di Gianni Favaro
Riceviamo dal compagno Gianni Favaro e pubblichiamo come contributo per il dibattito a tutto campo sulle prospettive dei comunisti in Italia.
Ci auguriamo che a questo articolo e agli altri finora pubblicati ne seguano altri, contenenti analisi che, sebbene non coincidenti fra loro ma nell’ambito di un confronto anche franco, ma costruttivo e di rispetto reciproco (aperto a tutti i comunisti, con o senza tessere), consentano di approfondire aspetti relativi alla fase complessa e di difficoltà che sta attraversando il movimento comunista nel nostro paese.
Inizio, questo mio contributo, con una piccola premessa di carattere personale.
Sono stato tra i primi cento firmatari dell’appello per la ricostruzione del Partito Comunista, nella mia già lunga militanza politica dal 1972 sono stato iscritto alla FGCI e poi al PCI. Nel PCI torinese e nazionale sono stato segretario di sezione e membro del Comitato Centrale quando segretario nazionale era Alessandro Natta. Fondatore del Movimento per la rifondazione comunista e tra i delegati, al congresso di Rimini che decretò lo scioglimento del PCI e la nascita del PDS, che uscirono dalla sala. Membro della Direzione Nazionale e del Comitato Politico Nazionale del PRC fino al congresso che ha eletto segretario Ferrero, Segretario regionale Piemontese e infine Segretario della Federazione PRC di Torino. Mi fermo qui per non tediare troppo chi avrà la curiosità di leggere il mio punto di vista ed anche perché gli anni successivi alla mia uscita dal PRC sono, come quelli di molti altre e molti altri compagni, anni segnati dalla delusione e dalla chiusura nel privato.
Perciò quando alcuni compagni piemontesi e lombardi mi proposero di aderire all’appello, nonostante le riserve e i dubbi, decisi di mettermi a disposizione di quel percorso.
Oggi però ho, mio malgrado, deciso di non partecipare più a quel processo per il quale ho firmato un appello. Sento il dovere di spiegare il perché.
In primo luogo perché strada facendo mi sono reso conto che, in realtà, l’appello non ha raccolto le adesioni che avrebbe forse meritato, anzi persino diversi dei firmatari della prima e dell’ultima ora si sono ritirati dal percorso costituente.
Bisogna allora chiedersi il perché l’appello non è stato raccolto e persino abbandonato da chi lo ha sottoscritto.
In questi mesi ho avuto modo di notare che lo spirito inclusivo unitario e di apertura a tutti i comunisti dichiarato nell’appello non era poi tale.
Penso che la ragione principale di questo “rifiuto” derivi dal fatto che il corpo principale che si è fatto promotore dell’iniziativa è, ovviamente, il PdCI che sì ha il merito di aver promosso l’iniziativa ma ne è anche l’elemento che “zavorra” l’intenzione annunciata nell’appello di costruire “una forza organizzata non settaria, attenta agli sviluppi della dinamica politica, legata organicamente al mondo del lavoro e non opportunista, che si ponga in grado di orientare e condizionare da un punto di vista di classe il processo di aggregazione della sinistra.”
Il PdCI, come il PRC, hanno tali responsabilità nella deriva dei comunisti in Italia che nessuno dei due partiti può pensare di trainare un progetto così ambizioso come quello della Costituente. Ecco, secondo me, la ragione principale della scarsa adesione, perché la stragrande maggioranza delle compagne e compagni militanti, quadri che si sono allontanati da quei partiti comunisti e che sarebbero sinceramente interessati ad un percorso di questo tipo, non si sono fidati dell’appello promosso e sostenuto dagli stessi gruppi dirigenti che hanno determinato il disastro in cui ci troviamo.
Un esempio? In piena fase di preparazione della costituente il gruppo dirigente del PdCI (divenuto nel frattempo PCdI con atto burocratico) scrive una lettera aperta al gruppo dirigente del PRC per iniziare un percorso unitario esterno alla costituente. Ecco: in un colpo solo si smentiscono tutte le buone intenzioni dell’appello ribadendo che non si sta andando verso una fase nuova, aperta e inclusiva dove ognuno può parteciparvi e contare. E invece no, perché ci sono dei “soci di maggioranza” che fanno valere il peso di struttura organizzata.
Si tratta dello stesso errore commesso nella fase costituente del PRC: un partito nato sulla base di accordi tra “componenti” diverse che mai si sono omogeneizzate in un unico progetto e che hanno condizionato anche con continue scissioni legate alla partecipazione o meno a governi socialdemocratici, la deriva e il distacco dei comunisti dal Paese.
No, compagne e compagni, quello che si sta costruendo ora non è quello per cui ho sottoscritto l’appello, ma è purtroppo la reiterazione, in piccolo, degli sbagli commessi nel 1991. Quello che si sta facendo con la costituente non è un processo ampio e unitario bensì una fotocopia con qualche “copia e incolla” del vecchio PdCI.
Cosa questa del tutto rispettabile ma limitata nei numeri e nel tempo. Non sarà certo sufficiente qualche richiamo a Berlinguer o a Togliatti per imbellettare un progetto diventato via via piccolo, piccolo.
Ciò che mi ha insegnato quest’ultima esperienza (per me negativa) è che non ci sono scorciatoie se vogliamo davvero rilanciare un progetto comunista e un Partito Comunista in Italia.
Bisogna ricominciare da zero: via tutte le vecchie sovrastrutture, i vecchi apparati e ciascuno di noi rinunci a difendere il proprio fortino e insieme (testa a testa) si costruisca un nuovo progetto. Si costruisca l’uomo nuovo (per citare Gramsci) che da comunista diventi agitatore e organizzatore dei conflitti e delle nuove organizzazioni sociali e produttive che anticipino il mondo nuovo che immaginiamo e proponiamo.
Per queste ragioni penso, contrariamente a quanto scritto nei documenti, che in questa fase storica non ci sia bisogno di un Partito di massa (con chi? Per cosa?) ma di quadri militanti che siano formati ideologicamente e politicamente, che agiscano sui luoghi di lavoro e nella società.
Ad esempio la scelta di svolgere i congressi costituenti sulla base degli iscritti e non sui partecipanti effettivi ripete, anche in questo caso, gli errori antichi dei vecchi partiti (PdCI e PRC) che nei congressi valorizzarono il tesseramento (con tutte le conseguenze dei signori delle tessere) sulla militanza politica.
Infine avviare un percorso costituente “inclusivo” con atti escludenti molto “politici” e discutibili sul piano del merito e del metodo e con una prassi nei territori tesa a bloccare qualsiasi partecipazione di compagne o compagni non aderenti ai promotori organizzati siano essi PdCI o ex PRC o Associazione è per me la conferma di tutti i timori che avevo all’inizio di questa esperienza e che ho provato ad esprimere in queste mie brevi considerazioni.
Buon lavoro a tutti e tutte.