Per il rinnovamento

di Luca Vanzini, iscritto PdCI

prospettivepericomunisti bannerLa grave debacle elettorale pone tutti noi comunisti davanti ad una terribile prospettiva; ci aspettano infatti non solo altri 5 anni fuori dal Parlamento, ma anche 5 anni senza alcuna sinistra in Parlamento. Non è infatti possibile ricondurre alle tematiche del lavoro alcuna forza parlamentare, visto che i partiti entrativi o hanno preso apertamente le posizioni del capitale, o assumono un atteggiamento al di sopra delle classi, appoggiando quindi il capitale.

Emerge quindi prepotentemente la necessità di riorganizzare il partito per meglio rispondere alla fase corrente. In particolare, bisogna garantire, quanto meno, la sopravvivenza del movimento comunista in Italia in una dimensione superiore alle inutili logge settarie. 


A questo fine, è infatti opportuno ricordare che la nostra pesante sconfitta è stata dovuta, sì, in massima parte all’evidente accerchiamento mediatico e politico che abbiamo subito. Tuttavia, a ciò ha contribuito anche una serie di errori strategici e tattici compiuti dal partito. In particolare, il perdurare della divisione PdCI/PRC e l’assenza di una chiara linea a lungo termine sono i due punti di maggior rilevanza. Rinnovare il partito è quindi un’esigenza prioritaria per rilanciare il nostro ruolo nella politica italiana che non si esaurisce nel ruolo istituzionale. Detto questo e lasciata l’analisi della sconfitta ad altri luoghi più idonei, questo articolo esporrà nell’ordine questi tre punti: rapporto PdCI/PRC, rapporto FGCI/partito e rapporto comunisti/altri partiti.

Partendo dal nodo principale, in questi anni è emersa chiaramente la necessità di una fusione tra PRC e PdCI. Infatti, sia da un punto ideologico che da uno strutturale, non esistono più differenze tali da giustificare due partiti separati. In primo luogo, dal punto di vista organizzativo, negli ultimi anni i due partiti hanno collaborato ampiamente, completandosi e aiutandosi in vari territori. Questo ha creato numerosi benefici tipici delle economie di scala; più militanti hanno potuto organizzare eventi più grandi, discutere più approfonditamente e reggere meglio l’urto delle progressive batoste elettorali. Inoltre, in molti territori, ciò ha permesso il mantenimento di una soglia minima di militanza per restare operativi e garantire la sopravvivenza dei partiti. A tutto ciò si aggiunge l’attuale accerchiamento che rende imperativo unire le forze e concentrale per ottenere il massimo effetto. Una ulteriore dispersione della militanza sarebbe quindi suicida e porterebbe alla scomparsa del partito da molti territori. Al contrario, la fusione dei partiti potrebbe dare lo slancio necessario per attivare un processo centripeto di aggregazione comunista in Italia.

In secondo luogo, le differenze ideologiche sono in gran parte inesistenti o irrisorie. Basta pensare brevemente al programma di Rivoluzione Civile per capire che sulle questioni di sostanza c’è una consonanza di idee e visione. Inoltre, le ragioni dell’originaria divisione sono ormai da tempo superate, visto che sono migrate in SEL. Dall’altro lato, le questioni su cui permane una divisione, che esistono e non vanno ignorate, ricadono in tre categorie: quelle campate in aria, quelle risibili e quelle ininfluenti. Le prime rappresentano tutte quelle differenze che gli stessi militanti creano per poter dire che esistono differenze. Esempio topico potrebbe essere il referente politico in Grecia, se il KKE o Syriza. Si tratta insomma di discussioni infinite sul sesso degli angeli che però non hanno alcuna ricaduta sulla nostra situazione attuale. Le seconde, quelle risibili, riguardano posizioni diverse, ma che attraverso la dialettica interna e il centralismo democratico potrebbero essere risolte facilmente generando una sintesi superiore, con ovvi benefici per il partito. Ne è un esempio la posizione sul sindacato di riferimento, se la CGIL o l’USB. Si tratta quindi di differenze non sempre banali, ma in ogni caso ricomponibili senza eccessive difficoltà. In ultimo, le differenze ininfluenti riguardano quei grandi temi, quali l’URSS, Assad o la Cina, su cui però la nostra azione è ininfluente. Cioè si tratta di argomenti al di fuori della nostra portata o temporale (l’URSS) o d’azione (Assad). Ergo, nelle presenti condizioni, non giustificano divisioni secondo il principio di rilevanza: “il partito agisce solo dove può ottenere risultati”.

Detto questo, in terzo luogo, le differenze strategiche, cioè elettorali, sono campate in aria, per due ragioni. In primis, ambedue i partiti hanno mantenuto un atteggiamento ambivalente, mancando di una chiara strategia nella relazione col centrosinistra. Inoltre, ci sono stati parecchi vacillamenti ideologici, che quindi fanno già venire meno la tesi delle differenze inconciliabili secondo un presunto rigore ideologico non pervenuto. In secundis, la questione non si pone nemmeno perché è chiaro, ormai da tempo, che il centrosinistra non vuole alleanze con noi ed è quindi inutile discutere sul se la vogliamo noi. La strada è dunque già stata tracciata e nelle condizioni attuali non vi è altra scelta che l’andare da soli.

Giustificata quindi l’unione di PdCI e PRC, bisogna passare al secondo punto, cioè il rapporto tra la giovanile e il partito. La tesi che qui va sostenuta è piuttosto radicale; cioè è necessario invertire i ruoli e organizzare il partito intorno alla FGCI. É noto a tutti infatti che l’unica via per restituire forza al partito è la militanza giovanile. Attraverso questa cresceranno nuovi dirigenti, si restaurerà un rapporto con la società nel lungo termine e si propagherà la presenza del partito prima nelle scuole, poi nelle università e poi nei luoghi di lavoro ed infine nelle stanze dei bottoni, col naturale crescere, maturare ed invecchiare dei militanti. Bisogna, in sostanza, ricominciare il ciclo vitale della militanza. A tal fine la FGCI deve diventare il nucleo dell’azione del partito, che assumerà una posizione di supporto, ideologico e materiale, per la propria giovanile. Nel dettaglio, membri della FGCI devono partecipare attivamente alla vita del partito a tutti i livelli e in presenza significativa, allo scopo di essere allenati per essere la futura classe dirigente. Non è quindi irrealistico aspettarsi che, ove possibile, la FGCI esprima fino al 50% dei membri dei vari organi collegiali, inclusa la Segreteria Nazionale. Parallelamente, massimo impegno deve essere profuso nel tesseramento della FGCI, con l’obiettivo minimo in 5 anni di triplicare gli iscritti e raddoppiare le sezioni. Tale compito dovrà espletarsi attraverso una militanza costante dei giovani, appoggiata dalla parte adulta del partito con mezzi e supporto politico. Oltre a ciò, il partito dovrà impegnare le proprie risorse per la formazione dei militanti più promettenti con apposite scuole. Tutto questo è la premessa inevitabile per il rilancio del partito.

Detto quindi anche questo, è giunto il momento di terminare col rapporto tra comunisti e centrosinistra. Esso non deve cadere vittima di pregiudiziali sì o no. Tuttavia deve basarsi su una chiara analisi fatta dal partito, attraverso la propria sintesi interna, su obiettivi, condizioni e alternative. In particolare, andrebbe istituito un gruppo di lavoro nazionale con lo scopo di proporre strategie di lungo periodo, la cui mancanza negli ultimi 5 anni è stata altamente deleteria per il partito. A tal fine, bisogna parallelamente condurre un lavoro di analisi e progettazione anche sui territori per arrivare preparati alle scadenze elettorali. In questa maniera, il gruppo di lavoro nazionale dovrebbe coordinare quelli regionali e fornire materiali ed appoggio teorico sul piano delle alleanze. In generale quindi, si può dire che la relazione del partito col centrosinistra debba essere basata sul massimo ricavo per il partito stesso e debba essere, al tempo stesso, imperniata sull’analisi del gruppo di lavoro.

In conclusione è possibile riassumere la necessaria riforma del partito in tre slogan: unità dei comunisti, centralità dei giovani e visione di lungo periodo. Con queste tre azioni il partito può tornare ad un ruolo importante nella vita politica del Paese, senza si rischia l’irrilevanza irreparabile.