assicurano alcun diritto ma si rivelano dei veri e propri pilotaggi del voto); voto utile (ma non a favore del Pd e per altri con una chiara identità non funziona); la campagna elettorale della CGIL, che se in passato ha colmato delle lacune a sinistra, nell’ultimo anno si è schierata fortemente a fianco del Pd. Quest’ultimo fattore ci introduce però alle cause nostre, e questa è una delle principali, perché non abbiamo avuto una politica sindacale da troppo tempo, neanche di coordinamento dei nostri compagni.

Fattori endogeni: Rivoluzione civile, che noi abbiamo promosso e che dobbiamo ringraziare per aver portato una sintesi in un momento di gravi divisioni, non ha funzionato. Ancora una volta ci siamo presentati con una novità. La legalità è stata percepita come il fine ultimo e prioritario anche rispetto al lavoro e alla crisi. La campagna elettorale è stata idealista, perché abbiamo detto quello che avremmo fatto col 51% ma non una parola sul nostro ruolo, ad es., di opposizione. La lista unica con Di Pietro è stata poi contraddittoria e perdente.

Venendo a noi, il risultato elettorale ci dice che abbiamo ormai dilapidato il patrimonio ideale e politico ereditato dal passato. Scontiamo divisioni che risalgono alla fine degli anni ’60 (che un compagno come Longo cercò di sanare), divisioni che sono divenute aperte contrapposizioni negli anni ’70 e che non abbiamo ancora neanche pensato di rimarginare. Nel 2008 il disastro si era già verificato, con l’esclusione dei comunisti dal parlamento per la prima volta dal fascismo. Reagimmo confermando i gruppi dirigenti ma adottando la linea dell’unità dei comunisti per la quale abbiamo lavorato 4 anni, costruendo la federazione della sinistra ed arrivando alla grande manifestazione del 12 maggio 2012 a Roma. Ad ottobre invece, senza alcuna discussione interna, si è lanciato l’assurdo anatema contro il corteo del 27 ottobre, a cui a Roma abbiamo comunque partecipato. Poi a novembre si è data indicazione di voto alle primarie del Pd mentre a dicembre ci siamo ritrovati con Rifondazione dentro la lista Ingroia. I nostri elettori ci hanno letteralmente perso di vista. E’ stato molto difficile per chiunque seguire questi percorsi. Ad ogni svolta abbiamo perso compagni. Mi è stato chiesto di tutto in campagna elettorale, compreso se avessimo sciolto il partito, se fossimo con Ingroia, se fossimo col Pd o con Rifondazione. Quello che è apparso chiaro a chi è riuscito a seguirci è che l’unico fine di tutte queste scelte era quello di rientrare in Parlamento. Troppo poco, evidentemente.

Dobbiamo continuare, certamente, ma per metterci a disposizione di una ricomposizione più ampia che permetta la fine della diaspora e la costruzione in Italia di un unico partito comunista, senza il quale non può esserci alcuna unità della sinistra e alcuna lotta antifascista contro gli attuali gravi pericoli di involuzione autoritaria. Dobbiamo dare immediatamente un chiaro messaggio di discontinuità. Sono per accettare le dimissioni della segreteria (anche se ci sono responsabilità differenti) e per la immediata convocazione di un Congresso da svolgere in tempi rapidi, nel quale ci si confronti chiaramente sulla linea politica per arrivare ad un profondo rinnovamento.