Quale Partito Comunista all’altezza dei tempi?

di Marina Alfier

Il contributo della compagna Marina Alfier alla “tribuna” sulle prospettive dei comunisti

Rileggo alcuni appunti di qualche tempo fa e concentro l’attenzione su una riflessione che ho espresso in uno dei tanti congressi a cui ho partecipato nella mia lunga vita politica; un congresso forse di qualche anno fa, quando ho aderito senza molta convinzione al pdci.

“ricostruire il partito comunista nuovo e’ oggi la nostra priorita’, non tanto perche’ sia necessario dare un senso al nostro essere comunisti o al nostro appartenere, ma perche’ e’ la storia che ce lo chiede; e’ lo sfacelo che abbiamo davanti a chiedercelo e ad imporci urgenza:la nostra classe, i ceti deboli ed indeboliti dalla crisi ci impongono risposte,ci impongono la ricostruzione prima di tutto di una linea politica assente da troppo tempo;ci impongono capacita’ di mobilitazione, di essere guida politica, di essere avanguardia, insomma ci impongono di essere comunisti all’altezza dei tempi”.

Ne ero convinta allora, ne sono sempre stata convinta e lo sono tuttora. E’ un’impresa titanica e ardua lo so, ed e’proprio per questo che ritengo arrivato il momento di dissipare la confusione che regna nell’arcipelago delle sigle che si richiamano al comunismo, tutte degnissime di attenzione, ma lontane dal configurarsi come partito “all’altezza dei tempi”.

L’oggi ci impone una capacita’ di analisi che recuperi lucidita’,razionalita’ e idealita’ priva di nostalgie, poiche’ pur essendo attualissima la contraddizione capitale/lavoro essa ci si presenta con sembianze diverse da come l’abbiamo conosciuta, letta ed interpretata. Dobbiamo porci domande, altrimenti il nuovo partito comunista si reggera’ sulla sabbia.

Abbiamo davanti una carta geografica che non e ‘ piu’l stessa del secolo scorso;interi continenti cambiano fisionomia, introdotta da guerre che non avevamo mai visto durante l’equilibrio della “guerra fredda”. Abbiamo conosciuto una classe operaia che aveva coscienza di se , abbiamo indagato per decenni il modello di fabbrica unitario, quello dei grandi insediamenti industriali e quindi delle grandi concentrazioni di proletariato; abbiamo di fronte uno scenario cambiato e sconosciuto in cui si e’ parcellizzato, frantumato e cancellato il lavoro e con esso anche la figura del “proletario” facendolo regredire ad una condizione di sottoproletario, ricattabile, privo di dignita’ e sempre piu’ sfruttato; una “massa” priva della coscienza di se’ che ha inseguito i miti della societa’ dei consumi e di un mercato solo apparentemente impazzito, tutto dedito ad una programmazione economica finalizzata all’accumulazione del massimo profitto, fino  alla crisi in cui e’ saltato l’equilibrio tra le classi sociali. La guerra tra poveri e’ cio’ che ci rimane.

Considerato tutto questo e’ necessario prendere atto della realta’ e da questa partire; semmai dovessimo soffermarci sulle “colpe” da attribuirci io penso che il nostro peccato originale sia l’aver sempre sottovalutato la forza dell’avversario di classe, la grande capacita’ del capitale di mutare, di rinnovarsi, di ricomporsi. Certamente il capitalismo, prima o poi implodera’ (e gia’ si notano le avvisaglie) ma temo che prima implodera’ tutto il resto, non prima di aver ridotto alla fame l’intera umanita’, averla schiavizzata; insomma quella “barbarie” che karl marx lucidamente definiva.

Con tutto questo abbiamo a che fare oggi; con questo scenario dovra’ misurarsi il partito comunista nuovo.

La domanda che sorge spontanea e’: abbiamo capito tutti di cosa stiamo parlando? Quando sento afermare della rinascita del pci (di quel pci che smise di vivere alla bolognina) mi vengono i brividi; non tanto per questa mia incapacita’, lo ammetto, di provare nostalgia, di cui sembra tanto impregnata questa fase costituente; quanto piuttosto perche’ sento sulla pelle che, ancora una volta, stiamo mancando l’obiettivo. Una fase costituente seria avrebbe dovuto seguire un altro percorso, ovvero quello dell’indagine impietosa delle ragioni per cui la rifondazione comunista non ha retto l’urto partendo dall’indagine proprio del partito maggiore di provenienza, il pci (di gramsci, togliatti, longo e berlinguer).

Capire perche’ il pci ha fatto la fine che conosciamo e’ sicuramente importante almeno per  dissipare la grande illusione che ancora e’  presente nella testa e soprattutto nel cuore di molti comunisti, ma ancora piu’ importante  e’ capire perche’ la rifondazione comunista ha perso il futuro, sempre che ne avesse veramente uno….

I due partiti sono tra loro inscindibili nella storia e nel decorso.

Il vero partito comunista  italiano (privo di infiltrazioni) e’ sicuramente quello che va dal 1921 al trattato di yalta, pur con le inevitabili ambiguita’ presenti durante la guerra di liberazione e dovute a quello specifico contesto. Con yalta il mondo venne spartito e noi siamo rientrati nell’area atlantica, senza sbocco e senza futuro. Sono convinta che tutto il gruppo dirigente di allora, compreso pietro secchia, avesse consapevolezza di cio’. Un “destino segnato”dunque, ma restavano da convincere i molti comunisti che avevano combattuto la guerra partigiana e che da poco e non proprio convintamente avevano consegnato le armi; loro che aspettavano la rivoluzione e l’arrivo dei russi; vi assicuro che nelle zone del confine orientale questa aspettativa e’ stata molto presente e per lungo tempo. Diffusa era la certezza, e non solo tra i comunisti, che l’esercito yugoslavo di tito avrebbe sfondato. E’ nota la frase di togliatti ferito nel’attentato : “mi raccomando il partito”; si temeva che quella fosse la provocazione che averebbe dato il via a moti rivoluzionari in tutto il paese. Egli sapeva bene che nel partito c’era questa dicotomia tra la realta’ e le aspettative, nota come la “doppiezza del pci“.

Appurato dunque che il pci, da un certo punto in poi, ha perso le sue caratteristiche rivoluzionarie e di avanguardia, diventando “partito di massa” compatibile con il sistema  e produttore di una serie di formule (la via italiana al socialismo, la tranquillita’ sotto l’ombrello della nato, il compromesso storico e molte altre ancora), si comprende meglio il suo decorso e la fine scontata e irreversibile della bolognina. Un partito che ha raggiunto l’apice nel 1975-76 per poi cominciare una lenta ed inconsapevole decrescita. Ormai l’obiettivo era stato raggiunto : la perdita dello spirito rivoluzionario e di cambiamento, l’adattamento delle masse al sistema, insomma quell’omologazione tanto cercata e riconducibile alla socialdemocratizzazione degli utlimi anni prima della fine; la neutralizzazione di qualsiasi velleita’ di trasformazione.

Dovrebbe dunque interessarci molto di piu’ capire come mai, poco dopo la devastazione della bolognina, si sia ricomposta una forza come rifondazione comunista, risultata essere la sommatoria delle necessita’ di un contenitore di tanta dispersione e in continuita’ con un passato “da poco” e mai sufficientemente elaborato.

La costituente del nuovo partito comunista avebbe dovuto prima di tutto indagare, sbobinare la sequela di vicissitudini che ha caratterizzato la nascita e la vita, se pur breve, di una rifondazione che non ha mai smesso di rifondarsi, abortita prima della nascita di un partito comunista che avrebbe dovuto esserne la logica conseguenza; rifondazione dalla quale siamo passati tutti, anche coloro che poi sono approdati ad altre organizzazioni sedicenti comuniste e semplicemente membri sofferenti di quella diaspora che sembra non avere fine.

Chiedersi il perche’ rifondazione comunista nasca come contenitore transitorio di soggetti con i piedi in due staffe, una nel nascente pds e l’altro nella neonata rc; chiedersi il senso di questo limbo irrisolto,sfociato ogni volta in una scissione: gli ingraiani, i garaviniani, i cossuttiani e i vendoliani ….e chi piu’ ne ha piu’ ne metta! Chiedersi il perche’ di un ’98 che perfino dai suoi animatori viene il giudizio severo di apparente “inutilita” (solo apparente pero’!).

Chiedersi il perche’ una nascente formazione comunista che si pone il problema dell’alternativa al capitalismo, la consegni nelle mani dell’eclettico bertinotti che dopo averla portata in auge (secondo logiche del sistema dominante) la rade al suolo nell’arco di un congresso (2005).

Tutti questi perche’ e forse qualche altro che tralascio per brevita’  dovevano diventare condizione essenziale di un processo costituente, fatto alla luce del sole, senza peli sula lingua, al fine di evitare ulteriori errori.

Basta osservare con un po’ di attenzione, scevra da opportunismi politici, per accorgerci di analogie non casuali nella destrutturazione dei due piu’ grossi partiti comunisti in italia dal dopoguerra ad oggi:il pci e la rifondazione comunista.

Mi pare paradossale che chi si accinge a costruire un partito comunista nuovo siano quegli stessi soggetti, piu’ o meno dirigenti, che hanno fatto questo percorso non certo glorioso e trovo perfino inquietante che alla fine di un processo costituente senza la necessaria analisi di cui sopra, rispunti, come dal nulla, perfino la stessa simbologia frantumatasi alla bolognina.

Evidentemente mi sono persa qualche puntata, io firmataria dell’appello, se alla fine questo e’ il risultato! Qualcuno ce lo aveva detto che sarebbe rispuntato il pci ? A dire il vero qualche avvisaglia il 12 luglio scorso si percepiva! Dispiace solo che alle giovani generazioni, protagonisti del prossimo futuro, si consegni semplicemente un maquillage ricostruttivo e non un vero strumento per aggredire il contesto cosi’ come lo vediamo e lo viviamo da comunisti tutti i santi giorni……peccato si e’ perso altro tempo prezioso!

Se non si coglie che dai cambiamenti intervenuti a livello internazionale ci sono presupposti importanti per costruire una piattaforma seria di un partito comunista nuovo; una piattaforma che preveda l’uscita dalla nato e che sia contro la guerra prima di tutto, ma  che sappia parlare alla gente partendo da bisogni reali che nel paese emergono in continuazione, se non si coglie tutto questo vuol dire essere politicamente miopi. Ecco perche’ proporre un “partito di massa” come si sta facendo significa non dire la verita’ e perpetuare una mistificazione che serve solo all’avversario. Sarebbe piu’ utile e salutare per tutti ripensarci come un partito di quadri preparati e in grado di intervenire quotidianamente sulla realta’ che abbiamo davanti e soprattutto non abbagliati dai continui richiami che il sistema mette in atto per distrarci proprio dalla costruzione di un partito comunista vero; se riuscissimo a fare questo avremmo gia’ fatto un lavoro importante.