di Norberto Natali
Nell’anniversario della scomparsa del compagno Sergio Ricaldone, riceviamo con richiesta di pubblicazione il ricordo di Norberto Natali.
Due anni fa, il 17 luglio 2013, moriva il compagno Sergio Ricaldone.
Era nato il 21 settembre 1925 a Milano, da una famiglia proletaria che viveva in una casa “di ringhiera”. Il padre era un antifascista, più volte condannato dal Tribunale Speciale del regime e incarcerato. Per questo motivo l’infanzia di Sergio fu particolarmente difficoltosa. Dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, ancora molto giovane, si iscrisse nel 1942 al PCI e fu tra gli organizzatori del Fronte della Gioventù di Milano.
A diciotto anni, nel 1943, iniziò a combattere come partigiano delle Brigate Garibaldi sui monti lombardi, mentre il padre –liberato dopo la caduta del fascismo- faceva parte dei GAP milanesi.
Il 5 luglio del 1944 fu catturato dai nazisti e deportato in un loro lager: continuò la sua lotta anche lì, fino ad organizzare una delle pochissime evasioni riuscite. In seguito racconterà spesso della sua esperienza nel campo di concentramento, riferendo soprattutto le sue impressioni sugli orientamenti e le scelte degli ebrei che condividevano la sua prigionia.
Della fuga basta ricordare l’episodio della “prima bevuta”. Gli evasi erano stremati e debilitati dalla prigionia: affamati, assetati, deboli. Questa situazione fu uno dei principali ostacoli all’evasione stessa: il primo compito –di lotta- era di rimanere vivi, senza cedere alla debolezza né aggravarla in alcun modo. Poco dopo la fuga gli evasi si imbatterono, presso un edificio abbandonato, in un recipiente contenente ciò che sembrava acqua, benché putrida: alcuni insistettero per berla comunque, proprio in ossequio all’obiettivo di rimanere vivi a tutti i costi. Sergio, non volle farlo e per questo fu uno dei pochi sopravvissuti di quel gruppo, insieme a quelli che avevano condiviso la sua scelta di non bere.
Dopo la Liberazione, Ricaldone riprese il suo posto di lotta, come dirigente milanese della gioventù comunista la quale, dal 1949, assunse il nome di FGCI. Negli anni ‘50 fu giovane e brillante componente della Segreteria della federazione milanese del PCI ed ebbe la fortuna (dovuta anche ai suoi meriti) di essere al fianco di grandi dirigenti proletari come G. Alberganti, A. Vaia, A. Bera ed altri ancora, mentre il Segretario Regionale era Pietro Secchia.
Successivamente la biografia di Sergio Ricaldone, in particolare dalla fine degli anni ’70 in poi, si intreccia con la storia della lotta interna al PCI (sfortunata ma densa di insegnamenti e storicamente necessaria) contro la crescente deriva revisionista prima, opportunista poi ed alla fine liquidatoria e di totale tradimento.
Fu tra gli animatori di “Interstampa” prima, dell’ “Ernesto” poi, e di “Marx XXI”. Dopo aver combattuto contro lo scioglimento del PCI, Sergio ha militato nel PRC costituendo sempre un punto di riferimento per chi si opponeva fieramente al più sfacciato avventurismo opportunista di Bertinotti mentre, successivamente, ritenne (insieme ad altre compagne e compagni) che nel PRC non vi fossero più spazi per il rilancio degli ideali comunisti e decise di aderire al PdCI, nel cui Comitato Centrale fu eletto.
È una sorprendente combinazione ricordare il compagno Sergio in una fase in cui Proletari Comunisti Italiani sta divulgando (come ha cominciato a fare il 7 luglio di due anni fa) una rilettura – con rivelazioni di fatti poco noti o nascosti – della storia del Partito Comunista Italiano, anche con la pubblicazione di una sintesi della storia della lotta interna al PCI dopo l’estromissione del compagno Secchia e dopo il suo omicidio.
Il compagno Ricaldone è stato componente del Consiglio Mondiale dei Partigiani della pace ed anche esponente milanese dell’ANPI. L’antifascismo – non di maniera o imbalsamato, ma vivacemente legato alle sue radici storiche e sociali- e l’internazionalismo sono stati, per così dire, i binari della sua vita di militante, di alfiere del socialismo, della costruzione di una società liberata dall’oppressione capitalista e dell’imperialismo. In particolare è stato attivamente impegnato, per decenni e fino all’ultimo, al fianco del popolo e del Partito vietnamiti, nonché animatore dell’associazione Italia-Vietnam.
Non va sottaciuto che Sergio è stato un amico di Iniziativa Comunista, solidarizzando apertamente con essa nei momenti più difficili e partecipando, anche pubblicamente, a sue manifestazioni. Fu in una di queste occasioni che espresse il sentimento, carico di amarezza e fierezza al tempo stesso, sofferto da molti comunisti (e non solo, forse) della sua generazione. <<Io sono segnato dalla violenza>> disse, alludendo a quella che egli patì in primo luogo dai fascisti e dai nazisti, ma anche a quella che fu costretto ad usare, per esempio come partigiano, per conseguire la pace e la libertà. Era il momento in cui Bertinotti aveva “scoperto” la non-violenza e la usava, bisogna dirlo, proprio per resettare (come si dice oggi) la storia da cui Sergio veniva e che rappresentava, nel senso migliore.
Ecco perché non solo rispettiamo, ma comprendiamo profondamente il significato della sua scelta –che potrebbe altrimenti sorprendere o dispiacere- di non volere commemorazioni o esequie pubbliche. Egli aveva legami di stima reciproca e rapporti con moltissime compagne e compagni (e non solo) di tante diverse collocazioni ed orientamenti. Tuttavia un conto sono le individuali personalità, altra cosa le forze storiche, le organizzazioni collettive e le realtà rappresentative.
Non ce n’è alcuna, oggi, in grado di costituire la continuità (effettiva e non solo idealistica) con il Partito ed il movimento internazionale che furono di Sergio Ricaldone. Soprattutto non si può correre il pericolo – osiamo ritenere che pensasse Sergio – che alcuna delle forze oggi esistenti si appropri della sua storia: finirebbe solo per contraffarla e disperderla.
Da molti anni non abbiamo mai fatto una scelta pratica uguale a quelle del compagno Ricaldone. Ciò non ci impedisce affatto di rendergli omaggio e ricordare il valore della sua figura, soprattutto perché oggi, specie gli “under 40”, non possono immaginare che un esponente politico, un dirigente benché comunista, possa avere la storia e la personalità di Sergio e di innumerevoli altri che lo hanno seguito o preceduto.
Di uomini e donne così, oggi, non si parla e ciò dipende da due fattori: il loro carattere modesto, schivo e riservato e l’impiego di tutti gli strumenti in possesso della borghesia per nasconderne (o falsificarne) l’esistenza.
In questa sede, sorvoliamo su molti aspetti –che meriterebbero di essere ricordati – del suo carattere, della sua vita privata, di quello che ha scritto, ecc. Altri lo faranno, i suoi compagni più stretti.
Noi riconosciamo in lui la ricerca – al tempo stesso l’ammissione di quel che manca – di una via per far risorgere un partito comunista in Italia e riprendere la lotta per il socialismo. Al tempo stesso non dobbiamo mai dimenticare che le nostre lotte e le nostre scelte, anche quando sono state divaricanti e differenziate dalle loro, sono state spinte e favorite anche dal contatto – o comunque dalla vita e dal pensiero – di compagne e compagni come Sergio.
Non si può dimenticare quel che faceva fino a pochissimi anni fa, perfino ottantacinquenne, sulle sue amate Alpi. Vispo e solitario, percorreva di buon passo impervi sentieri di alta quota. Vogliamo “fissare” così il ricordo di Sergio Ricaldone: continua a camminare imperterrito per trovare il sentiero che porterà alla ricostituzione del PCI, alla rivoluzione proletaria, alla salvezza dell’umanità e del pianeta.
Sergio venne a mancare mercoledì 17 luglio 2013, dopo essersi ammalato gravemente all’inizio del precedente novembre, perdita incolmabile anche per la moglie Tina, compagna di vita e di lotte, e del figlio Luca (operaio, già militante di Iniziativa Comunista, carcerato politico come il padre e il nonno).
Addio Sergio.