Quale patria per il ribelle? Parte VI

Pubblichiamo la sesta parte del lavoro di Giambattista Cadoppi

Patriottismo, sovranità nazionale, adattamento nazionale del marxismo e alleanze

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Lenin, Stalin e la questione nazionale

Lenin riconosce in misura molto maggiore dei suoi predecessori il potenziale rivoluzionario della questione nazionale. Diversamente da Engels, Lenin ritiene che la distinzione di principio sia tra nazioni che opprimono, come Russia e Gran Bretagna, e nazioni oppresse, come Polonia e Irlanda.

Garantendo un appoggio incondizionato ai tentativi di liberazione delle nazioni oppresse, i marxisti devono conquistare alleati preziosi nella lotta contro gli stati imperiali più grandi, e anche gli operai delle nazioni imperialiste devono liberarsi dai pregiudizi e dalle fedeltà nazionali che li distolgono dalla lotta di classe. Questa posizione comporta il diritto delle nazioni territorialmente distinte alla secessione e alla formazione di stati autonomi, anche nel caso in cui ciò sembra in contrasto con l’interesse dell’unita di classe e del progresso economico. Se i lavoratori hanno organizzazioni indipendenti e i partiti socialisti possano criticare gli alleati nazionalisti, è possibile allearsi con le forze borghesi.

È dovere delle nazioni progredite aiutare le altre a uscire dall’arretratezza, senza interferire sul loro carattere nazionale. Il dibattito marxista sulla questione nazionale, contenendo sin dall’inizio la contraddizione tra appartenenza di classe e appartenenza nazionale, non può non svilupparsi, come puntualmente avviene, in direzioni contrastanti. I primi dibattiti contribuiscono all’elaborazione delle politiche delle nazionalità dei paesi socialisti, ma hanno anche un’influenza notevole sul modo di affrontare il problema dopo la seconda guerra mondiale. Per la maggior parte degli stati socialisti, la questione nazionale è un problema da risolvere.

A differenza degli austro-marxisti e del Bund, Lenin è assai scettico sull’effettiva possibilità di applicare il principio nazionale su base non territoriale. Pur gestendo l’incorporamento della maggior parte dei territori dell’Impero russo nel nuovo stato sovietico, nei pochi anni in cui è al potere, Lenin sostiene attivamente i diritti delle minoranze nazionali e si batte, ancora negli ultimi tempi della sua attività di governo, contro qualsiasi manifestazione di quello che ritiene lo sciovinismo russo.

Stalin è nativo della Georgia, una nazione soggetta all’Impero zarista. Il massimo sostenitore del nazionalismo georgiano è lo scrittore Ilia Chavchavadze [1]. In campo socialdemocratico Noe Zhordania sostiene teorie più comprensive di quella di Kautsky e vicine al modello austro-marxista della comunità culturale [2]. Il bolscevico Filipp Makharadze [3] scrive che la nazione moderna è caratterizzata non solo da una comunità di vita economica e territorio, ma anche da una comunità culturale del popolo che la costituisce, L’altro bolscevico Stepan Shaumian [4] afferma che la formazione delle nazioni moderne è un processo che copre “decine e centinaia di secoli” e la centralizzazione, risultante dall’ascesa della produzione capitalistica delle merci, gli fornisce solo la spinta finale. Le nazioni sono caratterizzate da una comunità di lingue, religioni, costumi e antenati. Così la nozione di nazioni che hanno una specifica identità culturale e radici che risalgono lontano nella storia, è ampiamente condivisa tra i socialdemocratici caucasici.

Nel 1912-13 Koba [5] si reca a Vienna per studiare le opere degli austro-marxisti Otto Bauer e Karl Renner, e scrive Il marxismo e la questione nazionale, uno dei suoi maggiori contributi teorici al marxismo. In una lettera a Gorki del febbraio del 1913, Lenin loda l’autore definendolo «un meraviglioso georgiano» [6]. Il problema affrontato è quello dell’autodeterminazione dei popoli, una questione di grande attualità negli imperi multinazionali come la Russia e l’Austria-Ungheria. Il rivoluzionario georgiano si oppone in particolare alle tesi sull’argomento di altri socialdemocratici come i menscevichi russi oppure il Bund ebraico. Stalin è molto critico verso la tesi di Bauer e Renner di coltivare l’identità culturale delle nazioni indipendentemente dai confini nazionali.

L’insistenza sul territorio nazionale non contraddistingue solamente la posizione di Stalin da quella degli austromarxisti, ma anche i suoi successivi tentativi di favorire la creazione di unità territoriali etnicamente distinte in Unione Sovietica (Van Ree 2002 :310).

Secondo Stalin, e anche Lenin che è il committente del saggio del georgiano, i partiti socialdemocratici devono rimanere unitari, non organizzati sulla base di sezioni nazionali (come avviene nel partito austriaco) e nel Bund russo, per garantire l’unità della classe operaia.

L’autore però concede alle minoranze il diritto all’autodeterminazione e persino alla separazione dallo stato russo. Stalin inserisce la questione nazionale all’interno del principio marxista della lotta di classe.

Ancora più importante, l’accettazione da parte di Stalin della “comunità culturale”, come caratteristica distintiva delle nazioni, ha rappresentato il risorgere di quella nozione presente nell’opera di autori come Zhordania, Makharadze e Shaumian. Nonostante il rigetto di alcune delle tesi di questi ultimi egli capisce che l’identità culturale delle nazioni non può essere rifiutata, recuperando anche i contributi dei suoi vecchi compagni caucasici.

Renner e Bauer creano un modello, adatto per un paese in cui le nazioni vivevano in aree non omogenee, ma miste, favorendo un sistema di “autonomia culturale nazionale” nelle regioni eterogenee del loro impero multinazionale austro-ungarico. Nel loro modello marxista di autodeterminazione nazionale, i cittadini si iscrivono individualmente in base alla nazionalità e formano istituzioni collettive per amministrare e sviluppare i propri affari culturali. Questo è un programma di autodeterminazione che serve principalmente alla conservazione dell’identità culturale delle nazioni. Per Karl Kautsky, che era di nazionalità ceca, la nazione moderna è un prodotto del capitalismo la cui caratteristica distintiva è la comunità del linguaggio e quella del territorio mentre è tralasciata la componente culturale.

Nel primo capitolo del saggio del bolscevico georgiano compare la definizione, destinata a rimanere famosa, della nazione come «una comunità stabile, storicamente formatasi, che ha la sua origine nella comunità di lingua, di territorio, di vita economica e di conformazione psichica, che si manifesta nella comune cultura» (Stalin 1913: 321). Questa è una definizione sintetica che fonde concezione di Kautsky della nazione basata su due sole “comunità” – di lingua e territorio – con l’approccio “culturale” degli austro-marxisti. Stalin crede che le comunità culturali esistano realmente con persone che vivono vite dentro una comunità. Per Stalin la nazione non è un’unità né razziale, né tribale, ma una comunità del popolo formatasi storicamente. Nondimeno nel saggio del 1913 è presente il retaggio dell’idea di Engels che esistano nazioni d’avanguardia con un maggior grado di universalità e modernità mentre altre siano destinate a soccombere.

Stalin ha iniettato il tema patriottico nel marxismo in un modo più esplicito di chi lo ha preceduto. Nel corso degli anni Trenta e Quaranta le sue implicazioni divennero sempre più significative. Stalin appartiene a una tradizione di patriottismo rivoluzionario che risale, attraverso il marxismo, al pensiero giacobino della Rivoluzione francese importato in Russia dall’Europa occidentale nel diciannovesimo secolo. Joseph Stalin promuove un concetto civico di “patriottismo rivoluzionario” in Unione Sovietica per cui gli interessi della nazione sono meglio serviti dal cambiamento rivoluzionario che è un buon esempio di patriottismo popolare. Secondo Hobsbawm, ci sono continui sviluppi teorici, nella traiettoria marxista post-1918 con l’affermazione di una “coscienza nazional-cittadina-patriottica” in grado di attribuire alla lotta di classe una “dimensione civico-nazionale” (Hobsbawm, 1992: 170-71).

Solo il socialismo può produrre una comunità veramente unificata. Dalla prospettiva patriottica in cui si muove Stalin, il capitalismo indebolisce la patria sia moralmente sia organizzativamente. Il comunismo si deve imporre sull’egoismo immorale della borghesia e sulla natura frammentata del sistema capitalista.

La Rivoluzione francese per Stalin ha attraversato i confini della Francia riversandosi sull’Europa come un potente fiume. In seguito aggiunge con orgoglio che le eroiche azioni rivoluzionarie del giovane proletariato russo hanno suscitato approvazione in tutta Europa. Gli operai tedeschi spingono i loro leader a organizzare la lotta “alla maniera russa”. A seguito della rivoluzione russa il proletariato francese prende coraggio e minaccia la borghesia con una seconda Comune.

Dai primi anni del secolo fino alla rivoluzione, Joseph Stalin è un patriota ma il suo patriottismo rimane rigorosamente di tipo rivoluzionario. La Russia per Stalin è sul punto di diventare la nuova avanguardia della rivoluzione mondiale, un paese che sta per superare Francia e Germania nel far avanzare il progresso mondiale. La Russia è il detonatore dell’esplosione che distruggerà il vecchio mondo, il primo paese a edificare il socialismo attraverso la coalizione del proletariato con i contadini (van Ree 2002: 82).

Robert Tucker sostiene che nei primi anni Venti Stalin rappresentava il “patriottismo rosso russo” tra i bolscevichi in quanto insiste sulla Russia come la nazione rivoluzionaria più avanzata all’interno dello stato multinazionale (Tucker 1977).

Come Commissario del popolo delle nazionalità, adotta comunque l’identità culturale come elemento di politica delle nazionalità. Si ritiene che la soluzione adottata dalla Russia Sovietica del federalismo nazionale (in gran parte promossa da Stalin come Commissario alle Nazionalità) induca il presidente americano Wilson a proporre la sua famosa “dottrina” per risolvere la questione nazionale in Europa, per timore che la propaganda bolscevica faccia breccia in Occidente e per evitare che sia risolta alla maniera sovietica. Diciamo che, con i suoi «Quattordici punti», Wilson gioca in anticipo la carta nazionalista.

Base di questo processo e guida nella realizzazione dei futuri rapporti tra i popoli e le nazionalità, è la “Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia”, firmata da Lenin e Stalin e promulgata il 2 novembre 1917. In questa “Dichiarazione”, scritta da Stalin, sono affermati i principi fondanti dei futuri rapporti tra i popoli e le nazionalità della Russia: diritto alla libera autodeterminazione fino alla separazione e alla formazione di uno stato indipendente; diritto alla sovranità, all’uguaglianza; abolizione dei privilegi; sviluppo completo (politico, economico, sociale e culturale) delle minoranze nazionali e delle etnie presenti sul territorio russo.

Che il diritto all’autodeterminazione non fosse solo sulla carta lo dimostrano le repubbliche che si resero indipendenti dall’Unione Sovietica. L’URSS in questo senso fu una inventrice di nazioni come ci spiega Hobsbawm che in realtà non chiesto mai l’indipendenza in periodo sovietico:

Nel caso dell’Unione Sovietica, fu il regime comunista a creare delle «unità nazionali amministrative» su base territoriale etnico-linguistica — ovverosia delle «nazioni» nell’accezione contemporanea — in aree dove nulla del genere era mai esistito e neppur vagheggiato, come nel caso delle popolazioni musulmane dell’Asia o, per questo specifico aspetto, dei Bielorussi. L’idea di repubbliche sovietiche basate sulle «nazioni» kazhaka, kirghisa, uzbeka, tagika e turkmena fu un’elaborazione teorica degli intellettuali sovietici assai più che una profonda aspirazione di queste popolazioni centroasiatiche (Hobsbawm, 1992: 197).

«L’idea che questi popoli, in conseguenza dell’«oppressione nazionale» o di una presa di coscienza islamica abbiano sottoposto il sistema sovietico a una pressione insostenibile sino a determinarne il crollo», è più un’idea che si è formata in Occidente dopo il crollo dell’URRS che non la realtà mentre in realtà: «l’Asia centrale e rimasta politicamente immobile sino al crollo dell’Unione Sovietica, […]. Il nazionalismo sviluppatosi in queste repubbliche e fenomeno postsovietico» (Hobsbawm, 1992: 197-98).

Bibliografia

Hobsbawm, Eric J. 2002. Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà. Piccola Biblioteca Einaudi Ns.
Stalin Josif Vissorionivich 1913. Il marxismo e la questione nazionale in Opere complete. Edizioni Rinascita 1950, Vol. II, pp. 320-414.
Stalin 1923. Rapporto sugli aspetti della questione nazionale nell’edificazione del partito e dello Stato svolto il 23 aprile 1923 al XII Congresso del PC(b)R. in Opere complete. Edizioni Rinascita, Vol. V.
van Ree Erik 1994. Stalin and the National Question, Revolutionary Russia, VII (dicembre 1994), n. 2, pp. 214-38.
van Ree, Erik 2001. “Lenin’s Last Struggle” revisited. Revolutionary Russia, 14(2), 85-122.
van Ree, Erik 2002. The Political Thought of Joseph Stalin A Study in Twentieth-Century Revolutionary Patriotism, London, Routledge.
Tucker Robert C. 1977. Stalin il rivoluzionario 1879-1929. Milano, Feltrinelli.

NOTE

1 Nazionalista conservatore, nel 1895 pubblicò nel suo giornale Iveria cinque poesie dell’allora diciassettenne Josif Dzugasvili (Stalin), che le scrisse con lo pseudonimo di Soselo.

2 Noe Zhordania (1868-1953), menscevico georgiano presidente della Repubblica della Georgia. Questo stato fu sostenuto dalle truppe ottomane e tedesche fino alla resa della guerra nel 1918 e poi dai britannici. Affrontò numerosi conflitti con l’Armenia, i bolscevichi dell’Abkazhia e la Repubblica Sovietica del Kuban-Mar Nero fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa nel 1920.

3 Filipp Makharadze (1868-1941), vecchio bolscevico georgiano. Presidente del Comitato Rivoluzionario Georgiano si oppose a Sergo Ordzhonikidze durante “L’affare georgiano”. Fu presidente del Gosplan transcaucasico, del Soviet Supremo e direttore dell’Istituto del Marxismo-leninismo.

4 Stepan Shaumian (1878 –1918). Nato in Georgia ma di origine armena fu a capo della Comune di Baku. Vittima del terrore bianco.

5 Lo pseudonimo originario di Stalin, come rivoluzionario ossia Koba, rimanda a un eroe nazionale georgiano.

6 Lettera a Gorki in Lenin, Opere complete, vol. 35, p. 53. L’articolo di Stalin Il marxismo e la questione nazionale apparve sui nn. 3, 4 e 5 del 1913, della rivista Prosvestcenie, cui collaborava Lenin (Stalin 1950). In due lettere a Kamenev, Lenin definisce il lavoro di Stalin “molto buono” e in seguito scrive che Stalin ha esposto “le fondamenta del programma della socialdemocrazia” (Van Ree 1994: 222). Van Ree ritiene che nelle sue riflessioni sulla questione nazionale e l’imperialismo scritte durante l’esilio in Siberia ed esposte in una lettera a Kamanev, Stalin abbia anticipato alcune delle tesi espresse poi da Lenin nel suo saggio sull’imperialismo.