Partito di massa o con influenza di massa?

ricostruirepc logo finaledi Giorgio Raccichini, PCd’I Federazione di Fermo | pdcifermano.wordpress.com

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Per un comunista l’idea dell’organizzazione che bisogna dare al partito non è un aspetto secondario e puramente tecnico, ma è parte integrante della linea politica, in quanto senza un’organizzazione efficiente ogni programma rimarrebbe sulla carta. Questo può valere per tutti i partiti, ma soprattutto per un partito comunista che, sebbene sia aperto a militanti provenienti da diverse classi sociali, si propone di realizzare la visione del mondo della classe operaia alleata con tutti i ceti sfruttati.

La nota formula del “centralismo democratico” che bandisce l’organizzazione correntizia è, come noto, l’espressione degli interessi unitari delle classi sfruttate. I partiti borghesi sono invece normalmente interclassisti e organizzati per correnti, ognuna delle quali esprime gli interessi di una o di un gruppo di classi sociali o addirittura di frazioni interne di una stessa classe sociale; sono partiti in cui evidentemente emergono contrasti antagonistici che si ricompongono nella realizzazione dell’interesse di classe specifico di quei ceti borghesi che esprimono un forte potere economico. Insomma, in un partito borghese può militare anche lo sfruttato, ma non saranno i suoi interessi a prevalere, bensì quelli di chi lo sfrutta. In un partito comunista, invece, i lavoratori, i salariati, gli sfruttati sono protagonisti reali dell’attività politica, perché lottano per i propri interessi di classe, che sono poi quelli della stragrande maggioranza della popolazione.

Quando, dopo la famosa svolta di Salerno, il Partito Comunista Italiano decise di assumere la fisionomia del partito di massa, aperto a diverse classi sociali e alle grandi masse, si avviava verso un percorso irto di ostacoli e problematiche, in un contesto generale tuttavia favorevole, che sembrava proteso verso uno sviluppo inarrestabile del socialismo su scala nazionale e internazionale. Ma come intendere la categoria di partito di massa? Non sono un profondo conoscitore della questione e delle diverse posizioni allora presenti sul campo. Inizialmente mi pare che l’impostazione fu sostanzialmente la seguente, che io ritengo corretta: se il partito comunista si apre a categorie di persone che esprimono una visione del mondo solo vagamente ispirata ai valori del socialismo o addirittura concordi con aspetti limitati del programma comunista, allora è vitale per il partito rafforzare la sua organizzazione di quadri, avere cioè a tutti i livelli quadri ben formati e capaci allo stesso tempo di educare e di indirizzare il lavoro delle masse interne al partito. All’inizio, inoltre, fu correttamente mantenuta un’organizzazione fondata sulla prevalenza delle cellule di lavoro rispetto alle sezioni territoriali, dal momento che nelle seconde il protagonismo degli operai e dei lavoratori poteva essere imbrigliato dalle maggiori capacità oratorie di esponenti dell’intellettualità borghese.

Col passare degli anni, tuttavia, questi aspetti che facevano del partito comunista un partito della classe operaia e allo stesso tempo un partito di massa si andarono molto probabilmente affievolendo. Al suo interno emersero le correnti più disparate, fino a che quella propriamente comunista non fu messa in minoranza; alla fine il partito comunista si trasformò in un partito socialdemocratico: il cambio del nome e del simbolo fu solo l’ultimo atto di una trasformazione interna in opera già da tempo e nell’89 giunta già a conclusione.

Si può forse oggi proporre di ricostruire il Partito Comunista Italiano? Non è possibile: primo, non si può tornare indietro nel tempo e riprodurre le stesse condizioni storiche che resero possibile quell’esperienza; secondo, la storia del PCI fu talmente complessa e varia che non può rappresentare in toto un modello.

È oggigiorno impossibile, sia per la crisi generale della forma-partito classica sia per la frammentazione del mondo dei lavoratori, pensare ad un partito comunista di massa: non solo non riuscirebbe nell’intento di organizzare al suo interno masse di persone, ma sarebbe anche fin da subito aperto a correnti disparate che ne minerebbero l’unità politica, organizzativa e ideologica. Non è forse stato questo uno dei problemi più importanti che ha vanificato il lavoro di tutte le principali organizzazioni sedicenti “comuniste” nate successivamente allo scioglimento del PCI?

E allora? La linea del “partito di quadri con influenza di massa” rimane oggi l’unica da percorrere: un partito comunista numericamente non grande, che lavora coeso per realizzare un programma chiaro e tenendo ferma la prospettiva della costruzione del socialismo, può avere un’influenza sulle masse e mutare gli equilibri politici e sociali nel nostro Paese e contribuire alla lotta internazionale contro l’imperialismo. Deve essere un partito aperto, ma allo stesso tempo diretto a tutti i livelli da quadri con una buona o discreta preparazione sotto il profilo politico e ideologico e in cui si faccia una vera e propria formazione politica.

Giorgio Raccichini, PCd’I Federazione di Fermo