Per un rafforzamento di classe e unitario dei comunisti

di Erman Dovis, Comitato Centrale Pdci

prospettivepericomunisti banner“è necessario promuovere la costituzione organica di un partito comunista, che non sia un’accolita di pensatori dottrinari o di piccoli Macchiavelli, ma un partito d’azione comunista rivoluzionaria, un partito che abbia coscienza esatta della missione storica del proletariato e sappia guidare il proletariato all’attuazione della sua missione, che perciò sia il partito della classe operaia e delle masse lavoratrici, che vogliono liberarsi coi propri mezzi, autonomamente, dalla schiavitù politica e industriale attraverso l’organizzazione dell’economia sociale, e non un partito che si serva delle masse lavoratrici per tentare imitazioni eroiche dei giacobini francesi.” Antonio Gramsci, tratto da L’Ordine Nuovo, 3 Luglio 1920.

Attualità

Alla base di ogni crisi capitalistica vi è sempre la teoria scientifica, dimostrata da Marx, del plusvalore, quella parte di valore cioè, che è creata dalla produzione del lavoratore e non viene pagata da chi possiede i mezzi di produzione.


La ricerca sfrenata del massimo profitto da parte dei monopolisti sta sprofondando l’umanità nella sua crisi più devastante.

Si acuisce la contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione fondati sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.

Il crack del 1873, la depressione economica che ne seguì, il sorgere delle prime concentrazioni monopolistiche possono essere considerati l’inizio della crisi generale del sistema di produzione capitalistico.

Oggi ristrettissime oligarchie industriali/finanziarie manovrano per assumere il dominio diretto delle nazioni, controllano e dirigono i settori strategici della produzione e dunque della vita dei paesi, decidono secondo l’interesse appunto del massimo profitto, determinando feroci politiche di distruzione di forze produttive e umane.

I monopoli transnazionali hanno raggiunto una forza economica ed un peso così possente nell’economia mondiale, che superano i bilanci statali e la produzione industriale di diversi paesi capitalistici messi insieme. Sono proprio questi monopoli, questa spaventosa e crescente concentrazione della ricchezza in poche mani a determinare oggi la fisionomia dell’imperialismo, da Lenin definito lo stadio monopolistico del capitalismo.

Circoli monopolisti imperialisti impongono dunque lo straordinario potenziale militare del Pentagono e della Nato per aggredire e balcanizzare uno dopo l’altro gli Stati nazionali, causando immani sofferenze alle masse lavoratrici ridotte in schiavitù, affamate, espropriate, costrette a drammatiche migrazioni.

La Libia devastata dalle bombe Nato e derubata, le fomentazioni e i crimini perpetrati contro la Siria di Assad, i recenti bombardamenti in Afghanistan mediante i droni americani, ci mostra l’imperialismo nel suo volto più spietato.

In Europa questa politica di distruzione delle forze produttive prosegue con altrettanta violenza, attraverso privatizzazioni selvagge, requisizioni di denaro, attacchi allo Stato Sociale, ai diritti acquisiti, alle Costituzioni democratiche. Distruttive ristrutturazioni monopoliste sconvolgono le filiere industriali, sacrificando le masse lavoratrici.

Peugeot annuncia ottomila licenziamenti; Ford, Caterpillar, Bridgestone, Goodyear chiudono importanti fabbriche europee e ristrutturano le restanti imponendo licenziamenti di massa, e aumentando forsennatamente i ritmi di lavoro.

Nell’attuale epoca, il capitale si concentra in sempre meno mani, in cartelli monopolistici sempre più potenti. La sua centralizzazione assume una dimensione sovranazionale: le economie nazionali non costituiscono più come un tempo entità autonome, ma sono anelli delle grandi catene multinazionali. Ed è così che alla fermata dell’acciaieria Ilva di Taranto, per mano della magistratura, si registra il blocco degli stabilimenti in Tunisia e Francia. La vertenza Arcelormittal, cominciata in Francia, si è estesa al Benelux e alla Germania.

I monopoli, attraverso la creazione di propri organismi intergovernativi come la Bce impongono un commissariamento finanziario generale delle nazioni e dei governi, che divengono loro ostaggi. Di fatto, si privatizzano e si distruggono gli Stati, i partiti, i sindacati, le ultime istanze democratiche. I parlamenti sono svuotati di ogni funzione legiferante, le decisioni passano direttamente per le mani di ristrette oligarchie, senza mediazione alcuna. La fascistizzazione europea in corso (vedi anche il sovvertimento della nostra Costituzione e le svolte presidenzialiste plebiscitarie) sospingerà il continente verso la guerra civile .

I nostri problemi

L’esito delle recenti elezioni politiche rappresenta per i comunisti un epilogo, del tutto prevedibile, di un’offensiva pluritrentennale condotta dalle oligarchie di questo paese, e diretta contro i lavoratori, i comunisti, le forze democratiche, le istituzioni stesse; resa possibile da un incessante lavoro di egemonia culturale che ha allentato la sensibilità delle coscienze, ad affievolire la natura di classe dei partiti comunisti fino alla sistematica estromissione della classe operaia dalle sue storiche funzioni dirigenti. Ciò ha comportato una mancata ed adeguata risposta di classe dei comunisti in rapporto al violento attacco sferrato.

Dopo la grande vittoria sul nazifascismo, la classe operaia, le masse lavoratrici e popolari hanno giustamente ritenuto sconfitta la borghesia monopolista, e si sono allentati i vincoli di controllo e vigilanza di classe nei propri partiti. Il nemico monopolista, profittando di ciò, si è insinuato con la sua influenza nefasta, seminando illusioni riformiste e alimentando nazionalismi. La classe operaia è stata così progressivamente allontanata dalle sue funzioni dirigenti nei partiti comunisti, relegata nella passività, e sostituita da altre classi. Ciò ha favorito un distacco dalla realtà, un’analisi degli eventi sempre più slacciata dalla lotta di classe, e quindi astratta. Si è affermato un revisionismo moderno che ha prodotto indebolimenti, lacerazioni e costanti divisioni nei partiti comunisti, che hanno facilitato il successo delle politiche antisocialiste condotte dall’imperialismo, fino alle estreme conseguenze: la fine dell’Urss e dei paesi del socialismo reale, la dissoluzione del P.C.I., l’offensiva violentissima lanciata dai monopoli all’indomani di questi eventi.

Nel dibattito odierno si parla tanto e forte, ma di questioni secondarie, spesso per giustificare un disorientamento figlio di una insufficiente visione di classe, che risente inevitabilmente delle influenze revisioniste che da cinquant’anni minano il movimento operaio: in effetti, a ben guardare, spesso si è vittime di influenze piccolo borghesi, non si tiene conto della realtà concreta ma dei desideri e dei personalismi, non la si analizza dialetticamente. Schematicamente, il revisionismo moderno consiste nell’aver ceduto all’interno delle nostre organizzazioni, a concezioni borghesi e piccolo borghesi.

C’è chi sostiene che sia conclusa la fase storica del partito comunista, e vede l’impegno dei comunisti all’interno di un partito di sinistra, e non sarebbe la prima volta che succede: sono tesi che ricompaiono all’indomani di ogni tornata elettorale, come reazione alla sconfitta. E’ bene non farsi illusioni su questo aspetto: l’offensiva violenta del monopolismo ha frantumato ogni ipotesi di riformismo, e non si tornerà più indietro.

Allo stesso modo, ma da sinistra, c’è chi si irrigidisce su posizioni pseudo-radicali, parla di “costituenti dal basso”, di unificazione(scioglimento?) con organizzazioni movimentiste e demoproletariste, di nuovi modi di pensare, parla di “polo di sinistra antiliberista”, parola che in sé non significa assolutamente niente. Il concetto che passa è quello del “mettiamoci insieme in fretta, perché così forse superiamo la nottata”. La questione di classe non è affrontata, oppure lo si fa in maniera liquidatoria, non mostrando fiducia nei lavoratori, sostenendo anzi il superamento della centralità della classe operaia nel partito, occultando la questione della produzione e il controllo della produzione. Si alimentano tensioni che minano l’unità del Partito, la cosa più importante, e proprio nel momento in cui c’è maggior bisogno dei comunisti, quando l’attacco sferrato dal monopolismo è di portata devastante.

Non è corretto sostenere che “il Partito deve praticare un’alleanza sociale con i lavoratori, con la classe”, perché implicitamente si considera l’operaio quasi come qualcosa di estraneo, un mondo lontano, al massimo uno strumento da utilizzare. Sono atteggiamenti purtroppo superficiali, pseudo-intellettuali, a volte boriosi, che aumentano il distacco dai lavoratori.

Si danno letture degli accadimenti internazionali che tendono a scindersi dal conflitto capitale-lavoro, per apparire come una semplice contrapposizione interstatuale (la Germania colonizza l’Italia… la Finlandia attacca il Portogallo…) alimentando nei popoli pericolosi nazionalismi, proprio come pianificano ardentemente i padroni monopolisti, che spingono verso la guerra.

Questi sopraelencati sono tutti ragionamenti estranei al proletariato, pur se a volte presentati con una seducente confezione di estrema sinistra, massimalista, che deludono i lavoratori, allontanandoli , aumentando i rischi di dissoluzione dell’essere classe del Partito.

Si aprono così spazi alle forze clerico-fasciste, le quali faciliteranno l’aperta dittatura terroristica del monopolismo, come del resto sta accadendo.

Il rafforzamento del Partito

E’ completamente errata ogni teorizzazione che camuffa lo scontro tra le classi: certe affermazioni nascondono il carattere di classe delle forze in lotta, negano la funzione dirigente della classe operaia, negano la lotta di classe come forza motrice della storia. Negano la contraddizione fondamentale, tra classe monopolista e classe lavoratrice, e la sua derivazione, tra popoli e nazioni oppresse e imperialismo. La società si divide in classi, non in mondi o zone geografiche: le nazioni e gli Stati sono connotazioni che le classi si danno.

La crescita e il rafforzamento di un partito comunista non dipendono in assoluto dal suo posizionamento tattico; Lenin definì il Partito comunista, il reparto cosciente e organizzato dell’avanguardia della classe operaia.

Antonio Gramsci ebbe a chiarire: “ E’ certo che il Partito non può essere solo un partito di operai…ma è da respingere energicamente, come controrivoluzionaria, ogni concezione che faccia del partito una “sintesi” di elementi eterogenei, invece di sostenere senza concessioni di sorta che esso è una parte del proletariato, che il proletariato deve dargli l’impronta che gli è propria e che al proletariato deve essere garantita nel partito stesso una funzione direttiva..”

La sua forza sta quindi nella capacità di costruirsi come partito della classe operaia con influenza di massa. La classe operaia, per via della sua posizione centrale, organizzata e consapevole che occupa nel processo produttivo, è la sola capace di un ruolo dirigente, di unire il proletariato, gli intellettuali organici, i ricercatori d’avanguardia. Quando il lavoratore, educato dal suo partito, apprende la teoria scientifica marxista, leninista e gramsciana, è in grado di esprimere appieno le sue posizioni di classe, e allontana le concezioni piccolo-borghesi che favoriscono i settarismi e le divisioni.

Questo è un concetto fondamentale, perché senza teoria rivoluzionaria e di classe, senza coscienza di classe non vi può essere partito comunista, non vi possono essere neppure movimenti di lavoratori, non prende forma nessuna lotta persino per battaglie immediate.

Il Partito Comunista, così proletarizzato, e unito nella sua organicità, non segue gli avvenimenti, li precede. Non si accoda al movimento operaio, lo dirige. Non alimenta divisioni in ambito sindacale, ma mostra un atteggiamento di classe costruttivo e coerente, secondo l’esempio unitario della classe operaia. E questa sua unità è lo strumento per perseguire obiettivi di lotta per rivendicazioni immediate, per il miglioramento delle condizioni generali di vita delle classi lavoratrici, ma in un legame organico alla lotta per la trasformazione rivoluzionaria  della società. Infatti la classe operaia è quella avanguardia del proletariato che più realizza l’unità tra pensiero e azione, tra teoria e pratica, tra ricerca e produzione, tra conoscenza e trasformazione. Questa profonda consapevolezza unitaria ha da sempre contraddistinto il Pdci, una ricchezza che non solo non deve andare perduta, ma ulteriormente arricchita. Ecco cosa significa Partito di quadri e di massa: ogni militante deve essere impegnato nello studio, nell’approfondimento e nell’azione, e essere presenti in ogni luogo del lavoro. Oltre a ciò, il Partito educa ed eleva la coscienza di classe delle masse, parlando linguaggio semplice e concreto, ad esempio personalizzando la ricchezza nell’ambito dello scontro di classe, dando un volto alla classe avversaria: si deve prendere consapevolezza che dietro le società commerciali, dietro i colossi industriali e finanziari esistono grandi famiglie miliardarie. La retorica dei poteri forti, delle banche e del mercato anonimo crea rassegnazione e paura, la concretezza di sapere chi hai di fronte aumenta la determinazione. Questo vale anche per le elezioni, collocandole all’interno di un processo più ampio, funzionale a un lavoro di proselitismo nelle fabbriche e nelle piazze : è il cosiddetto “camminare su due gambe”.

Contemporaneamente è fondamentale legarsi in azioni comuni di lotta europee, una forte unità politica con gli altri partiti comunisti del continente, perché non si può rispondere con soluzioni nazionalistiche isolate ad una centralizzazione monopolista sempre più sovranazionale. Del resto lo stesso PCd’I di Gramsci nacque come sezione italiana della Terza Internazionale.

La prospettiva socialista continentale è un aspetto fondamentale su cui siamo in ritardo d’analisi.

Unità dei comunisti e Fronte Democratico

Il monopolismo determina la massima concentrazione di capitale e la massima scomposizione del lavoro. Il decentramento produttivo pianificato e messo in atto dai grandi monopoli ha frazionato ed esternalizzato intere fasi di produzione, fino a creare pulviscoli di piccole e piccolissime aziende. Il fatto che questo fenomeno abbia avuto in Italia un ruolo straordinario, non è un caso né una peculiarità, come dicono in tv. E’ accaduto perché l’Italia aveva il più grande partito comunista d’occidente. Questa pratica, pianificata scientificamente, combinata al processo di revisione all’interno dei Partiti comunisti, ha disarticolato e accentuato la divisione della classe operaia e dei lavoratori, alimentando la diaspora comunista. Nel corso degli anni, queste divisioni si sono sedimentate; la stipulazione sempre più accentuata di contratti d’area peggiorativi, di contratti deroga, una nuova giungla retributiva ha sostituito le vecchie gabbie salariali peggiorando le condizioni dei lavoratori. Lo spostamento d’investimenti del capitale monopolista verso il settore terziario ha prodotto nuove fasce di lavoratori super-sfruttati, come i dipendenti di Autogrill del padrone Benetton, proprietario di mezza Patagonia, presente nei consigli di amministrazione di importanti aziende strategiche, gestore e monopolista assoluto della quasi totalità della rete autostradale italiana e di tutto il servizio di ristorazione di ferrovie, autostrade e aeroporti di Italia e Spagna. Queste profonde divisioni del proletariato devono essere interpretate dal Partito, per rafforzare l’unità della classe operaia e il suo sistema di alleanze in una prospettiva di rivendicazioni immediate e di presa del potere politico. L’assemblarismo e gli appelli alle unificazioni sono una via di fuga all’apparenza allettante, una scorciatoia volontaristica che produce divisioni ancora più dolorose e devastanti: se ci volesse così poco, avremo da anni risolto i problemi.

L’unità dei comunisti non va confusa con la ricostruzione del Partito. Per unità dei comunisti intendiamo unità d’azione, che deve essere per forza di cose eterogenea. La ricostruzione del partito viceversa, necessita di un lungo percorso di educazione di classe, omogeno e costante, una decantazione quasi; per unirsi bisogna prima definirsi. Mettere insieme un minestrone per fare numero rivela una concezione anti-dialettica e astratta della realtà, borghese ed elettoralistica. In definitiva, la vera unità dei comunisti ha la sua base nella classe operaia, nella sua concezione scientifica marxista del mondo, che esprime l’esperienza storica della lotta di classe, che legge la realtà e lotta per cambiarla. Per questo la battaglia per riportare la classe operaia in funzione dirigente è fondamentale, perché solo così il Partito può vincere le divisioni portate dell’astrattezza borghese, e unire la classe operaia e i lavoratori, gli intellettuali organici e i ricercatori, e di conseguenza i comunisti.

Funzione dirigente della classe operaia, unità dei lavoratori, unità dei comunisti: tre processi unitari per una unica grande unità. L’assemblarismo spontaneista divide, le esperienze passate( Rifondazione) e recentissime(Fds) lo dimostrano, e se si saltano questi passaggi dialetticamente legati, il processo si blocca: è come quando una parte dell’organismo non funziona, se non lo curi si ammala tutto il corpo.

Oggi la disoccupazione raggiunge livelli drammatici, così come la cassa integrazione in deroga. Al generale impoverimento dei lavoratori si somma un inesorabile peggioramento della condizione della piccola e media borghesia. I licenziamenti, l’abbassamento dei salari e la riduzione del potere d’acquisto delle masse popolari da una parte, la generale sofferenza e lo smantellamento delle piccole e medie imprese dall’altra attraverso la riduzione dei finanziamenti e il ritardo della riscossione dei crediti che vantano verso i monopolisti, sono aspetti di una realtà concreta che fa considerare come storicamente necessaria un’alleanza tra queste due classi, ferocemente azzannate dal potere oligarchico monopolistico. Un partito così autonomo dalle influenze antiproletarie, rafforzato dalla forte coscienza di classe dei lavoratori, si adopererà per costruire e guidare il Fronte Democratico antimonopolista, in stretto legame con le organizzazioni progressiste e comuniste d’Europa; un ampio schieramento di forze progressiste e democratiche fondamentale per disarticolare le trame del nemico principale, per porre un argine alla fascistizzazione dell’Europa in corso, per mano di un pugno di sfruttatori. Anche alleandosi, in certe situazioni, a certe circostanze, col nemico secondario. Essere alla direzione di questo Fronte non significa necessariamente che ciò venga riconosciuto dagli alleati progressisti e democratici: è sufficiente che la nostra linea politica sia conseguente, conforme agli interessi delle masse e capaci di unire tutti coloro che si possono unire contro il nemico principale; respingere le imposizioni monopoliste di Wall Street e Maastricht, utilizzare i contrasti tra questi e allo stesso interno dell’Unione Europea, sottoposta a feroci tensioni. Il tentativo di comporre l’Europa capitalista all’interno di uno stato federale, è un progetto che viene da lontano, ma le profonde contraddizioni inter-monopoliste impediscono questo passaggio definitivo.  In definitiva, fermo restando la struttura capitalistica, lo Stato Europeo non si farà mai, perché come disse Lenin: sono lupi e si sbraneranno. Gli eventi sembrano dimostrarlo con forza.

Il Pdci ha sempre compreso quest’antico insegnamento marxista: la linea dei tre cerchi non solo non è venuta meno, ma (forse anche paradossalmente) è stata drammaticamente confermata alla luce dello sviluppo degli eventi in corso. E’ il PdCI che, uscito dal Congresso di Rimini, ha capito la complessità di questa fase, e l’ha affrontata, in condizioni difficilissime.

Mussolini, per isolare la classe operaia sedusse i contadini, migliorando la mezzadria. Oggi la classe monopolista sta facendo lo stesso, allettando la piccola e media borghesia, e lo fa in maniera intelligente: proprio mentre gli scatena contro un attacco di inaudita violenza, cede su contenuti, valori e principi più insulsi di queste classi, per dare l’illusione a questi di avere un peso nelle scelte. Ecco perchè si promuove questo clima culturale così modesto, questo sistema di valori tipicamente piccolo borghese. In questo scontro mortale tra la classe monopolista e la classe operaia, vincerà la classe che isolerà l’altra. C’è poco da giocare quindi con le frasi scarlatte, con i proclami giacobini radicali e seducenti, con sterili contrapposizioni a sinistra, che ricordano forti rivalità calcistiche.

Nonostante la distruzione dell’Urss, nonostante la devastante offensiva monopolista che ci ha frantumato, il drammatico isolamento in cui la classe operaia e i lavoratori sono confinati, nonostante la condizione di assoluta marginalità che i comunisti e i progressisti vivono, tanti sono coloro i quali si rifanno al comunismo, e si definiscono tali, in maniera più o meno compiuta.

E’ una cosa molto buona, perché significa che esiste ancora una volontà di opporsi a un sistema assolutamente ingiusto, che produce disoccupazione, miseria, guerre.

Semplificando uno slogan tanto in voga di questi tempi, ci si chiede: ha ancora un senso essere comunisti? Chi è comunista oggi?

Oggi è comunista chi non rinnega il Partito di Antonio Gramsci, chi afferma i valori e i principi organizzativi leninisti del partito. E’ comunista oggi chi è consapevole che la battaglia fondamentale è quella per riportare la classe operaia alla sua funzione dirigente. E’ comunista oggi chi non subisce il condizionamento della borghesia monopolista, sia esso si manifesti con caratteristiche riformiste che massimaliste. E’ comunista oggi chi ha la capacità di legare intimamente le lotte rivendicative immediate, necessarie ai lavoratori, con la lotta per la trasformazione della società, nel senso del potere politico.

E’ comunista oggi dunque chi si batte contro il potere dei monopoli, delle multinazionali, contro l’imperialismo e contro l’avanzante reazione neofascista, in una visione organicamente continentale di lotta, come risposta alla centralizzazione sovranazionale del capitale, e lavora per l’unità politica dei comunisti europei. E’ comunista oggi chi legge gli avvenimenti del mondo come lotta di classe, e combatte per cancellare lo sfruttamento dettato dalla ricerca del massimo profitto. E’ comunista oggi, chi è intimamente convinto, che la spallata decisiva al potere dei monopoli e il passaggio alla Nuova Società avverrà per mano consapevole, cosciente e dirigente della classe operaia guidata dal suo partito comunista, alla testa del Fronte Democratico antimonopolista.

O non avverrà.

L’avanzamento del proletariato, e quindi il rilancio del Partito dipenderanno dalla capacità della classe operaia di svolgere la sua funzione dirigente, cioè pensando e muovendosi in modo autonomo, al di fuori e contro l’influenza culturale della borghesia monopolista, che impone ai partiti visioni piccolo-borghesi, favorendo la divisione, la frammentazione e l’isolamento.