Mestre 21 febbraio 2015 – Ricostruire il Partito Comunista

Intervento di Giorgio Langella, direzione nazionale PCdI

Stiamo assistendo a fatti di estrema gravità che dimostrano chiaramente come le forze dell’imperialismo mondiale stiano portando il mondo sull’orlo del baratro di una guerra globale. Non solo. Sono ormai all’ordine del giorno tentativi di destabilizzazione di democrazie parlamentari e di trasformazione di forme di governo costituzionali in oligarchie autoritarie.

Vorrei fare alcuni brevi esempi presi dalla storia recente.

La vittoria di Syriza in Grecia (e non dobbiamo dimenticare la contemporanea affermazione del KKE) ha comportato una levata di scudi da parte della troika che comanda l’Europa e della sedicente democrazia statunitense. È bene sottolineare come gli USA, qualche giorno fa, abbiano rivolto al governo e al popolo greco minacce non tanto velate.

Si poteva leggere sull’Ansa questa notizia: “Monito Usa alla Grecia: Senza accordo conseguenze gravi. È l’ora dei fatti”. Cosa significa? E qual è il ruolo degli Stati Uniti nella trattativa tra Grecia e UE? Le conseguenze gravi prospettate dagli USA cosa vogliono dire? Sanzioni? Politiche di destabilizzazione violenta simili a quelle create a Kiev in piazza Majdan dagli Stati Uniti stessi, dalla Nato e da esponenti della UE? Il popolo greco ha risposto con grandi manifestazioni a sostegno del governo che ha eletto. Io credo che la capacità di mobilitazione dimostrata dalla sinistra e dai cittadini ellenici abbia impedito che la minaccia statunitense potesse avere seguito.

In Venezuela è stato sventato un colpo di stato contro il governo regolarmente e democraticamente eletto del presidente Nicolás Maduro. Così come successe nell’aprile del 2002 con il colpo di stato e l’arresto di Hugo Chavez (poi liberato grazie alla mobilitazione popolare e al rifiuto di parte dell’esercito di assassinarlo), dietro a questi tentativi golpisti si vedono gli Stati Uniti che non accettano una America latina indipendente e autonoma dalle loro imposizioni. La gravità di quanto successo qualche settimana fa è ampliata dall’assoluto silenzio tenuto dai mezzi di informazione italiani in particolare.

La situazione medio-orientale resa sempre più drammatica dall’irrisolta questione Palestinese (resa sempre più devastante dalla protervia e dalla violenza del governo israeliano) e dalla distruzione mirata degli stati laici di quelle regioni (Iraq, Libia, Siria) conseguita dall’occidente con il finanziamento economico e la fornitura di armi dato a formazioni terroristiche come l’attuale ISIS e la situazione in Ucraina (un coacervo di menzogne e falsità costruite da un “occidente” che pretende di comandare il mondo a suo piacimento) dimostrano la salute della quale gode il “moderno” colonialismo. Per quanto riguarda il nostro paese, le dichiarazioni di “lady pesc” Mogherini e le azioni del governo Renzi dimostrano un vassallaggio umiliante rispetto alla politica imperialista e guerrafondaia di USA e NATO. È una posizione da sudditi dell’impero che evidenzia la progressiva e voluta perdita di sovranità nazionale da parte del nostro paese e di altri paesi della UE. Una perdita di dignità che deve essere contrastata con decisione e con una azione precisa che non può e non deve mai essere confusa con quel “nazionalismo negativo” e reazionario che abbiamo già conosciuto. Dobbiamo, invece, metterci in gioco. Studiare, analizzare e imparare dalle esperienze dei paesi dell’America Latina che dopo decenni o secoli di vassallaggio e di sudditanza hanno sviluppato forme rivoluzionarie di un “nazionalismo” che unisce quei popoli fino a poco tempo fa divisi in un’unica nazione costruendo una vera e propria coscienza di classe transnazionale. Una politica che ha radici profonde e antiche e che deriva dalla visione di Simón Bolivar e José de San Martin e che fu approfondita da marxisti rivoluzionari sudamericani del passato come Mariategui che indicavano dover costruire una unica Nazione formata e governata da chi era oppresso perché contadino, operaio o appartenente a popoli indigeni e, per questo, discriminati che si estendeva “dalla Patagonia al Rio Bravo”. Una vera e propria coscienza di classe che, in Italia, è stata cancellata un poco alla volta dall’accettazione del trionfo di quel pensiero unico che vede nel capitalismo l’unica forma di società possibile. La decisione di porre termine all’esperienza del PCI, unita alla nascita di decine di organizzazioni comuniste conflittuali tra loro, rissose, spesso ignoranti e interessate a una sopravvivenza garantita più che altro grazie a una presenza ininfluente nelle istituzioni piuttosto che a un progetto di costruzione di una società di liberi e uguali dove sia bandito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha contribuito alla cancellazione dei diritti conquistati in decenni di lotta. Il capitalismo, quello più arrogante e cialtrone, sta trionfando proprio perché ha potuto imporre la propria “cultura”, cioè quella assenza di principi diversi dal profitto a tutti i costi. Una vittoria ingigantita dall’assenza di un forte, solido e unito partito comunista e alla presenza di una sinistra parcellizzata e impegnata a guardare il proprio ombelico.

La situazione disastrosa nella quale versa la politica italiana è ben descritta da alcuni esempi che vorrei richiamare.

Renzi durante i funerali dell’industriale Michele Ferrero ad Alba ascolta contrito le parole pronunciate dal figlio Giovanni Ferrero: “Per mio padre l’aspetto sociale è sempre venuto prima del profitto. Delocalizzare, razionalizzare, cassa integrazione non sono mai state pronunciate non per strategia nella contrapposizione sindacale: il patto tra le due forze ha reso quei termini per noi inconcepibili”. I giornali parlano di “capitalismo dal volto umano” ma è quanto scritto nella nostra Costituzione. Dovrebbe, quindi, essere la normalità, ma così non è. Nella stessa giornata, sempre Renzi, ha fatto visita alla FCA (ex Fiat) e si è dichiarato “gasatissimo” per i progetti di Marchionne. Un capitalista vorace che sposta la direzione operativa all’estero. Che, per pagare meno tasse, trasferisce la direzione amministrativa a Londra, che chiude le fabbriche in Italia e sfrutta i lavoratori in Serbia e negli altri paesi dove ha delocalizzato il lavoro. Marchionne è paladino di un capitalismo arrogante e spietato. Evidentemente Renzi e il PD hanno scelto quale imprenditoria garantisce loro maggiori convenienze politiche ed economiche.

Giorgio Napolitano il “presidente emerito”, oggi senatore a vita, interviene in Senato sulla situazione in Libia e dichiara: “l’Italia non si tiri indietro, faccia come nel 2011” (cioè partecipi alla guerra). Non una parola su quella azione dissennata, su una politica estera fatta di prevaricazione, neo-colonialismo e imperialismo. Napolitano è diabolico nel perseverare nell’errore (che, a questo punto, non è più un errore ma una precisa scelta di campo) e si conferma come il peggior presidente della storia repubblicana.

Sull’onda della paura dell’ISIS e la situazione creata in Libia soprattutto come conseguenza della guerra del 2011, viene confermato l’acquisto di 90 cacciabombardieri F35. Una notizia, questa dello sperpero di miliardi di euro per un riarmo che serve ad arricchire i signori della guerra, che i grandi mezzi di informazione tendono a nascondere e a minimizzare.

Alla camera passa una “riforma” che stravolge la costituzione con 308 voti a favore (di questi, quasi 130 sono di eletti – si fa per dire – grazie a un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale). Viene approvata di notte, quasi di nascosto (come fanno i ladri), in assenza di qualsiasi opposizione. Ditemi, quale democrazia degna di questo nome può sopportare azioni così arroganti e autoritarie?

Sui decreti “Ilva” e “milleproroghe” il governo pone la fiducia. Sono oltre 30 le fiducie richieste e ottenute in meno di un anno. È una forma di governare poco democratica, con un parlamento ridotto a un insieme di personaggi che votano quello che decide il capo senza discutere. Un record che dimostra come, per Renzi e il suo governo, il parlamento conti meno di niente. La chiamano modernità, ma è solo un vecchio e logoro decisionismo autoritario.

Ieri Renzi ha “twittato”: “Il #JobsAct rottama i cococo cocopro vari e scrosta le rendite di posizione dei soliti noti #”. Le “rendite di posizione” sarebbero poi i diritti al lavoro. Così vari esponenti del governo (a partire da quel ministro Poletti del quale è bene ricordare la “vicinanza” con gli indagati dello scandalo “Mafia capitale”), appoggiati da una informazione compiacente, affermano che l’articolo 18 è rottamato e non esiste più; che (e mentono) il precariato è finito; che (e mentono) esisterà solo il contratto a tempo indeterminato. Esultano. Ma adesso si potrà licenziare senza giusta causa e senza reintegro. L’indeterminatezza del tempo di lavoro diventerà, quindi, il fatto che non si saprà quando si verrà licenziati. Sarà un lavoro sotto continuo ricatto, senza garanzie di alcun genere, ancora più di quanto succede oggi. Con il “jobs act” viene stabilito per legge che il lavoro è una merce che ha un prezzo stabilito da “tutele crescenti” e da altrettanto crescenti forme di insicurezza. Con il “jobs act” si invertono i principi costituzionali. Il lavoro non è più il primo diritto e la Repubblica non ha più il dovere di garantirlo ai cittadini. É la Costituzione a essere rottamata. Il governo, la maggioranza che lo sostiene e chi controlla l’informazione lo sanno bene ma tacciono, falsificano le notizie e continuano nella distruzione dello Stato.

E in Veneto? La corruzione è all’ordine del giorno. Un cancro che divora le risorse collettive del paese. Pensiamo allo scandalo del Mose o a quello dell’EXPO che vede implicati grandi imprenditori veneti. Una corruzione diffusa che vede come protagonisti esponenti di quei partiti che siedono in parlamento e governano il paese e la regione. Da Forza Italia, alla Lega, al PD a partiti minori, sono tutti coinvolti. Noi non possiamo far finta di niente ma la protesta non è sufficiente. Nel nostro programma politico dobbiamo dare priorità massima alla questione morale. A partire dai finanziamenti della campagna elettorale delle europee generosamente dati ad Alessandra Moretti, attuale candidata alla presidenza della Regione da imprenditori non certo “progressisti” né “illuminati” fino ad arrivare alla classica occupazione delle istituzioni e degli enti pubblici da parte di partiti trasformati in comitati d’affari e da organizzazioni imprenditoriali o singoli imprenditori in una drammatica compenetrazione tra politica e affari che impedisce di distinguere i singoli ruoli. Una situazione di degrado che crea progressivo disinteresse e rassegnazione nei cittadini verso il “fare politica”. Anche parte della sinistra (e parlo di SEL e PRC) spesso è colpevole perché troppo timida nel condannare queste aberrazioni, troppo attenta a fare accordi con chi (come il PD) può garantire posti “sicuri” (e ben remunerati) e, quindi, troppo pronta a sottoscrivere programmi che necessariamente si riveleranno ambigui. Per questo i comunisti italiani, per le prossime elezioni regionali del Veneto, hanno deciso di non partecipare a quella mercificazione del voto che passa per l’estenuante e incomprensibile contrattazione con il PD che stanno portando avanti i dirigenti regionali di SEL e PRC. Vogliamo costruire un’alternativa reale. Così stiamo promuovendo, assieme ad associazioni, comitati e movimenti una lista unitaria, indipendente e autonoma dalle “grandi coalizioni”. E ci presenteremo con un programma di sinistra che abbia gli elementi caratterizzanti nel lavoro, nella difesa dell’ambiente, nel diritto inalienabile alla saluta e al sapere, nella pace e nella questione morale.

Si badi bene, la questione morale non può ridursi solo all’occupazione delle istituzioni da parte di organizzazioni politiche trasformate in comitati di affari, o alle azioni delinquenziali che favoriscono e permettono lo scempio che stiamo vivendo. Per i comunisti, la questione morale è, anche e soprattutto, l’anteporre l’interesse e l’arricchimento personali agli interessi di classe di chi vive del proprio lavoro e viene sfruttato, di chi si deve curare e gli viene cancellato il diritto alla salute, di chi vuole sapere e gli viene tolto il diritto allo studio. Risolvere la questione morale deve partire da noi comunisti con una lotta determinata e senza quartiere alle degenerazioni e ai tradimenti che hanno favorito l’omologazione di gran parte della sinistra italiana nel sistema capitalistico trionfante.

Vorrei citare alcune frasi di Luigi Longo scritte ormai quaranta anni fa: “… la Dc, i suoi governi e gli alleati del momento hanno dovuto far leva sulla creazione di un sistema di potere fazioso, oligarchico, fondato non già sul riconoscimento delle capacità e delle competenze, bensì sul servilismo e sulla logica di gruppo. Da qui la degenerazione sempre più diffusa di organi, corpi, apparati statali, amministrazioni ed enti pubblici, coinvolti e travolti dalla logica del sottogoverno e della corruzione che, alla lunga, ha portato alla inefficienza e alla paralisi nel funzionamento dello Stato. Si deve certamente a tutta la nostra azione di questo trentennio se questo lungo processo involutivo, anziché trovare sbocco in spinte disgreganti di tipo qualunquista o, peggio, in soluzioni apertamente autoritarie (verso le quali non sono mancate le tentazioni) è approdato, col voto del 15 giugno di quest’anno, alla espressione di una matura coscienza democratica di una parte grandissima di lavoratori, di giovani, di intellettuali e di ceti produttivi, uniti nella volontà di cambiare, di andare avanti proprio sulla via che noi non ci siamo mai stancati di indicare.”

Oggi, da ogni parte giriamo lo sguardo, vediamo quella degenerazione della quale scriveva il compagno Longo, trionfare nella progressiva trasformazione della democrazia in oligarchia, nella cancellazione dei diritti più elementari, nell’umiliazione della Costituzione e del parlamento, nella crescente deriva autoritaria di un potere sempre più corrotto. Ma oggi non sembra esserci nessuno in grado di contrastare questa degenerazione. Non ci sono, soprattutto, nessun partito e nessuna organizzazione sociale che abbiano la forza e la determinazione (e, in molti casi, la voglia) di resistere e lottare per qualcosa di alternativo. E, allora, che fare? Arrendersi e aspettare “tempi migliori” o tentare di ricostruire una organizzazione che ci permetta, almeno, di sperare di invertire i rapporti di forza oggi esistenti? E di rendere viva e vitale la prospettiva di cambiare la società piuttosto che adeguarsi ad essa.

Allora, bisogna ricominciare ad osservare, studiare, analizzare, interpretare la realtà. Costruire un progetto che ci dia la certezza che si possa cambiare dalle radici quel sistema spaventoso che sta provocando nel mondo e nel nostro paese fame, disuguaglianza, guerra e morte.

Noi non possiamo delegare a nessun altro questo compito perché è il nostro compito, di comunisti.

Diceva Togliatti nel 1944: “Noi non possiamo accontentarci di criticare o di inveire, e sia pure nel modo più brillante; dobbiamo possedere una soluzione di tutti i problemi nazionali, dobbiamo indicarla al popolo nel momento opportuno e saper dirigere tutto il paese alla realizzazione di essa. Trasformando in questo modo il nostro partito, siamo convinti di non lavorare solo per noi stessi, ma nell’interesse di tutta l’Italia. La nazione italiana, oggi, ha bisogno di un grande, di un forte partito comunista, e noi creeremo questo partito!”.

Vorrei concludere con alcune raccomandazioni che faccio ai giovani che vedo in questa sala. Più che altro un appello accorato.

Amate questo partito che stiamo costruendo. Lottate perché diventi forte e sano. E non smettete mai di studiare perché abbiamo bisogno della vostra intelligenza. Organizzatevi perché abbiamo bisogno della vostra forza.

Fate vivere quello slogan che noi, quando eravamo giovani, gridavamo convinti perché era vero: “non c’è lotta e non c’è conquista senza un grande Partito Comunista”.

Compagne e compagni il compito che ci aspetta è difficile e faticoso. Ma è qualcosa per la quale vale la pena lottare.