L’ottimismo della volontà per la ricomposizione dei comunisti

di Simone Grecucomponente segreteria PRC del Sulcis Iglesiente, GC Sardi

prospettivepericomunisti bannerUn’altra sconfitta

“Mi sono convinto che anche quando tutto è perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio.”

Voglio iniziare con questa citazione di Gramsci, dal momento che la situazione in cui ci troviamo è ormai vicina al “tutto è perduto”. E se non vi poniamo rimedio toccheremo davvero il fondo del barile.

Sappiamo già com’è andata. Rivoluzione Civile è rimasta fuori dal Parlamento, ed insieme i comunisti. RC sconta diversi errori, come l’essere nata a ridosso delle elezioni, l’essersi presentata come una coalizione essenzialmente legalitaria, la composizione delle liste non democratica, un simbolo non propriamente dei migliori, eccetera. E nessuno si aspettava una sconfitta e soprattutto di tal portata, neanche il sottoscritto.


Diciamolo chiaramente: le strategie portate avanti dal partito, dal 2008 ad oggi, non ci hanno portato a nessun risultato concreto in termini elettorali. Prima la Lista Anticapitalista alle Europee, poi la Federazione della Sinistra all’interno del Fronte Democratico per battere Berlusconi, infine Rivoluzione Civile. Perchè tutto questo?

Come ha fatto notare Fabio Amato nell’ultimo CPN (9 e 10 marz0), la nostra linea politica in cinque anni è stata guidata dalla paura. Paura di scomparire, paura di non tornare in Parlamento, perchè altrimenti ci saremmo dissolti. Purtroppo le nostre paure si sono avverate, ma siamo ancora qua, molto malconci ma ancora vivi.

È arrivato il momento di fare uno scatto di reni ed uno scatto d’orgoglio, e proporre una via d’uscita.

Negli anni Rifondazione Comunista ha saputo dire tutto ed il contrario di tutto, cambiando tattica dall’oggi al domani, dimostrando di non avere una prospettiva di lungo periodo. Ed ovviamente dimostrando di non saperci muovere a sufficienza sul terreno non elettorale; per non parlare inoltre di certi “compagni di strada” che erano forse da scegliere meglio: uno su tutti l’Italia dei Valori, un partito certamente non di sinistra, che più volte ha dimostrato un orientamento opposto al nostro, come sulla questione della legge elettorale (sostenendo il referendum per il ritorno al Mattarellum) o sul pareggio di bilancio in Costituzione.

Si è voluto fare un passo troppo lungo, saltando una tappa fondamentale per la costruzione di una coalizione di sinistra radicale: la (ri)definizione del progetto politico dei comunisti, il loro programma, la loro idea di società ed il loro modello di partito. Ma qualcuno nel gruppo dirigente ancora insiste con la parola d’ordine della “sinistra d’alternativa”: di fatto la maggioranza attualmente a capo del PRC nazionale è spaccata solo sulle tempistiche del Congresso, non sulla linea politica da approvare.

Così com’era (e così com’è) Rivoluzione Civile non poteva essere lo spazio aggregativo di una sinistra d’alternativa: alcuni dei suoi componenti hanno investito nel progetto solo per essere stati rifiutati dalla coalizione di centrosinistra. La lista di Ingroia era poi una scelta priva di effettivi richiami al mondo dei comunisti e della sinistra (il Quarto Stato stilizzato pare un po’ poco) e completamente calata dall’alto, ripercorrendo per filo e per segno gli errori della Sinistra Arcobaleno. Non possiamo lamentarci della dittatura di Grillo sul M5S quando anche nel nostro partito non si discute con metodo democratico di una questione così importante, ovvero come presentarsi alle elezioni e come comporre le liste: questa tornata elettorale certo non è stata una bella pagina di democrazia interna.

Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, altri hanno analizzato questa novità della politica italiana. Rimando ad un interessante articolo pubblicato sul blog Fronte Popolare (1). Il dibattito politico va “reideologizzato”: Grillo e seguaci hanno fatto passare l’idea che non esistano idee di destra o di sinistra, ma solo idee giuste o sbagliate. Niente di più falso: tutto questo serve a nascondere il carattere interclassista del Movimento, i cui voti sono composti sia da classe operaia sia (soprattutto) da piccola borghesia imprenditoriale, che poi costituisce la gran parte dei loro gruppi parlamentari e che di fatto ne è la classe egemone. La stessa piccola borghesia che fu la base del fascismo, della DC e di Berlusconi. 

Il programma è volutamente vago e confuso, dal momento che è finalizzato al prendere voti sia a destra che a sinistra, condito con una certa mistica della Rete (una volta erano la Nazione, la Patria e la Razza).

Nessun accenno al fisco ed a proposte di redistribuzione dei redditi (patrimoniale?), programma assolutamente vago (che significa “abolizione dei monopoli di fatto”? Li nazionalizziamo o li privatizziamo?) e molto liberista: ricordo di aver letto diversi commenti grillini in merito al finanziamento pubblico ai giornali. La loro posizione era: se non vendi, chiudi. Altro che beni comuni ed informazione libera…e per qualcuno il Movimento 5 Stelle è di estrema sinistra!

Per una più approfondita critica comunista al programma grillino: “Meglio una stella rossa di cinque stelle gialle. Un’analisi di classe del programma del Movimento 5 Stelle”, un articolo dei compagni dell’area di FalceMartello (2).

Noi comunisti. Che fare ora?

Nella grave situazione in cui ci troviamo penso che tutti, sia nel PRC come nel PdCI, abbiano in testa un modo per riuscire a “riveder le stelle”, o vista la presenza di queste nel simbolo dei grillini, direi piuttosto di avere in testa la via che conduce alla stella rossa della rivoluzione. 

Mi rendo conto di star quasi proponendo un documento politico, ma voglio sottoporre comunque alcuni punti alla discussione sul futuro dei comunisti, che ritengo debbano essere affrontati. Sono proposte che ricorrono in queste settimane di dibattito post-elettorale, segno del fatto che la cosa peggiore da fare dopo questa sconfitta è arroccarsi ancora una volta nei propri recinti e rimanere immobili.

La fine di un ciclo. Come partito c’è la necessità di prender coscienza del fatto che Rifondazione Comunista ha terminato il suo corso: troppo identificabili con quel Bertinotti “di lotta e di governo” con la giacchetta a quadri, non più il partito dei lavoratori in lotta per l’egemonia e la trasformazione socialista della società ma i radical-chic “altermondialisti”. Il Partito della Rifondazione Comunista deve essere allora superato: è necessaria una Costituente Comunista che si ponga anzitutto l’obiettivo di unire gli attuali partiti comunisti, PRC e PdCI, di riaggregare i compagni che negli anni si sono allontanati e di attirarne di nuovi; l’obiettivo dev’essere la costruzione di un unico Partito Comunista di massa che si collochi nella migliore tradizione del comunismo italiano, europeo e mondiale. 

“Una sezione per ogni campanile” diceva Togliatti. Compito nostro sarà creare una sezione in ogni luogo di lotta, di lavoro e di studio, a difesa delle vecchie e delle nuove classi subalterne.

I riferimenti teorici a Gramsci, a Lenin, a Marx, non devono essere semplicemente un richiamo nostalgico e dogmatico al passato, buono magari per qualche conferenza, bensì essenza del definirsi comunisti in Italia nel XXI secolo riconoscendo le proprie radici culturali e politiche. Ed è poi evidente che “ il compito non è quello di citare a memoria i classici per spiegare e cambiare il mondo, ma mostrare ciò che accade nel mondo per dimostrare la validità dei classici.” (3) Dev’essere abbandonato sia il massimalismo sterile ed eclettico della Nuova Sinistra degli anni Settanta, sia il bertinottismo politicista e l’idea del “partito liquido” di fatto sciolto nei movimenti.

Inoltre, sarebbe il caso di rimettere in discussione l’utilità delle correnti e delle aree: abbiamo notato come invece di stimolare la discussione democratica in realtà riproducano in sedicesimo un certo consociativismo alla Pentapartito? Forse il centralismo democratico (e non burocratico) è una scelta migliore?

Scusi, per che via al socialismo? Linea guida del partito dev’essere il programma politico. Uno dei motivi della nostra scomparsa è a mio giudizio l’assenza di questo programma, a cui fare riferimento e da comunicare ai lavoratori e alle masse. Delle parole d’ordine facilmente comprensibili ma non per questo riduttive (anzi ci dev’essere un lungo lavoro di elaborazione dietro). Dunque un obiettivo da porsi dev’essere la formulazione, utilizzando una vecchia terminologia, di un programma minimo. Ed intendo, per fare pochi esempi: difesa della repubblica democratica fondata sul lavoro, forte patrimoniale sulle grandi ricchezze, ripristino ed estensione dell’articolo 18, ritiro dalle missioni di guerra, legge elettorale proporzionale senza sbarramenti e con le preferenze, rifiuto del Concordato fascista con la Chiesa Cattolica, una quota consistente del PIL a scuola, ricerca e sanità pubbliche, piani pluriennali per lavoro, industria, trasporti (altro che TAV, avete presente le ferrovie del Meridione?). Questi punti devono essere la base su cui costruire le alleanze e sulla quale dare vita all’eventuale “fronte della sinistra” con le forze di sinistra radicale non comuniste. È poi evidente che le alleanze con il centrosinistra (parlo soprattutto del PD) non possono essere anteriori al programma: vista la posizione del Partito Democratico nazionale su diverse questioni (art. 18, patrimoniale, subalternità alla UE) non si può che dichiararsi autonomi ed alternativi al Partito Unico PD-Monti-PDL. Lo “spostare a sinistra” il PD facendo leva sulle sue contraddizioni interne è una narrazione che è meglio lasciare a SEL, partito in cui ci sono già state e ci sono delle discussioni a questo proposito (come Alfonso Gianni che ne è uscito per sostenere Rivoluzione Civile). Localmente (in regioni, province e comuni) si tratta invece di valutare caso per caso e sui programmi dove ci possano essere concordanze e dove no.

Va poi chiarita la nostra posizione sull’Unione Europea e sull’euro: è un organismo che può essere riformato in senso progressista oppure no? Se sì iniziare a delineare un programma per indicare dove si possa intervenire per la democratizzazione dell’Unione e delle sue istituzione. Se no iniziare a studiare le eventuali conseguenze che un’uscita dall’euro (e/o dalla UE) può comportare. Va da sé che la cooperazione internazionale deve essere considerata fondamentale: potenziare i nostri rapporti coi comunisti di tutta Europa, dentro e fuori la Sinistra Europea, non è qualcosa di politicamente opinabile.

Obiettivo finale dei comunisti e del loro programma massimo, teniamolo bene a mente, è una società socialista e democratica. Dobbiamo ritrovare la fiducia in noi stessi e nella realizzabilità del nostro programma di trasformazione sociale.

Studiare studiare studiare. Il programma politico non può ovviamente essere scritto parlando in astratto, cercando magari di importare strategie di altri paesi (il famoso “fare come in Russia” è diventato “fare come Syriza in Grecia”), ma bisogna sempre tener conto di lavorare in una precisa realtà nazionale – quella italiana – che ha sue caratteristiche proprie: il nostro cammino è la via italiana al socialismo. È allora necessaria la formazione di un Comitato Scientifico o di un Ufficio Studi per l’analisi della società italiana moderna (in chiave marxista) e di una scuola di partito, per formare quadri e militanti, fornendo gli strumenti di base per comprendere i “classici” del marxismo e del leninismo, la società, l’economia e la politica moderne. L’egemonia è cultura, è “direzione intellettuale e morale”. Ricordiamoci sempre che “senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario” (Lenin). E questa teoria rivoluzionaria il PRC non l’ha.

L’unità. Dobbiamo avere l’ambizione di creare un partito comunista di massa. La continua dispersione di iscritti è dovuta anche al fatto che all’interno del partito c’è poca coesione e i compagni sono abbandonati a sé stessi. C’è dunque bisogno di creare partecipazione alla vita di partito: ogni tesserato deve essere parte di un più piccolo gruppo di lavoro. “Tutti i compagni debbono avere un compito di lavoro ed adempierlo, la direttiva ben precisa della creazione di molteplici centri di attività organizzata, della ripartizione dei compiti di lavoro del partito fra il più grande numero di compagni, attraverso l’organizzazione di gruppi i quali si applichino in modo particolare alle branche di attività che sono loro affidate.” (4). Nessun/a compagno/a deve essere lasciato indietro o deve sentirsi messo da parte, va stimolato il senso d’appartenenza ad un’organizzazione che si propone di realizzare i fini più alti dell’umanesimo.

L’informazione. Le nostre idee devono essere comunicate. Dopo le vicissitudini che conosciamo, dopo gravissimi problemi finanziari, Liberazione, il giornale del PRC, è ora un quotidiano online. Uno degli obiettivi primari dovrebbe essere far tornare il giornale nelle edicole, ed organizzarne una diffusione militante. È indispensabile dotarsi di una rivista di dibattimento teorico e darle la giusta importanza e diffusione, come un tempo potevano essere Rinascita o Critica Marxista. Una soluzione potrebbe essere unificare tutte le varie pubblicazioni che oggi esistono e fanno capo alle varie minoranze (Essere comunisti, FalceMartello, …). Il sito del Partito va potenziato e deve esserne la tribuna: ora è di fatto la rassegna stampa del Manifesto e del Fatto Quotidiano.

La questione sindacale. Questo è un punto dove abbiamo, come comunisti, un fortissimo deficit. Da sempre il sindacato è stato la prima forma organizzata del movimento operaio, nel quale poi si sono scontrate le più varie tendenze (anarco-sindacalisti, socialisti riformisti, comunisti, ecc…). Il sindacato è anche la “cinghia di collegamento” del partito con i lavoratori. Ma né il PRC né il PdCI hanno una linea sindacale univoca e razionale. C’è chi vagheggia la “costruzione di un sindacato autonomo e di classe” proponendo scissioni dalla CGIL, chi è già schierato tout court o con l’USB o con la Camusso e si coltiva solo il suo orticello, chi di fianco a Cristo e la Madonna vedrebbe bene Landini e Cremaschi…

Non basta dire “la CGIL fa schifo, è riformista, è subalterna al PD” se non sappiamo proporre una seria alternativa. È indispensabile rafforzare i legami coi nostri compagni all’interno della CGIL per compiere anche là dentro un lavoro di egemonia, cercando in ogni modo di mettere in risalto le contraddizioni della dirigenza riformista, supportando invece le aree più di sinistra (penso a “La CGIL che vogliamo”) e creando dove possibile dei nuclei comunisti. Anche per i sindacati di base come la già citata USB dobbiamo avere una linea: ricostruzione di un fronte sindacale compatto e combattivo, che sappia organizzare la maggioranza del popolo lavoratore, autonomo dalle forze politiche liberal-riformiste.

I giovani. Di questi tempi va di moda la lotta tra generazioni, tra “vecchi” e rottamatori: Bersani e Renzi per fare un esempio, o gli starnazzi “siete tutti morti” di Grillo e soci. La retorica nuovista è quella che probabilmente ha fatto più danni alla sinistra: prima alla Bolognina (“largo ai quarantenni”), nella segreteria Bertinotti (il revisionismo movimentista dopo la stagione di Genova), la nuova “speranza per la sinistra” leggasi Nichi Vendola (ora subalterno al PD) e il già citato Beppe Grillo con il suo stuolo di servitori. 

Anche nei Giovani Comunisti (di cui faccio parte) va abbandonato ogni residuo di bertinottismo e di “fricchettonismo”: la giovanile di un Partito comunista non può non darsi dei riferimenti culturali marxisti e leninisti. Su questo può essere d’esempio la UJCE (Unión de Juventudes Comunistas de España) del Partito Comunista di Spagna, a partire dal suo definirsi un’organizzazione marxista-leninista e rivoluzionaria.

È poi opportuno dire che essere giovani non significa essere necessariamente essere migliori di chi ci ha preceduto: per citare Gramsci “Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto.

Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza.” (5)

Il Partito comunista dev’essere come un albero: i giovani rappresentano le foglie, che portano luce e ossigeno, senza le quali l’albero diventa secco e rattrappito; gli anziani sono invece le radici, che portano il nutrimento e lo rendono stabile, e senza di essi l’albero muore. Ed è bene ricordare che quest’albero non è né una Quercia né un Ulivo.

Queste che ho appena fatto sono solo alcune proposte, tutte parziali e assolutamente criticabili, che richiederebbero molta discussione e molto approfondimento. Spero comunque di aver dato qualche spunto di riflessione.

Essere comunisti, ma sul serio

La situazione in cui ci troviamo, come dicevo all’inizio, è gravissima: i comunisti sono però riusciti ad uscire da situazioni ben più gravi in tutto l’arco della loro storia.

Prima il fascismo e le accuse di settarismo da parte dei socialdemocratici e dei liberali (fin troppo collusi con la dittatura); la Resistenza antifascista, dopo la quale, grazie soprattutto allo sforzo dei partigiani comunisti e del PCI, venne creata la Repubblica democratica fondata sul lavoro, con una Costituzione tra le più avanzate al mondo; e poi la “via italiana al socialismo”: temuti dalla classe padronale, i comunisti italiani hanno saputo costruire il più grande Partito comunista dell’Occidente. Partendo da pochissimo. 

Invito tutti i compagni e tutte le compagne che lottano ogni giorno per la prospettiva di una società migliore a non mollare: ottimismo della volontà! Possiamo ricostruire un Partito Comunista degno di questo nome, abbandonando la linea distruttiva dell’opportunismo, solo con lo sforzo di tutte e tutti!

Note:

(1) R. Maggioni, “Fukuyama a 5 stelle”, http://frontepopolare.wordpress.com/2013/03/31/fukuyama-a-5-stelle/

(2) http://www.marxismo.net/politica-italiana/meglio-una-stella-rossa-di-cinque-stelle-gialle-unanalisi-di-classe-del-programma-del-movimento-5-stelle

(3) A. Cunhal, O Partido com Paredes de Vidro (Il Partito con le pareti di vetro). Lisboa, Edições “Avante!”, 5ª edição: 1985.

(4) P. Togliatti, da un intervento al Comitato Centrale del partito, pubblicato in Stato Operaio, a. VII, n. 11-12, novembre-dicembre 1933, in Palmiro Togliatti, Il Partito, Editori Riuniti 1972.

(5) A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi. Quaderno 8, pag. 947, § 17, “Passato e presente”.